martedì 29 aprile 2014

"Khorasan Diplomat": una nuova rivista di politica internazionale in Iran


A breve sarà pubblicata in Iran una rivista tutta nuova, specializzata in politica, diritto e relazioni internazionali, denominata “Khorasan Diplomat”, legata al quotidiano “Khorasan”, pubblicato a Mashad. Questo quotidiano è la seconda testata più importante e con più copie vendute dell’Iran, al di fuori delle testate di Tehran. Il primo numero della rivista invece sarà dedicato all’Unione Europea. Sulla rivista ci saranno interviste a vari esponenti della politica europea, come alcuni eurodeputati, così come ad alcuni politici iraniani. Gli articoli saranno firmati da studiosi, accademici, ricercatori e giornalisti. Vi saranno anche due articoli a firma italiana: un saggio di Andrea Fais (1) e uno di Ali Reza Jalali. Il primo dedicato al ruolo dell’Iran nel mondo multipolare e il secondo dedicato al diritto dell’Unione Europea e alle sue istituzioni.
 
 
1-      http://andreafais.wordpress.com/ Andrea Fais è giornalista e saggista, esperto di geopolitica.  
Una prima pagina del quotidiano "Khorasan"

حقوق هسته ای ایران و شکست تحریم ها در نشست بین المللی پاریس

 
 
 
Il seguente articolo è una notizia apparsa sul sito dell'IRNA, agenzia di stampa ufficiale dell'Iran, attraverso la quale si elabora una recensione di un incontro a Parigi svoltosi nel 2103, di cui avevamo avuto modo di informarvi in passato:
 
 
 
 
La news è in persiano:
 
حقوق هسته ای ایران و شکست تحریم ها در نشست بین المللی پاریس

پاریس - در جریان برگزاری یک همایش علمی و کارشناسی بین المللی در پاریس، حقوق هسته ای ایران و همچنین ناکارآمدی تحریم های غیرقانونی علیه ایران مورد تاکید قرار گرفت.

کد خبر: 80689034 | تاریخ خبر: 19/03/1392 - 12:28

به گزارش ایرنا، جمعی از کارشناسان، اساتید و صاحبنظران علمی و دانشگاهی، چهره های سیاسی فرانسوی و اروپایی در همایش تازه برگزار شده ˈتحریم های مرتبط با منع تکثیر سلاح، برآورد و تخمین خواسته ها و نتایج حاصلهˈ که در محل مجلس سنای فرانسه برگزار شد، این موضوع مورد تاکید قرار گرفت که تحریم های یکجانبه وضع شده علیه ایران نه تنها نتوانسته مانع پیشرفت های تهران در زمینه فعالیت های صلح آمیز هسته ای شود، بلکه سبب شده ایران در این زمینه و برخی حوزه های علمی دیگر توسعه یابد و پیشرفت کند.

کارشناسان و چهره های سیاسی شرکت کننده در این همایش علمی بین المللی حدود 20 مقاله ارایه کردند، برآورد کردند که تحریم های اعمال شده تنها فشار بر مردم است و بدین لحاظ مشروعیت خود را از دست داده است.

الی حاتم حقوقدان و استاد دانشکده آزاد حقوق اقتصادی و مدیریتی پاریس و عضو کانون وکلا این کلانشهر گفت: تحریم های فرا سرزمینی نه تنها نامشروع بوده بلکه باعث بروز بی نظمی در مجامع بین المللی می شود.

حاتم با بیان اینکه از نظر قوانین حقوقی، اصل بر استقلال کشورها است، افزود این اصل به کشورها اجازه می دهد، در سطح داخلی به سازماندهی امور خود پرداخته و به صورت آزاد با تمسک جستن به نظام قضایی و دولتی، خود را سامان دهند.

این حقوقدان بین المللی همچنین افزود: تحریم های فراسرزمینی تدابیری هستند که از سوی یک کشور یا تعدادی از کشورها علیه عاملان عمومی یا خصوصی در کشور ثالث وضع می شود که تجاوزی آشکار به تمامیت کشورها و نادیده گرفتن اصل عدم مداخله در امور داخلی به حساب می آید.

