martedì 22 dicembre 2015

ISLAM E VIOLENZA: precisazioni necessarie. Conferenza internazionale a Roma

IMPORTANTE EVENTO A ROMA

Conferenza organizzata dal Centro Studi Internazionale "Dimore della Sapienza" e Link Campus University, sul tema


ISLAM E VIOLENZA: precisazioni necessarie

con illustri e autorevoli ospiti e rappresentanti religiosi musulmani

Intervengono:

Vincenzo Scotti

Carlo Corbucci 

Abolfazl Emami 

Omar Camiletti

Anna Maria Cossiga 

Ghorban Ali Pourmarjan 

Mario Polia 

Pietrangelo Buttafuoco 

Tiziana Ciavardini 



23 gennaio 2016, Roma

Via Nomentana 335, ore 15



domenica 13 dicembre 2015

EURASIA 4/2015: MIGRAZIONI

EURASIA 4/2015
MIGRAZIONI

Editoriale
Claudio Mutti, Migrazioni

Teoria geopolitica
Aleksandr Gel'evič Dugin, Significati della multipolarità
La teoria dell’ordine mondiale multipolare non ha ricevuto ancora un approfondito tentativo di sistematizzazione all’interno degli studi internazionalistici. Nell’articolo che traduciamo di seguito Aleksandr Dugin delinea il paradigma del sistema multipolare all’interno dell’IR, il quale emerge attraverso una descrizione che procede per differenziazione rispetto agli altri sistemi di ordine mondiale, suggerendo un’utile panoramica concettuale di orientamento nell’insieme dei modelli teorici forniti dalla ricerca politologica degli ultimi decenni.
Davide Ragnolini, La Dymaxion Map e la liquidazione della Terra
Il sapere geografico si è sempre fatto mezzo di trasmissione di contenuti reali ed immaginari, fattuali ed utopici, storici e visionari, i quali hanno potuto assolvere ad una funzione di orientamento del pensiero umano nello spazio e nel tempo. Ogni epoca ha riprodotto nelle proprie rappresentazioni storiografiche e cartografiche tanto il suo orizzonte temporale reale, quanto le sue prospettive spaziali ideali. La dimensione sferica dello spazio della globalizzazione raffigurato agli inizi della modernità ha ceduto progressivamente il posto all’emersione di prospettive ‘aeronautiche’ della Terra e di radicali utopie politico-geografiche contemporanee. La rappresentazione cartografica di Richard Buckminster Fuller costituisce un singolare punto di vista attestante la centralità contemporanea dell’elemento aereo nella politica mondiale, nonché il tentativo di contrapposizione di prospettive geografiche ‘globalizzanti’ alle tradizionali categorie della geopolitica classica.
Cristian Pantelimon, Vasile Gherasim e l'Eurasia spirituale
"Eurasia spirituală" (1931) è un’opera che, a quanto pare, per la prima volta pone in modo categorico il problema dell’affinità profonda tra le filosofie dei popoli del Grande Continente eurasiatico. Inoltre, si tratta della prima opera che separa nettamente il procedimento geopolitico (attento alle grandi provocazioni ed alle soluzioni spirituali nello spazio e nel tempo) da quello politico (che si accontenta di frammentare la realtà, deformandola per mezzo di prospettive soggettive). Col suo tentativo, Vasile Gherasim apre la strada all’eurasiatismo nella cultura romena e si fa esponente della Rivoluzione Conservatrice, che nel periodo interbellico si è manifestata in maniera vigorosa a livello europeo e che non è se non un avatar del tradizionalismo spirituale del popoli che abitano il nostro continente.
Dossario: Migrazioni
Luca Baldelli, Tre elementi complementari della strategia mondialista
La teoria dello "scontro delle civiltà" , da Lewis a Huntington, mira a scavare un fossato tra culture e popoli che potrebbero trovare, attraverso il reciproco rispetto, le basi per un comune e fruttuoso dialogo. Dietro a questa strategia si profila il mondialismo, lo stesso sistema all’opera nella sovversione della Siria, della Libia e di altri paesi ancora, nonché nella gestione e nello sfruttamento dei flussi migratori.
François Bousquet, Tutti turisti, tutti migranti
Lo sfruttamento della sofferenza a scopi propagandistici non è recente. L'immagine del piccolo Aylan Kurdi, morto su una spiaggia turca, non ha fatto eccezione alla regola. Atroce. Ciò però significa dimenticare che nel mondo ogni sei secondi un bambino muore di fame, secondo la FAO. Non una riga nei giornali, legge del chilometro sentimentale. Quando "il cinismo non va più", osservava Bernanos, e "l'onestà ritorna di moda" nelle società che "hanno perduto perfino il coraggio dei loro vizi", allora fiorisce la razza umana dei "Bempensanti", apostoli della migrazione per tutti.
Domenico Caldaralo, L’ingegneria sociale come arma geopolitica
Dalle tecniche di manipolazione psicologica all’uso delle migrazioni come armi di guerra, gli studi nel campo comportamentale e delle scienze politiche vengono correntemente utilizzati, sul piano della realpolitik, come strumenti di influenza nelle relazioni tra stati e nel mantenimento della rule of law sul piano nazionale. Lo sfruttamento dei flussi migratori da una parte e l’uso di strumenti di indagine psicologica nel campo economico e amministrativo dall’altra, configurano una nuova potente forma di “manipolazione” dell’essere umano a fini coercitivi e di controllo sociale, riassumibile nella categoria di “ingegneria sociale”.
Enrico Galoppini, Immigrazione ed islamofobia: nuova fase dello “scontro di civiltà”
L’equazione tra immigrazione, Islam e terrorismo nasce anche dalla confusione tra due questioni distinte: quella “immigratoria” e quella “islamica”. Mentre la prima rappresenta effettivamente un problema essenzialmente socioeconomico e di ordine pubblico, la seconda, di carattere culturale, e sulla quale incombe l’ipoteca dell’islamismo politico, è fonte di malintesi ed equivoci alimentati da chi ha interesse a fomentare lo “scontro di civiltà”.
Ali Reza Jalali, L’asilo politico in Italia
All’interno della macroarea degli immigrati, quella del migrante politico è una categoria particolare, riconducibile alla volontà di sfuggire non tanto a situazioni economicamente difficili, ma alle avverse condizioni sociopolitiche del paese d’origine, come conflitti armati o regimi repressivi. Il sistema normativo italiano risponde alle esigenze di tali migranti politici attraverso l’istituto giuridico dell’asilo politico, caratterizzato da fattori ampiamente dibattuti in dottrina, nel mondo politico e nella giurisprudenza.
Stefano Vernole, L'immigrazione in Italia: numeri e proiezioni
Da un’analisi critica e da una lettura scevra di pregiudizi dei dati relativi alla presenza di immigrati extracomunitari e cittadini stranieri sul territorio italiano emerge una situazione estremamente problematica in relazione alla criminalità, al mercato del lavoro ed alle spese collegate alla loro presenza (assistenza sanitaria e scolastica, abitazioni, carceri e tribunali, accoglienza ed espulsioni ecc. ecc.).
Sara Nardi, L'immigrazione cinese in Italia
Il fenomeno dei flussi migratori cinesi e la presenza delle comunità cinesi in Italia non è mai stato oggetto di uno studio sistematico che ponesse in luce le motivazioni di questi particolari soggetti antropologici ed i problemi da loro affrontati una volta giunti in Italia; in un momento storico in cui l’immigrazione in Europa è al centro del dibattito, quella “invisibile” e “silente”dalla Cina necessita di approfondimenti. Di seguito, un excursus storico dall’origine della diaspora cinese internazionale fino all’odierna integrazione dei Cinesi di seconda generazione.
Manuel Ochsenreiter, Germania: la lobby dei "confini aperti"
L’ondata migratoria di massa investe l’Europa e specialmente la Germania da alcuni mesi. Le autorità tedesche ritengono che nei prossimi anni arrivino nell’Europa centrale milioni di migranti provenienti dall’Africa e dal Vicino Oriente. Un’interessante alleanza di diversi settori politici tedeschi sta conducendo una rumorosa propaganda per la “accoglienza dei rifugiati”: gruppi liberalconservatori alleati con la sinistra radicale. Com’è che agiscono questi gruppi? Qual è il loro interesse? Questione ancor più interessante: perché questi stessi gruppi stanno esercitando pressioni affinché vengano bombardati altri paesi?
Yannick Sauveur, Francia: la retorica dell'accoglienza