استاد دانشگاه و محقق روابط بین الملل در دانشگاه لندن نیز با ضد و نقیض خواندن دلایل تحریم های ضد ایرانی، گفت : تحریم ها یک ابزار و وسیله ترجیحی در سیاست خارجی غرب است.

علی فتح الله نژاد افزود: تحریم ها از سوی کشورهای غربی به عنوان وسیله به ظاهر مسالمت آمیز و تکمیل کننده دیپلماسی عنوان می شود که هدف آن ممانعت از بروز جنگ بیان می شود.

وی اضافه کرد: ولی برعکس همانگونه مورد عراق نیز نشان داد، مساله اصلی این است که تحریم ها در اغلب مواقع آخرین مرحله قبل از حملات نظامی به حساب می آیند و به عبارتی دیگر ˈبمب های هوشمندˈ جایگزین ˈتحریم های هوشمندˈ می شود.

این محقق ایرانی دانشگاه لندن گفت: جز این سناریوهای بد، تحریم ها کمکی به حل درگیری ها نمی کند، بلکه زمینه ساز سخت ترشدن جبهه های مخالف می شود.

وی گفت: سیاست تحریمی از نظر دیپلماتیک و اجتماعی - اقتصادی همواره غیر سازنده بوده است.

پییر لافرانس و فرانسوا نیکولو سفیران اسبق فرانسه در تهران، تییری کوویل استاد دانشگاه اقتصادی نوانسیا در فرانسه، پییر امانوئل دوپون، کلودیو موتی استاد دانشگاه های ایتالیا، ماتیو هاپولد استاد حقوق بین الملل دانشگاه لوکوزامبورگ، ژان پییروتو واگلیا سفیر اسبق سوییس در فرانسه، رکتور آرمل پشور استاده دانشکده حقوق پاریس، الکساندر اورخل آشویلی استاد دانشکده حقوق دانشگاه بیرمنگهام انگلیس و فرانسوا ژره بینانگذار موسیه فرانسوی تحلیل راهبردی و علیرضا جلالی محقق و استاد دانشگاه ایتالیا از جمله سخنرانان این همایش بودند که در آن 20 مقاله ارائه شد.
 

lunedì 28 aprile 2014

“Io sono Rohani”: il presidente iraniano dalla vicenda Iran-gate alla guida dell’esecutivo



 

di Ali Reza Jalali  

In questi giorni in Iran si discute di molte cose: dalle riforme economiche che stanno facendo aumentare i prezzi della benzina e dell’energia, in funzione di un taglio dei sussidi pubblici in questi settori, alla politica estera, sempre al centro del dibattito per l’interminabile diatriba sul nucleare di Tehran e le trattative col 5+1 (paesi del Consiglio di Sicurezza dell’ONU più la Germania). Ultimamente però è stato pubblicato un interessante documentario (1) sulla vita dell’attuale presidente iraniano Rohani, a capo di una grande coalizione che comprende ministri e collaboratori di tutto l’arco costituzionale iraniano, dai riformisti vicini all’ex presidente Khatami, ai conservatori vicini al presidente del parlamento Larijani, ma con una forte prevalenza della componente “centrista” vicina a Rafsanjani, ex presidente dell’Iran negli anni ’90 e influente uomo politico ancora oggi. Il titolo del documentario è “Man Rohani hastam”, letteralmente “Io sono Rohani”, ma il titolo è in realtà un gioco di parole, in quanto la parola “rohani” in italiano è quasi intraducibile, indicando in ogni caso gli appartenenti al clero in Iran. “Rohani” deriva da “ruh”, letteralmente “spirito”; in pratica “rohani” vorrebbe dire “colui che si occupa di cose spirituali” (2). Il documentario di circa un’ora ripercorre alcuni momenti salienti della carriera politica del leader iraniano e ha fatto molto scalpore in quanto presenta profili particolari dell’attuale presidente. Non pochi politici iraniani hanno contestato il video, presente su “You Tube”, descrivendolo come grottesco e pieno di menzogne (3). I responsabili del video sono dei giovani attivisti, che operano per conto di una associazione, secondo alcuni vicini alla Guardia Rivoluzionaria della Repubblica Islamica.

Il primo evento preso in considerazione è la vicenda “Iran-gate”, famoso episodio della politica internazionale. In pratica, nella seconda metà degli anni’80, in piena guerra Iran-Iraq e con forti tensioni tra Washington e Tehran, un aereo europeo con personale irlandese atterra a Mehrabad, allora aeroporto internazionale della capitale iraniana. A bordo si trovavano alcuni esponenti di spicco dell’amministrazione Reagan, una delegazione guidata da un certo McFarlane, consigliere alla Sicurezza Nazionale del presidente in persona, accompagnato da altri personaggi legati al governo americano. L’aereo è pieno di armamenti necessari per gli iraniani, coinvolti nella guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein; l’Iran era allora, come anche oggi, vittima di un pesante embargo e in pochi paesi erano disposti a commerciare armi col paese persiano. McFarlane aveva portato da Washington dei “regali simbolici” per gli iraniani, ovvero una Bibbia firmata personalmente da Reagan e una torta con sopra una chiava, simboleggiante la volontà americana di “aprire” un dialogo costruttivo con la Repubblica Islamica. Una volta atterrati, gli americani chiedono di parlare col presidente iraniano, allora Ali Khamenei, attuale Guida della Rivoluzione e Capo dello Stato, ma egli rifiuta. Allora gli americani chiedono di poter parlare con altre autorità di spicco. Intanto la Guida di allora, l’imam Khomeini, avuta la notizia dell’arrivo degli americani, chiede che fino a quando non si conosce il carico dell’aereo e non si hanno notizie certe riguardo al personale a bordo, nessuno possa incontrare gli “ospiti”. Tra i dirigenti iraniani però si dimostra interessato alla trattativa Rafsanjani, allora a capo del parlamento. Quest’ultimo decide di contattare Hassan Rohani, allora deputato, per prendere contatto con gli americani. A questo punto il video ritorna indietro nel tempo e gli autori ci fanno un sunto delle attività di Rohani prima della rivoluzione. Un passaggio mi è sembrato interessante; Rohani racconta in prima persona di come i suoi maestri, tra cui il martire Morteza Motahari, tra i principali collaboratori dell’imam Khomeini, invitassero i giovani chierici a studiare le materie “laiche”, in concomitanza con gli studi religiosi, usanza questa vista male dai sapienti più anziani. Rohani racconta di come i libri delle materie non religiose venivano consultati da lui clandestinamente, per non attirare l’ira dei maestri tradizionalisti. Un’altra vicenda interessante della storia di Rohani prima della rivoluzione del ’79 fu un suo discorso in occasione dei funerali di uno dei figli dell’imam Khomeini a Tehran. L’orazione di Rohani in quella circostanza, orazione che apertamente elogiava l’imam, allora considerato dal governo iraniano il pericolo numero uno per la stabilità del paese (siamo nella seconda metà degli anni ’70) lo rese abbastanza famoso e anche le autorità iniziarono a controllarlo.

All’indomani della rivoluzione il suo primo compito fu quello, sotto la guida di Ali Khamenei, incaricato dall’imam Khomeini in persona, di riformare e controllare in senso rivoluzionario e islamico le forze armate e l’esercito. Ad esempio il documentario riporta la vicenda in cui Rohani obbligò le donne di un ente legato all’esercito a portare il velo, dicendo che chi non lo avesse fatto, gli sarebbe stato impedito di entrare dentro la caserma (nei primi mesi della rivoluzione il velo non era ancora obbligatorio nelle strade e all’aperto). Rohani racconta anche di come a nemmeno un anno dalla rivoluzione fu vittima di un tentato omicidio da parte presumibilmente di qualche attivista di sinistra. A questo punto il documentario ripercorre le vicende del progressivo deterioramento dei rapporti con gli USA, fino alla presa degli ostaggi all’ambasciata nel novembre del 1980 e quindi si torna alla vicenda “Iran-gate”. Gli iraniani, i dirigenti di spicco dello Stato, decidono quindi di evitare l’incontro diretto con McFarlane e i suoi, ma segretamente Rafsanjani manda Rohani a discutere con gli americani a Mehrabad. Gli iraniani vogliono che la vicenda si concentri su alcuni punti, ovvero le trattative per la liberazione degli ostaggi americani in Libano, sequestrati da miliziani sciiti filo-iraniani, quelli che successivamente saranno conosciuti col nome di Hezbollah. Inoltre agli iraniani, o almeno ad alcuni di essi, non sarebbe dispiaciuto nemmeno acquistare armi sofisticate dagli USA; storicamente il contatto privilegiato per gli americani era Rafsanjani, già attivo per comprare armi tramite imprenditori iraniani negli States. Reagen successivamente rivelerà che l’incontro segreto di Tehran doveva migliorare le relazioni bilaterali su più fronti, e che la vicenda degli ostaggi in Libano era solo una scusa. Ci saranno in quell’occasione 7 round di incontri tra la delegazione USA e gli iraniani, anche se McFarlane non parteciperà più direttamente, in quanto egli riteneva che i suoi omologhi nell’ordinamento iraniano fossero i ministri e non un deputato del parlamento come Rohani. Gli incontri terminarono e gli americani tornarono da dove erano venuti senza aver potuto incontrare i dirigenti di spicco della Repubblica Islamica. Successivamente, almeno questa è la versione ufficiale degli iraniani, le armi consegnate a Tehran, si rivelarono di fabbricazione israeliana, e per questo riconsegnati al mittente. In ogni caso poi sarà rivelato che gli americani riuscirono a entrare in Iran con falsi passaporti irlandesi (le fotocopie dei passaporti furono mostrati in TV dallo stesso Rafsanjani).