Questo articolo cerca di analizzare il discorso “ufficiale” circa la fiumana dei migranti. Come spiegare questa politica in favore dell’accoglienza, quando la situazione economica dell’Europa è disastrosa, sicché non mancheranno di prodursi tensioni etnico-sociali senza precedenti? La morale si è sostituita alla politica per spianare la strada ad un universalismo comunitarista, sul modello della società americana e senza alcun riguardo per i popoli e la loro storia.

Giuseppe Cappelluti, Da conquistatori a pieds noirs. I Russi fuori dalla Russia
La questione dei Russi etnici fuori dalla Russia è un tema alquanto complesso. Come tutti i grandi imperi, anche quello russo è stato caratterizzato da forti migrazioni verso le periferie, e al pari del suo grande avversario, gli Stati Uniti, anche l’Unione Sovietica è stata un Paese in continuo movimento. Ciò contribuisce a spiegare la diffusa presenza di Russi etnici (nonché di Ucraini e Bielorussi) in quasi tutta l’Eurasia ex sovietica, anche al di fuori della Russia propriamente detta. Le migrazioni, però, costituiscono solo una parte della spiegazione: in un contesto in cui l’identità etnica russa è legata alla cultura e non al sangue, i casi di assimilazione di non-Russi sono stati numerosi. In ogni caso, seppur con notevoli differenze da zona a zona, la caduta della patria del socialismo reale ha portato alla nascita di una questione russa non troppo dissimile da quelle insorte in seguito al collasso di molti grandi imperi.
Alessandro Gatti, Le migrazioni cinesi
Nel corso dei secoli la Cina ha impresso nella storia dell’umanità un’immagine indelebile del suo passaggio. Storia, cultura e tradizioni si sono incontrate in quella che lo storico e geografo tedesco Ferdinand Von Richthofen ha definita "Via della seta”. Il popolo cinese ha sperimentato l’emigrazione nel momento del bisogno, ricercando in prossimità dei suoi territori le alleanze strategiche di cui abbisognava per tutelare i propri confini e garantirsi la sicurezza. L'articolo ripercorre i punti salienti del fenomeno migratorio cinese dal sec. II a. C. ai giorni nostri, toccando gli aspetti fondamentali che lo hanno condizionato e caratterizzato.
Lorenzo Salimbeni, Istriani, Fiumani e Dalmati esuli in patria
Il 10 febbraio 1947 il trattato di pace che l’Italia fu costretta a firmare a Parigi assegnò alla Jugoslavia di Tito la maggior parte di quelle terre istriane e dalmate che erano state annesse al termine della Prima Guerra Mondiale. Il 90% della comunità italiana, che viveva da secoli in quelle terre, traumatizzata dalle deportazioni e uccisioni di connazionali e di oppositori del regime titoista avvenute in due ondate (successivamente all’8 Settembre e poi a guerra finita), nonché dall’instaurarsi di un nuovo ordine sociale ed economico che sconvolgeva consolidati equilibri, decise di intraprendere la via dell’esilio. Città come Pola e Fiume si svuotarono completamente; la permanenza nei Centri Raccolta Profughi allestiti in territorio metropolitano fu prolungata e disagiata e migliaia di esuli si sparpagliarono in altri continenti alla ricerca di migliori condizioni di vita.
Claudio Mutti, Le migrazioni degli Zingari
La migrazione zingara si è configurata come una migrazione di massa, permanente ed epidemica, che si è risolta in una sorta di diaspora. Itineranti, più che nomadi, i gruppi zingari hanno instaurato con le popolazioni sedentarie un rapporto di tipo parassitario. Diversamente da altre etnie itineranti, quella zingara non ha mai seriamente aspirato ad organizzare politicamente e giuridicamente la propria società su un territorio determinato.
Documenti
Ernesto Massi, Geografia politica e geopolitica
Ernesto Massi (Gorizia, 9 giugno 1909 – Roma, 5 giugno 1997), docente di geografia economica all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e all'Università di Pavia, nel 1939 diede vita - assieme al professor Giorgio Roletto dell'Università di Trieste - alla rivista "Geopolitica. Rassegna mensile di geografia politica, economica, sociale, coloniale". La rivista, che nel primo numero riportava uno scritto di saluto di Karl Haushofer, fu patrocinata dal ministro Bottai ed annoverò tra i collaboratori molti geografi italiani, nonché studiosi di altre discipline (tra cui Amintore Fanfani); uscì fino al 1942, dando spazio a saggi ed articoli che definivano la geopolitica e i suoi oggetti di studio. Combattente sul fronte russo durante la seconda guerra mondiale, nell'ottobre 1943 Massi aderì alla Repubblica Sociale Italiana. Colpito nel dopoguerra da un provvedimento di epurazione, fu costretto ad abbandonare l'insegnamento, che poté riprendere solo nel 1955 nelle Università di Lecce e di Brescia. Dal 1959 insegnò all'Università Statale di Milano; dal 1965, all'Università di Roma. Nel 1971 diventò professore ordinario di geografia economica e dal 1978 al 1987 fu presidente della Società Geografica Italiana. Tra le sue opere, citiamo: La partecipazione delle colonie alla produzione delle materie prime, Istituto fascista dell'Africa Italiana, Milano, 1939, 2ª ed.; L'ambiente geografico e lo sviluppo economico nel Goriziano, Lucchi, Gorizia, 1933; L'Africa economica, Giuffrè, Milano, 1941; I fondamenti dell'integrazione economica europea: il Mercato Comune del Carbone e dell'Acciaio, Giuffrè, Milano, 1959.
Jean Thiriart, L’Europa fino a Vladivostok
Questo testo, uscito sul n. 9 di "Nationalisme et République" nel settembre 1992, trae origine dalla conferenza stampa che Jean Thiriart tenne a Mosca il 18 agosto di quel medesimo anno.
Interviste
Intervista a S. E. Ján Šoth, Ambasciatore della Repubblica Slovacca in Italia
Intervista a S. E. Péter Paczolay, Ambasciatore d'Ungheria in Italia
Intervista a Gábor Vona, Presidente del Movimento per un'Ungheria Migliore (Jobbik)

Recensioni
Kelly M. Greenhill, Weapons of Mass Migration. Forced Displacement, Coercion and Foreign Policy, Cornell University Press, Ithaca - London 2010 (Davide Ragnolini)
Archivio
Dottrina geopolitica - Geofilosofia - Il continente eurasiatico - Cina - Iran - Vicino Oriente - Nordafrica - America indiolatina

domenica 29 novembre 2015

Perchè, da musulmani, non possiamo non dirci sostenitori del Natale

http://img.tgcom24.mediaset.it/binary/ansa/58.$plit/C_4_articolo_2146440_upiImagepp.jpg
Il preside della scuola di Rozzano



di Ali Reza Jalali

L'ultima, ma non certamente nuova, trovata dei fondamentalisti laici, sbandierata ampiamente dai media, è quella che ha visto protagonista un preside, presumo uno di questi vetero-comunisti, che ha vietato i festeggiamenti del Natale di Gesù Cristo in una scuola, per via della presenza di alunni musulmani, i quali si sarebbero sentiti offesi da tale ricorrenza. Vedi (http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/lombardia/rozzano-preside-cancella-la-festa-di-natale-genitori-sul-piede-di-guerra_2146128-201502a.shtml).

Mi rifiuto di pensare che un preside, ovvero una persona che ha studiato più o meno tutta la vita - altrimenti non potrebbe diventare dirigente scolastico - non sappia che nell'Islam la figura del Cristo è riverita ampiamente, con diversi versetti del Corano e tantitissime tradizioni. 

Giusto per fare chiarezza, l'Imam Khomeini, non certo un esponente dell'"Islam moderato", disse apertamente che è buona cosa, per tutti i musulmani, fare gli auguri per le festività natalizie ai cristiani. Vedi (https://www.youtube.com/watch?v=h5mWhSVz4iU).

Certamente vi sono delle componenti dell'islamismo politico che avversano particolarmente il Cristianesimo e i cristiani, ma visto che il preside in questione appartiene a quella categoria politica che in Italia tende, almeno per quello che riguarda il piano interno, a distinguere tra terrorismo, estremismo e Islam in generale, anche qui egli non è da scusare. Voglio dire, se fosse stato un politico alla Santanché a vietare i festeggiamenti per paura di ritorsioni da parte degli islamici, potevo anche capirlo, visto che per lei e quelli che la pensano come lei tutti i musulmani, almeno potenzialmente, sono dei terroristi. Ma da uno di sinistra non te lo puoi aspettare. 

Quindi, scartando l'ipotesi dell'ignoranza, e quella del riconoscimento dei musulmani in toto come estremisti anti-cristiani, non rimane che una sola ipotesi plausibile per vietare i festeggiamenti natalizi in nome della presenza musulmana della scuola, soprattutto per via del fatto che il preside in questione ha agito unilatermalmente, senza alcuna richiesta da parte delle famiglie musulmane, che anzi, hanno preso le distanze dall'iniziativa controversa. Vedi ( http://video.repubblica.it/edizione/milano/rozzano-l-ira-del-genitore-musulmano-anche-noi-festeggiamo-il-natale/220127/219327).

L'unico motivo plausibile quindi, non ha nulla a che fare con l'Islam, questa religione è solo una scusa per i fondamentalisti laici, il loro vero nemico è la religione, e visto che qui, almeno ora, la religione egemone è il Cristianesimo, il nemico, nonostante ormai le stesse istituzioni cristiane (cattoliche) stiano passando un momento di forte decadenza e crisi, è appunto la religione di Cristo. 

Certo non è una novità assoluta: negli ultimi anni è accaduto spesso che presidi ultra-laicisti abbiano voluto abolire le festività cristiane in nome della laicità, del multiculturalismo e della presenza musulmana. Sono convinto però che l'odio di tale categoria per la religione, eredità del pensiero giacobino, non sia solo contro il Cristianesimo. Oggi qui il nemico è tutto ciò che sia approssimabile a tale religione, ma un domani, chissà, se dovesse diventare egemone l'Islam, questi indiviudi farebbero l'esatto contrario di quello che fanno adesso: vieterebbero le feste musulmane in nome della presenza cristiana. 

In fondo, basta fare una carrellata dei pensatori europei che negli ultimi secoli hanno parlato bene dell'Islam o del suo profeta Maometto; a parte qualche eccezione, sono tutte persone, da Voltaire a Nietzsche, che hanno come comune denominatore un forte odio nei confronti del Cristianesimo.