La vicenda arrivò su tutte le prime pagine dei giornali del mondo, imbarazzando notevolmente Reagan. Il documentario poi si concentra su alcune vicende di politica interna iraniana, dalle diatribe tra l’imam Khomeini e Rohani sulla gestione dei media pubblici, vicenda risolta con le dimissioni “obbligate” dell’attuale presidente su volontà dell’imam stesso, fino a varie tornate per le elezioni politiche. Rohani sarà deputato per diverse legislature e tra le sue attività salienti il documentario ricorda la sua opposizione alla nomina di Mir Hossein Musavi, attuale leader riformista agli arresti domiciliari, a metà degli anni ’80 come primo ministro, nomina caldeggiata dallo stesso imam Khomeini, nonostante il disappunto del presidente Khamenei (4). Rohani storicamente ha militato, e ciò avviene ancora oggi, in una coalizione di centro-destra, e parteciperà alle elezioni legislative del 2000 (sesta legislatura, in concomitanza col governo riformatore di Khatami) in una lista elettorale conservatrice, nel grande collegio di Tehran, assieme a nomi come Rafsanjani, Ahmadinejad (che allora non era così famoso) e altre personalità reputate allora conservatrici e di centro-destra. Si contrapponeva a questa lista quella riformatrice di centro-sinistra guidata dal fratello del presidente Khatami, che poi uscirà trionfante da quella tornata, sconfiggendo i conservatori.

A questo punto il documentario, arrivato al 2000, compie un nuovo passo indietro, ripercorrendo la fase finale della guerra Iran-Iraq, cercando di capire il ruolo di Rohani nella decisione iraniana di accettare l’armistizio con Saddam. A questo punto prende la parola Mohsen Rezaei, allora capo dei Pasdaran, che rivelò in pieno conflitto all’imam Khomeini la volontà di alcuni deputati di promuovere, nonostante la sua opposizione, colloqui di pace con gli iracheni. Rezaei in una epistola alla Guida pronuncia il nome di Hassan Rohani. A quel punto l’imam chiede chiarimenti e Rafsanjani, uno dei responsabili degli incontri dei deputati favorevoli alla pace con l’Iraq, che si reca dalla Guida tranquillizzandolo e negando la gravità della situazione.