Penso che in un momento come questo, ovvero con da un lato gli attacchi al sacro portati dal mondo del fondamentalismo laico sinistroide, dai presidi di casa nostra ai Charlie Hebdo, e dall'altro la religione strumentalizzata da gruppi fanatici, come l'ISIS, il mondo della tradizone religiosa autentica, un'area che travalica le frontiere settiarie e che vede musulmani e crisitiani dalla stessa parte, contro la dissacrazione - il fatto che avvenga in nome della laicità o della religione poco cambia - sia necessaria una collaborazione stretta tra chi ha a cuore la salvezza dell'essere umano, contro chi in nome dell'umanità (laica o religiosa) vuole degradare ulteriormente il rango dell'uomo, la migliore creatura di Dio. 

In fondo, nonostante le evidenti differenze quantitative, esiste un filo rosso che lega il preside di Rozzano, Charlie Hebdo e l'ISIS. Questo è il fronte di chi è in guerra contro Dio. 

lunedì 23 novembre 2015

Call for Papers: “Diritto pubblico, scienze politiche, Islam. Raccolta di saggi, volume II”


Call for Papers: “Diritto pubblico, scienze politiche, Islam. Raccolta di saggi, volume II”

Il Dipartimento di Studi giuridici, politici ed economici del Centro Studi Internazionale Dimore della Sapienza bandisce un concorso per selezionare dei saggi e articoli scientifici originali, finalizzati ad una pubblicazione cartacea (libro con codice ISBN, quindi i contributi saranno utilizzabili come titoli anche per eventuali concorsi accademici): “Diritto pubblico, scienze politiche, Islam. Raccolta di saggi, volume II”

I saggi dovranno essere pertinenti, ovvero riguardare i temi del diritto, delle scienze politiche e delle scienze sociali, nonché delle scienze economiche, in relazione alla religione musulmana, alla comunità islamica residente nei paesi non musulmani, ai paesi islamici e alle relazioni internazionali del mondo islamico; verranno in ogni caso prese in considerazione anche istanze e saggi concernenti il tema del fattore religioso in generale, anche fuori dal problema islamico.

I saggi dovranno contenere in modo obbligatorio delle note e un sunto, insieme a una breve nota biografica dell’autore.

I saggi saranno sottoposti a referaggio anonimo da parte di esperti ed accademici.

I contributi dovranno pervenire alle caselle di posta elettronica indicate a fine pagina, di pertinenza della Direzione, la quale informerà i pretendenti dell’esito positivo o negativo delle valutazioni.

I contributi dovranno pervenire entro e non oltre il 31 maggio 2016.

Gli esiti delle valutazioni saranno espressi entro il 31 luglio 2016.  

(Attenzione: Il primo volume di tale collana è stato già compilato ed è in fase di pubblicazione)

L’editore sarà Irfan Edizioni. La pubblicazione avverrà, salvo imprevisti, a cura del Dipartimento e del Direttore, tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017.

Per ogni informazione contattare il Curatore del volume, ovvero di Direttore del Dipartimento, dott. Ali Reza Jalali: alirezajalali1@yahoo.it oppure alireza.jalali@univr.it.

lunedì 26 ottobre 2015

Il ritorno della "Nuova Europa" ad un'epoca buia? I neocon statunitensi preoccupati per l'evolversi della situazione politica nell'Est europeo

Il ritorno della "Nuova Europa" ad un'epoca buia? I neocon statunitensi preoccupati per l'evolversi della situazione politica nell'Est europeo 


Il seguente articolo è una libera rielaborazione a cura di Ali Reza Jalali di Il ritorno della "Nuova Europa" ad un'epoca buia? pubblicato dal sito dell'AEI a firma di D. Rohac. Da tale breve saggio emerge chiaramente come non solo i democratici americani vicini a Obama, ma anche gli ambenti oltranzisti del partito repubblicano, a cui AEI è notoriamente vicino, sono molto preoccupati per la crisi dell'Europa orientale, dove il crescente populismo antieuropeista, tende ad avvicinare la Russia a taluni attori dell'area, scalfendo l'influenza di Bruxelles, ma anche di Washington, a vantaggio di Mosca.



Elezioni, la Polonia gela Bruxelles: vincono i nazionalisti anti Ue
Jaroslaw Kaczynski, leader dei nazionalconservatori polacchi



La vittoria ampiamente prevedibile del partito "Diritto e Giustizia" di Jaroslaw Kaczynski (PiS) alle elezioni parlamentari in Polonia (25 ottobre) ha segnato la fine di un'epoca nella storia di alcuni paesi come Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia - la c. d. "Nuova Europa" - per usare un termine coniato dall'ex Segretario della Difesa USA Donald Rumsfeld.

Dopo la caduta del comunismo, le élite politiche nei quattro paesi sono stati a lungo uniti nel loro impegno per l'integrazione europea e il rafforzamento dei legami transatlantici.

Quel tempo è finito. Alcune delle più significative personalità filo-occidentali sono trapassate, tra cui Vaclav Havel e, più recentemente, Árpád Göncz.

Altri, tra cui il riformista, ex primo ministro della Slovacchia, Mikuláš Dzurinda, o l'ex ministro degli esteri polacco, Radosław Sikorski, hanno lasciato la politica. E i rimanenti, tra cui l'ex candidato presidenziale Karel Schwarzenberg della Repubblica ceca, sono sulla via del tramonto.

Chi li sta sostituendo? In Ungheria, il potere è saldamente nelle mani di Viktor Orbán, un paria della politica europea. E, nel 2018, gli sfidanti di Orbán arriveranno dall'estrema destra - e cioè dal partito Jobbik.

Il primo ministro della Slovacchia, Robert Fico, nominalmente un socialdemocratico, ha imparato un bel paio di trucchi da Orbán. Come il suo omologo ungherese, il signor Fico non perde occasione di fare appello al radicale conservatorismo culturale, alla xenofobia, o a sentimenti anti-americani al fine di aumentare la sua popolarità in patria, anche se così allontana la Slovacchia dai suoi partner occidentali.

Nella Repubblica Ceca, i partiti politici tradizionali vengono sostituiti da gruppi populisti, talvolta creati da oligarchi locali, come il magnate Andrej Babiš.

E in Polonia il trend è lo stesso, come conferma anche, con toni molto preoccupati, Rohac, analista politico del centro di ricerca neocon USA "AEI". 



Proprio la scorsa settimana, in uno dei numerosi pronunciamenti controversi sulla crisi dei profughi, il polacco ultra-nazionalista Kaczyński ha messo in guardia il suo popolo dai migranti, accusati di portare malattie tropicali in Europa.