Il documentario poi riprende dagli anni 2000, quando l’Iran è scosso da alcune vicende come l’attivismo del fronte riformista e degli elementi più radicali della coalizione, in un braccio di ferro con le autorità supreme del paese e gli apparati di sicurezza. Rohani, nominato dal presidente riformatore Khatami (5), in quegli anni diventa membro del Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale, ente che deve coordinare tutte le attività essenziali per la sicurezza del paese, sia all’interno che a livello internazionale. Uno dei temi più scottanti che deve affrontare l’ente è la rivolta studentesca verso la fine degli anni ’90. In quell’occasione alcuni studenti vicini ai riformisti protestarono per la chiusura di un giornale (“Salam”) di riferimento per l’area. Anche se a far chiudere il giornale fu una richiesta del ministero delle informazioni (servizi segreti) del governo Khatami, i giovani iniziarono a scandire slogan contro i conservatori e la Guida, l’ayatollah Khamenei. La situazione degenerò quando i militanti filo-conservatori vennero alle mani coi riformisti. Quegli episodi furono un vero e proprio detonatore per scontri sempre più cruenti tra fazioni opposte, che non si placarono nemmeno con l’intervento della polizia. La situazione degenerò ulteriormente quando i filo-conservatori irruppero nei dormitori dove erano presenti i riformisti; ci fu allora un durissimo scontro tra fazioni opposte. Allora il Consiglio doveva prendere una decisione, ovvero se far entrare o meno in azione le forze speciali antisommossa, truppe delle forze dell’ordine specializzate nella repressione della guerriglia urbana. Il loro ingresso nella scena degli scontri avrebbe segnato probabilmente la fine dei disordini, a costo dell’uso del pugno di ferro. Hassan Rohani, allora segretario generale dell’ente, acconsentì a tale procedura straordinaria e i disordini si placarono in poco tempo. Le truppe speciali erano spesso organizzate in battaglioni, strutturati grazie al supporto dei “Basiji”, i volontari della Guardia Rivoluzionaria. Nei giorni successivi le organizzazioni vicine alla Guida organizzarono una manifestazione nazionale in difesa dell’ordine costituito e della Repubblica Islamica, evento al quale parteciparono milioni di iraniani in tutto il paese. A Tehran vennero invitati alcuni personaggi politici a tenere un discorso. Khatami non accettò di andare, per paura probabilmente di passare come una persona vicina agli ambienti “repressivi” dello Stato. Fu invitato anche Hassan Rohani, e quest’ultimo accettò, tenendo un discorso di fuoco contro gli elementi più estremisti del fronte riformista. Il documentario sottolinea come la TV pubblica iraniana tende a censurare questo discorso dell’attuale presidente. In quel discorso Rohani disse: “In che paese del mondo vengono accettati dalle autorità ufficiali moti di guerriglia urbana?” Il documentario poi si concentra sul curriculum accademico di Rohani, che conseguì un dottorato di ricerca in Scozia verso la fine degli anni ‘90 in materie giuridiche, con una tesi di dottorato dedicata al diritto islamico nell’esperienza iraniana. Il documentario poi nella fase finale si concentra sulla vicenda del nucleare e le trattative con gli europei su una rinuncia all’arricchimento dell’uranio, cosa che poi Rohani e il presidente Khatami decisero di accettare. Prima dell’elezione a presidente nel 2013 e dopo la fine dell’incarico nel 2005 nel Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale, in concomitanza con l’elezione a presidente di Ahmadinejad, Rohani sarà chiamato dal suo vecchio amico Rafsanjani a dirigere il centro di ricerca strategica del Consiglio per le Scelte (6), controllato da quest’ultimo.

Il documentario mette l’accento su alcuni aspetti non conosciuti della figura di Hassan Rohani: dal video emerge una figura che potremmo dire contraddittoria, in quanto i suoi incarichi post-rivoluzionari oscillano da un atteggiamento vicino agli apparati più conservatori della Repubblica Islamica, ad esempio il suo ruolo di “sceriffo” nella vicenda dei moti studenteschi, fino all’attuale ruolo di “moderato”. Anche se non bisogna dimenticare che Rohani, amico di Rafsanjani, sin dall’inizio sembrava avere un ruolo di apertura verso l’Occidente e la comunità internazionale. Insomma, un conservatore all’interno del paese e un riformatore all’estero. Oggi però la sua “metà” moderata e riformatrice sembra prevalere anche all’interno, in nome delle larghe intese e della pace sociale, dopo gli anni della presidenza Ahmadinejad, caratterizzati da forti scontri istituzionali.  