Sarebbe facile liquidare questi atteggiamenti come i vaneggiamenti di un vecchio tradizionalista, se non fosse per il fatto che tutto ciò riflette i pregiudizi radicati e condivisi ampiamente dalle società dell'Europa centrale.

La piattaforma di gruppi politici populisti della regione, tra cui PiS, può essere meglio descritta come una rivolta contro il mondo moderno, che sta diventando sempre più globalizzato, integrato e mobile.


Il Partito di Kaczyński promette più spesa sociale e meno tasse, tutto finanziato da contributi mirati sul settore finanziario e sulla tassazione delle società di grandi dimensioni, di proprietà straniera - non in modo dissimile dalle politiche utilizzate dal governo di Orbán in Ungheria.


Tutto ciò complica notevolmente la situazione per le istituzioni comunitarie, che avevano visto in un primo momento nell'Europa orientale un punto di riferimento da contrapporre alla vecchia Europa occidentale. 

L'Unione europea in particolare, è in condizioni di stress senza precedenti. Per mantenere l'Eurozona in vita, i leader europei hanno bisogno di completare l'integrazione fiscale e politica. 

L'Occidente nel suo complesso, compresa l'UE, dovrà riflettere attentamente su come affrontare la minaccia russa, che si estende dal Baltico al Mediterraneo orientale.

Una delle caratteristiche che distingue il marchio della politica di leader come Orbán, Kaczyński, e Fico, è la loro ricerca spasmodica del concetto di 'interesse nazionale.'

Per questi leader l'Euro, la crisi dei rifugiati, la guerra della Russia contro l'Ucraina, non sono problemi che riguardano i loro paesi. 

L'UE è lì per la fornitura di assistenza finanziaria e per la spesa in infrastrutture e per garantire il loro accesso ai mercati europei. La NATO è lì per proteggerli. Ma sembrano del tutto irriconoscenti a ciò. 


Ma c'è da essere fiduciosi. La regione ha istituzioni più forti nella società civile, nei giornalisti e negli intellettuali, rappresentanti di un'ampia porzione filo-occidentale nei paesi dell'area.

Innumerevoli sono le organizzazioni e gli individui che condannano la corruzione della politica locale e il populismo, nonché il malgoverno.

E ci rimangono ancora una manciata di leader politici - come il presidente slovacco Andrej Kiska - che usano la loro influenza per fare le cose giuste.

Purtroppo, come dimostra la vittoria di PiS in Polonia, le cose dovranno probabilmente peggiorare ulteriormente prima di migliorare.


https://www.aei.org/publication/new-europes-return-to-the-dark-ages/

lunedì 5 ottobre 2015

LA GUERRA CIVILE ISLAMICA. "Eurasia. Rivista di studi geopolitici", 3/2015

LA GUERRA CIVILE ISLAMICA. "Eurasia. Rivista di studi geopolitici", 3/2015 


Editoriale di C. Mutti 

“omnia divina humanaque iura permiscentur” (Cesare, De bello civili, I, 6)
La guerra civile è propriamente un conflitto armato di ampie proporzioni, in cui le parti belligeranti sono costituite principalmente da cittadini di un medesimo Stato; obiettivo di ognuna delle due fazioni in lotta è la distruzione totale dell’avversario, fisica e ideologica. Tuttavia tale definizione può essere applicata in modo estensivo: Ernst Nolte, ad esempio, chiama “guerra civile europea” il conflitto delle due ideocrazie che, nel periodo compreso tra la Rivoluzione d’Ottobre e la sconfitta del Terzo Reich, hanno cercato di annientarsi reciprocamente. Guerra civile, ma combattuta su scala mondiale, fu secondo Nolte anche la guerra fredda: uno “scontro politico-ideologico tra due universalismi militanti, ciascuno dei quali era in possesso almeno di un grande Stato, uno scontro la cui posta in gioco era la futura organizzazione di un mondo unitario” (1).
In una certa misura, è possibile estendere la definizione di “guerra civile” al conflitto politico e militare che, nell’odierno mondo musulmano, contrappone Stati, istituzioni, movimenti, gruppi e fazioni appartenenti alla stessa comunità (umma). Un conflitto di tal genere viene indicato dal lessico islamico mediante il termine arabo fitna, al quale ricorre il Corano laddove esso afferma che “la sedizione è più violenta della strage” (al-fitnatu ashaddu min al-qatl) (2).
La prima fitna nella storia dell’Islam è quella che lacerò la comunità musulmana durante il califfato dell’Imam ‘Ali. Conclusasi la rivolta dei notabili meccani con la loro sconfitta nella Battaglia del Cammello, la fitna riesplose con la ribellione del governatore della Siria, Mu’awiya ibn Abi Sufyan, il quale, dopo aver affrontato a Siffin l’armata califfale e dopo essersi impadronito dell’Egitto, dello Yemen e di altri territori, nel 661 diede inizio alla dinastia omayyade. Una seconda fitna contrappose il califfo omayyade Yazid ibn Mu’awiya al nipote del Profeta Muhammad, al-Husayn ibn ‘Ali, che il 10 ottobre 680 conobbe il martirio nella Battaglia di Kerbela. La terza fitna fu lo scontro interno alla famiglia omayyade, che spianò la strada alla vittoria abbaside. La quarta fu la lotta fratricida tra il califfo abbaside al-Amin e suo fratello al-Ma’mun.
La prima e la seconda fitna, lungi dall’essersi risolte in un mero fatto politico, sono all’origine della divaricazione dell’umma islamica nelle varianti sunnita e sciita: due varianti corrispondenti a due prospettive della medesima dottrina e perciò definibili come “dimensioni dell’Islam insite in esso non per distruggere la sua unità, ma per rendere atta a parteciparvi una più ampia parte di umanità e individui di differente spiritualità” (3).
Ora, mentre la maggior parte degli Arabi, dei Turchi, dei Pakistani è sunnita, come sunnita è pure l’Indonesia, che è il più popoloso dei paesi musulmani, il nucleo più compatto e numericamente consistente dell’Islam sciita è rappresentato dal popolo iraniano. Questa stretta relazione dell’Iran con la Scia viene oggi utilizzata in un quadro strategico ispirato alla teoria dello “scontro di civiltà”: i regimi del mondo musulmano alleati degli Stati Uniti e di Israele fanno un ricorso strumentale al dualismo “Sunna-Scia” al fine di eccitare lo spirito settario e dirigere le passioni delle masse contro la Repubblica Islamica dell’Iran, dipinta come irriducibile nemica dei sunniti e presentata come nucleo statuale dell’egemonia regionale “neosafavide” (fu sotto la dinastia safavide che nella Persia del XVI secolo la Scia diventò religione di Stato).