 

Note


2-      Come dire, “Io sono uno che si occupa di cose spirituali”, o molto più semplicemente “Io sono un chierico”

3-      Questa ad esempio la posizione di Ali Larijani, leader conservatore e presidente del parlamento

4-      Una volta eletto presidente dell’Iran per la seconda volta nel 1985, Khamenei doveva nominare un premier (allora l’ordinamento iraniano prevedeva la carica di primo ministro, abolita con la riforma costituzionale del 1989), ma egli voleva evitare la conferma di Musavi, già suo premier nel primo mandato. L’imam Khomeni però riteneva Musavi adatto e non ammise ripensamenti. Khamenei dopo un periodo in cui si era deciso a non confermare Musavi, fu obbligato a ubbidire alla volontà della Guida. In parlamento ci fu un fronte schierato al fianco di Khamenei e contro Musavi (indirettamente quindi anche contro la volontà dell’imam Khomeini). Alla fine il parlamento votò la fiducia a Musavi, ma 99 deputati, tra cui Rohani, su un totale di poco meno di trecento, votarono contro. Successivamente i media governativi iniziarono una campagna mediatica contro questi deputati “dissidenti”.

5-      I governi in Iran, normalmente, non sono monocolori, ma rispecchiano grandi coalizioni. E’ per questo che spesso ci sono nomine bipartisan. Allora infatti Hassan Rohani era considerato vicino ai conservatori.

6-      Organo di vitale importanza. I suoi membri sono nominati dalla Guida della Rivoluzione e l’organo ha competenza per dirimere le controversie tra parlamento e corte costituzionale, così come svolge importanti compiti di consulenza per la Guida, programmando, anche attraverso il suo centro di ricerca strategica, le politiche generali dello Stato.     

domenica 20 aprile 2014

Recensione del saggio di Sepehr Hekmat e Ali Reza Jalali, edito nel 2013 da Anteo Edizioni

Recensione del saggio di Sepehr Hekmat e Ali Reza Jalali, edito nel 2013 da Anteo Edizioni 
 
 
 
 
                                                   
(ASI) Quando il circo mediatico-politico nostrano parla di Iran, la terminologia usata è spesso quella imposta dal nuovo secolo americano. Non è insolito, infatti, sentire farneticare di Asse del male o di Stato canaglia, in riferimento alla Repubblica islamica, o sentire apostrofare il benemerito ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad con l’infamante epiteto di nuovo Hitler.
Chi voglia, però, approcciarsi seriamente alla conoscenza della società iraniana, così complessa e differente dalla nostra, è evidente che non può pensare di farlo basandosi su tali stereotipi e slogan frutto della propaganda occidentale. Inadatti risulterebbero persino i concetti, anche questi tipici dell’occidente, di ‘democrazia’ e ‘dittatura’. Stesso discorso per chi intenda approcciarsi alla figura dell’ex presidente Ahmadinejad. Non potrebbe, infatti, non rivelarsi inadeguato il metro impiegato in Italia per delineare l’orientamento politico di un individuo, tanto più se si intendessero utilizzare le sbiadite categorie di ‘destra’ e ‘sinistra’, ormai più identitarie che sostanziali. Fanno piuttosto al nostro caso, per tratteggiare l’azione sociale e politica del leader iraniano, due concetti estremamente evocativi e suggestivi come ‘giustizia’ e ‘spiritualità’. Giustizia e spiritualità come il titolo del bel libro edito nel 2013 dalla casa editrice reggiana Anteo Edizioni, frutto del lavoro dello studioso iraniano Sepehr Hekmat e del ricercatore Ali Reza Jalali. Un saggio sul pensiero e la vita di Ahmadinejad, che ci restituisce un’immagine di questo grande uomo politico musulmano distante anni luce da quella dipinta dai mass media occidentali e che ha anche il pregio di offrirci una visione generale sull’Islam sciita, religione di Stato in Iran (capitolo 5), e sul particolare ordinamento politico vigente nella Repubblica islamica (capitolo 6). Di origini umili e popolari, cresciuto in un ambiente molto religioso, Ahmadinejad visse la propria infanzia sotto il regime autoritario dello scià, ereditando dal padre una forte critica verso le politiche della monarchia Pahlavi incentrate su occidentalizzazione, secolarizzazione, imborghesimento e un’economia di tipo capitalista. L’ingresso all’università, in anni di forte contestazione, coincise con un impegno politico e religioso sempre più marcato tra le fila dei rivoluzionari legati all’imam Khomeini. Già da allora particolarmente attento alle istanze di giustizia sociale,a tale causa Ahmadinejad dedicherà tutta la sua carriera politica che lo vedrà sindaco di Teheran tra il 2003 e il 2005 e quindi presidente della Repubblica islamica, per due mandati consecutivi, fino al 2013. Anni difficili, questi, di duri attacchi mediatici (caso Sakineh, accuse di antisemitismo e negazione dell’olocausto) e militari (la cosiddetta ‘rivoluzione verde’ o gli attentati agli scienziati nucleari iraniani), durante i quali, però, Ahmadinejad riuscirà a conseguire importanti risultati in campo sociale e a rafforzare il paese sia internamente (pagine 99-101) che a livello internazionale. Ed è proprio alla sua politica estera che Hekmat e Jalali dedicano ampio spazio. Sempre al fianco della resistenza libanese, palestinese e siriana contro le minacce e le aggressioni sioniste, fraterno amico del mai abbastanza compianto presidente venezuelano Hugo Chavez (pagine 134-136), Mahmoud Ahmadinejad, sotto il suo mandato presidenziale, renderà l’Iran protagonista di quel secondo processo – dopo l’epopea delle lotte di liberazione nazionale tra gli anni ’40 e ’70 – di risveglio e rivincita dei popoli e dei paesi per secoli vittime del colonialismo e dell’imperialismo occidentale, a cui stiamo assistendo in questi ultimi anni in America Latina, Asia e Africa. Processo che, al di là quello che pensava Fukuyama, sta facendo riaprire la storia e volgere il mondo versa una nuova fase multipolare. “Un nuovo mondo sta nascendo, il baricentro delle dinamiche globali si sta muovendo, dopo qualche secolo, dall’Occidente all’Asia (Eurasia)”, affermano i due autori a pagina 133. Dal Venezuela alla Cina, dalla Russia al Brasile, alla Siria, a tanti altri paesi, compreso, ovviamente, l’Iran, si eleva l’aspirazione a una società più giusta. E sarà anche grazie a uomini straordinari come il presidente Ahmadinejad se un giorno nel mondo trionferanno i valori di giustizia e, perché no, spiritualità.
 