L’alimento ideologico del settarismo antisciita è costituito soprattutto, anche se non unicamente, dalle correnti wahhabite e salafite, le quali fin dal loro apparire sono state oggetto di riprovazione e di condanna da parte dell’ortodossia sunnita. Circa lo storico rapporto di solidarietà che collega tali manifestazioni di eterodossia all’imperialismo britannico e statunitense, ci siamo già dilungati altrove (4). Qui sarà opportuno osservare che il più recente e virulento prodotto delle suddette correnti, ossia il sedicente “Stato Islamico” (Daesh, Isis, Isil ecc.), palesemente sostenuto da Arabia Saudita, Qatar e Turchia, è lo strumento di una strategia americana finalizzata ad assicurare al regime sionista l’egemonia sul Vicino Oriente e quindi ad impedire il formarsi di un blocco regionale che dall’Iran si estenda fino al Mediterraneo.
Occorre inoltre notare la significativa somiglianza che intercorre tra il caricaturale e parodistico “Califfato” di al-Baghdadi e la petromonarchia saudita. Gli efferati e bestiali atti di sadismo compiuti dagli scherani del cosiddetto “Stato Islamico”, la devastazione sacrilega dei luoghi di culto tradizionali e la vandalica distruzione dei siti della memoria storica in Siria e in Iraq, infatti, costituiscono altrettante repliche di analoghi atti di barbarie commessi dai wahhabiti nella penisola arabica (5). Il cosiddetto “Stato Islamico”, come è stato ampiamente mostrato sulle pagine di questa rivista6, non è se non una forma radicale e parossistica di quella particolare eterodossia che ha il proprio eponimo in Muhammad ibn ‘Abd al-Wahhab. D’altronde, sia l’entità saudiana sia la sua replica denominata “Stato Islamico” devono entrambe la loro nascita e il loro sviluppo agl’interessi angloamericani ed alle scelte operative della geopolitica atlantica.
La “guerra civile” islamica, la fitna che oggi divampa nel mondo musulmano, trae dunque origine dall’azione combinata di un’ideologia settaria e di una strategia che i suoi stessi ideatori hanno chiamata “strategia del caos”.
Claudio Mutti è Direttore di “Eurasia”.

NOTE
1. Ernst Nolte, Deutschland und der Kalte Krieg (2a ed.), Klett-Cotta, Stuttgart 1985, p. 16.
2. Corano, II, 191.
3. Seyyed Hossein Nasr, Ideali e realtà dell’Islam, Rusconi, Milano.
4. Claudio Mutti, L’islamismo contro l’Islam?, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, a. IX, n. 4, ott.-dic. 2012, pp. 5-11.
5. Carmela Crescenti, Lo scempio di Mecca, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, a. XI, n. 4, ott.-dic. 2014, pp. 61-70.
6. Jean-Michel Vernochet, Le radici ideologiche dello “Stato Islamico”, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, a. XI, n. 4, ott.-dic. 2014, pp. 81-85.


Ecco di seguito l’elenco degli articoli presenti in questo numero, con un breve riassunto di ciascuno di essi
EDITORIALE
Claudio Mutti, La guerra civile islamica

DOSSARIO: LA GUERRA CIVILE ISLAMICA
LA GUERRA ALL’ISIS SENZA L’ONU
di Ali Reza Jalali
L’avanzata del cosiddetto “Stato Islamico dell’Iraq e della Siria” ha posto seri problemi al sistema attuale delle relazioni internazionali e del diritto internazionale, non solo per le drammatiche atrocità e le palesi violazioni del diritto umanitario da parte dei miliziani radicali, ma anche per via dell’incapacità della “comunità internazionale” di trovare un accordo su come affrontare tale inquietante problema. Ciò si è concretizzato nell’assenza di una risoluzione del CSNU contro l’ISIS, che potesse autorizzare, in ossequio alla legalità internazionale, un conflitto contro il gruppo guidato da Abu Bakr Al-Baghdadi, ponendo gli studiosi dinnanzi a problemi risolvibili solo attraverso elaborazioni dottrinali forzate, volte a giustificare legalmente una guerra senza mandato ONU.

LE FASI DI UNA FITNA ORGANIZZATA
di Pierre Dortiguier
Il termine coranico fitna (“discordia, sedizione, guerra intestina”) indica il crimine più grave, perché equivale ad un suicidio della comunità. La fitna attuale è il prodotto di una sorta di bolscevismo musulmano, negatore di ogni base culturale, che si arroga il diritto di parlare in nome di Dio. L’autore – che per confutare la rovinosa utopia wahhabita si richiama alla Sura V – ritiene che tale deviazione sia il risultato di un’opera di sovversione psicologica, finalizzata a garantire sopravvivenza all’entità sionista, tra le macerie di un Vicino Oriente impegnato in una lotta fratricida.

L’ETICHETTA CONFESSIONALE DELLA GUERRA YEMENITA
di Domenico Caldaralo
L’attuale conflitto in Yemen è stato dipinto come scontro tra sunniti e sciiti: sunniti capeggiati dall’Arabia Saudita da un lato e sciiti ispirati dall’Iran dall’altro. In realtà nel paese si fronteggiano due schieramenti politici. L’uno favorevole a un governo su base tribale e strutturato in maniera confederale tra un nord sciita e un sud-est sunnita, l’altro favorevole a una soluzione presidenzialista e unionista. I grandi attori coinvolti non hanno il medesimo interesse nella partita yemenita. L’Arabia Saudita non vuole avere una potenziale spina nel fianco ai suoi confini, mentre l’Iran, il cui appoggio ai ribelli houti non è provato in alcun modo, auspica una soluzione politica della crisi.

DOPO LA DISTRUZIONE DELLA GIAMAHIRIA
di Gaetano Potenza
Il quadro politico istituzionale della Libia odierna, a quattro anni dall’inizio delle rivolte, è caratterizzato da una frammentazione dell’uso della forza che ha creato una divisione istituzionale con due parlamenti e rispettivi governi a Tobruk e Tripoli. Ad essi vanno aggiunte le forze della galassia gihadista e dello “Stato Islamico” che controllano parti strategiche del paese. Se da un lato la causa della frammentazione è da attribuire alla mancanza di una forza egemone che sapesse sintetizzare la base sociale del paese, come era avvenuto fin dalla nascita della Libia, dall’altra la comunità internazionale ha ripetuto l’errore commesso in Iraq non facendo seguito ad una fase che potesse garantire la transizione delle neonate istituzioni libiche.

LA “PRIMAVERA ARABA”, CINQUE ANNI DOPO
di Enrico Galoppini
Il caos e la sovversione, in soli cinque anni di “rivolte”, hanno reso il mondo arabo-islamico molto più insicuro per tutti. Il bilancio della “primavera araba” è a dir poco tragico. Da un lato, le istanze che spingono verso una “società aperta”, dall’altra un apparente “tradizionalismo”. In mezzo alla guerra fratricida etnica e religiosa, ci guadagna chi ha reso il Dâr al-Islâm il campo di battaglie per interposta persona. Il crollo delle “repubbliche” e il ruolo delle monarchie che vantano una legittimità religiosa. Il grande interrogativo è su come andrà a finire.

ANATOMIA DEL CAOS
di Amedeo Maddaluno
Quello cui assistiamo non è uno scontro religioso tra sciiti e sunniti. È uno scontro geopolitico che coinvolge le tre potenze storiche della regione (quella turca, quella persiana e quella saudita) e le tre grandi potenze globali (USA, Russia, Cina). Ciò spiega l’ambiguità degli USA nel loro atteggiamento verso il sedicente “Stato Islamico”, Al Nusra, il settarismo wahhabita e salafita nonché l’appoggio turco a quest’ultimo. Senza l’intervento russo non ci sarebbe speranza per Damasco. Un’Europa sempre più suddita e priva di strategia, invece di ringraziare la Russia che tenta di evitare il dilagare del cosiddetto “Stato Islamico”, si accoda agli USA contro il proprio interesse principale: stabilizzare il Vicino Oriente.

LA VITTORIA ISLAMISTA IN MAROCCO
di Alessandro Balduzzi
La prospettiva di un moloch fondamentalista incoronato dalle urne appare un’esagerazione figlia dell’attuale clima di terrore islamofobo.

MIGRAZIONI
LO SCIPPO DELLA SOVRANITA’ E LE MIGRAZIONI SUBITE
di Enrico Galoppini
I nodi dell’assenza di sovranità di questa “Unione Europea” stanno venendo impietosamente al pettine. Il banco di prova è quello delle cosiddette “migrazioni globali”, subite passivamente perché con la medesima passività viene subita la riduzione dell’Europa a prolungamento strategico dell’America. Settant’anni di occupazione militare, politica, economica e culturale hanno prodotto degli europei che non sapendo più chi sono si avviano – se non interverrà un miracolo – alla loro pura e semplice dissoluzione.

MIGRANTI IN TURCHIA
di Aldo Braccio
L’articolo riscontra i casi di migrazione interna – in particolare verso Istanbul – e il fenomeno dell’emigrazione all’estero, in primo luogo verso la Germania: il caso dei gecekondular e il concetto di gurbet possono rappresentare rispettivamente il degrado metropolitano connesso al primo caso e l’atteggiamento di nostalgia (di desiderio di ritorno alla patria) legato al secondo. Viene poi trattato l’aspetto particolarmente importante e attuale della migrazione di transito in Turchia, che si accompagna alla massiccia presenza di profughi siriani stanziati nel territorio turco, e viene dato conto della normativa nazionale – anche in relazione alla Convenzione di Ginevra – in tema di immigrazione.

L’IMMIGRAZIONE AFGANA IN IRAN
di Ali Reza Jalali
I fenomeni migratori di massa sono stati spesso nella storia il frutto di problemi economici, guerre e cambiamenti climatici che in alcuni casi hanno costretto milioni di persone ad emigrare dai loro territori creando situazioni complicate, soprattutto nelle fasi iniziali dei nuovi insediamenti. L’epoca contemporanea non è esente da questi fatti; anzi, la globalizzazione e la relativa facilità degli spostamenti da un luogo all’altro hanno contribuito a velocizzare i processi migratori. Un caso interessante di migrazione dovuta a motivi legati alle condizioni economiche ed alla guerra è quello che ha visto protagonisti gli afgani emigrati in Iran dalla fine degli anni ’70 del XX secolo ad oggi, fenomeno poco conosciuto nella dottrina italiana, ma sempre al centro dei precari equilibri geopolitici del Vicino Oriente e dell’Asia centrale.

CONTINENTE RUSSIA
L’ARTICO E LA “PRIMAVERA RUSSA”
di Davide Ragnolini
L’attuale fase della “seconda guerra fredda” ha visto un’accresciuta assertività della politica artica russa ed un’ufficiale adesione ad un orientamento antirusso da parte del blocco scandinavo. Sullo sfondo del recente confronto diplomatico e strategico tra Mosca e la NATO nella regione artica si stagliano la rilevanza delle risorse energetiche artiche, l’importanza delle implicazioni strategiche ed economiche dell’impiego del passaggio a nord-est per Russia e Cina, il coinvolgimento in un piano di crescente militarizzazione della regione di attori esterni all’Alleanza Atlantica come Svezia e Finlandia, ed il tentativo di isolare la Russia all’interno dell’Arctic Council.

TBILISI SETTE ANNI DOPO
di Ivelina Dimitrova
Nel 1991, in seguito alla disgregazione dell’Unione Sovietica, la Georgia proclamò con un referendum, boicottato dalle minoranze ossete e abkhaze, la propria indipendenza. Nell’articolo vengono ripercorse le vicende geopolitiche di Tbilisi dai primi anni Novanta fino ai giorni nostri, eventi significativamente condizionati dalle due guerre ossete, le cui ferite non si sono ancora del tutto rimarginate. Vengono analizzati l’ascesa e il declino politico di Michail Saakashvili, leader di quella “rivoluzione delle rose” che nel 2003 rovesciò il governo di Eduard Shevardnadze, per giungere all’affermazione, nel 2012, del partito fondato dal miliardario georgiano Bidzina Ivanishvili, che da allora domina la scena politica nella piccola repubblica caucasica. La nuova dirigenza georgiana, al contrario di quella di Saakashvili, sta attuando una politica pragmatica, moderata e prudente nella gestione dei rapporti con il potente vicino russo, pur continuando a dichiarare che le priorità per la Georgia rimangono sempre le stesse: ingresso nella NATO e nell’UE.

INTERVISTE
ITALIA E IRAN: UN RAPPORTO DA CONSOLIDARE
Emanuele Bossi intervista Alì Pourmarjan

CONTESTO INTERNAZIONALE DEL CASO MORO
Anna Maria Turi intervista il Generale Cornacchia

RECENSIONI
Fabio Falchi: Una nuova storia alternativa della filosofia di Costanzo Preve
Giacomo Gabellini: Capire la Russia di Paolo Borgognone
Davide Ragnolini: L’aquila della steppa di Aldo Fais
Enrico Galoppini: Eurasia, Vladimir Putin e la grande politica di Alain De Benoist e Aleksandr Dugin
Enrico Galoppini: Istanbul di Franco Cardini
Enrico Galoppini: Rivoluzioni spa. Chi c’è dietro la primavera araba di Alfredo Macchi
Marco Toti: Dialogo sull’Islam tra un padre e un figlio di Dag Tessore e Alberto Tessore
Yannick Sauveur: Le Camp des Saints di Jean Raspail


Per ogni informazione vedi il sito internet della rivista "Eurasia" 

sabato 19 settembre 2015

"Iran Commercio": un nuovo blog dedicato alla consulenza per il business tra Italia e Iran


E' con piacere che invito i lettori del blog a seguire un nuovo spazio sul web, "Iran Commercio", dedicato alle attività imprenditoriali di vario genere tra Italia e Iran, con dei professionisti a disposizione di tutti gli italiani desiderosi di lavorare con le aziende iraniane.
 
 
 
 
 
 
 
"Iran Commercio" 

Chi siamo

 

"Iran Commercio" è un blog che si occupa di affari, commercio, industria, agricoltura, artigianato, import-export, turismo e cultura nei vari ambiti lavorativi e settori economico-professionali. Offre consulenza a tutti gli italiani interessati a lavorare con le aziende iraniane.

giovedì 17 settembre 2015

Conferenza di "Dimore della Sapienza" a Brescia: “Identità europea e questione islamica”



 
 

 

Può esistere una identità europea autoctona, orgogliosa delle proprie radici e delle proprie tradizioni, in simbiosi con l’Islam? L’identità europea, per come si è forgiata lungo la storia, è compatibile con la religione musulmana? Esiste un Islam europeo indigeno o l’unica forma di Islam possibile è quella che va di pari passo con l’immigrazione? Quale rapporto esiste tra religione musulmana e fenomeni migratori? E’ giusto identificare l’Islam con gli immigrati musulmani o esiste un Islam europeo autoctono fiero di essere tale che si batte contro l’immigrazione di massa?

Queste sono alcune delle domande alle quali cercheremo di dare una risposta, il 10 ottobre 2015 (ore 15:30) a Brescia (via Pasquali 5), grazie ad una conferenza (“Identità europea e questione islamica”) organizzata dal Centro Studi Internazionale “Dimore della Sapienza” in collaborazione con “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”.

L’evento sarà introdotto dal Presidente del C. S. I. “Dimore della Sapienza”, dott. Ali Reza Jalali, e vedrà come relatori il Direttore della rivista “Eurasia” – prof. Claudio Mutti – e il Direttore del Dipartimento di Studi storici del C. S. I. “Dimore della Sapienza” – dott. Paolo Rada – nonché la partecipazione alla discussione del prof. Enrico Galoppini, già docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Torino.

L’ingresso è libero e i presenti potranno, al termine delle relazioni, fare delle domande inerenti gli argomenti della conferenza ai relatori. 
 
 
 
Per ogni info:
 
 

lunedì 24 agosto 2015

Ali Reza Jalali all'IRIB: rapporti Turchia- Russia in crisi

agosto 2015

 

Alireza Jalali all'IRIB: rapporti Turchia- Russia in crisi dovuto all'uso di Ankara di Basi americane in Turchia
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TEHERAN (IRIB)- Ali Reza Jalali, presidente del Centro Studi Internazionale “Dimore della Sapienza”,  saggista e analista delle questioni politiche internazionali e’ stato intervistato dalla nostra Redazione sulla politica interna ed internazionale turca e i suoi conflitti interni ed esteri.
Per ascoltare la versione integrale della sua intervista potete cliccare qui sotto:
 
 

lunedì 3 agosto 2015

Il Fattore “R”. Conflitti religiosi, Religioni civili, Scenari geopolitici



Ieri è iniziata la ventesima edizione dell’Università d’Estate di San Marino con un ricco programma di docenti internazionali, ha aperto i lavori il Segretario di Stato per gli Affari Esteri della Repubblica di San Marino, l’On. Pasquale Valentini con un intenso discorso declinato come di consueto da un’analisi, prima che politica, di valori. La necessità di San Marino - ha sottolineato Pasquale Valentini - in un momento così delicato, in cui si sta avvicinando all’Unione Europea, è di riflettere seriamente su cosa sia l’Europa, con momenti di approfondimento come l’Università d’Estate che potrebbero divenire più frequenti durante l’arco dell’anno, in modo da instaurare un momento di confronto permanente. Sono seguiti i saluti di Sua Eccellenza Mons.Turazzi. I lavori sono entrati nel vivo con una lezione magistrale del prof. Mislav Jezic, docente di storia delle religioni dell’Università di Zagabria e del giovanissimo dr. Federico Petroni, responsabile del Limes club di Bologna. 
Particolarmente interessante il confronto oggi tra Franco Cardini, storico e Presidente della Fondazione Paneuropea Sammarinese e Ali Reza Jalali, Università di Verona sull’accordo di Vienna appena sottoscritto dall’Iran sul tema dell’utilizzo dell’energia nucleare. Ali Reza Jalali ha illustrato in una sintesi particolarmente acuta come l’Iran non abbia nessun tipo di vantaggio strategico ad utilizzare per fini di aggressione a paesi terzi la bomba atomica, altresì ha indicato quali profili tecnici potrebbero essere causa di una mancata ratifica dell'accordo. Anche lo storico Franco Cardini, dopo una interessantissima descrizione storica del mondo islamico ha convenuto sulle stesse conclusioni: L'Iran non essendo una grande potenza ed essendo stato colpito per molti anni da sanzioni internazionali che hanno minato profondamente l'economia del paese non ha interesse alcuno ad utilizzare il nucleare per fini bellici.

Comunicato stampa


Dal sito della tv pubblica della Rep. di San Marino 

http://www.smtvsanmarino.sm/comunicati/2015/07/25/identita-memoria-fattore-r-conflitti-religiosi-religioni-civili-scenari-geopolitici