Nicola Torrini – Agenzia Stampa Itaia

- See more at: http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=19091%3Agiustizia-e-spiritualita-un-libro-per-capire-e-conoscere-l-iran-di-ahmadinejad&catid=3%3Apolitica-estera&Itemid=635#sthash.qTlyAY9c.dpuf

L’esecuzione di Bijan Jazani, attivista della sinistra iraniana negli anni ‘70


L’esecuzione di Bijan Jazani, attivista della sinistra iraniana negli anni ‘70. Dalla profezia della vittoria della rivoluzione islamica alla condanna dei “marxisti americani”

di Abdolreza Davari*
 
Bijan Jazani, il giorno del suo matrimonio
 

 

Il 20 aprile del 1975 venivano giustiziati in Iran 9 attivisti e intellettuali di sinistra, per via della loro fervente opposizione al regime di Mohammad Reza Pahlavi. Tra di essi spiccava la figura di Bijan Jazani, l’unico studioso ad aver previsto già negli anni ’60 la vittoria della rivoluzione guidata dall’imam Khomeini. In un libro scritto verso la metà degli anni ’60 Jazani approfondendo e analizzando in modo accurato la rivolta del ’63, quella che poi fu all’origine dell’esilio forzato della guida religiosa dal paese persiano, arrivò a teorizzare già da allora la vittoria di quel movimento di ispirazione islamica. Jazani disse: “Considerando il suo background e il fatto che Khomeini gode di molto seguito tra le masse, soprattutto tra gli imprenditori e i piccoli borghesi (1), e partendo dal presupposto che egli gode di una certa libertà di fare propaganda (2), penso che ha molte possibilità di successo.”

Nel suo libro Jazani condanna poi un gruppo di intellettuali, etichettandoli come “marxisti americani” (3), in quanto questi militanti di sinistra teorizzavano il sostengo alla borghesia compradora iraniana legata agli Stati Uniti, quasi in funzione “disfattista”. Essi infatti ritenevano che il sostegno a questa borghesia avrebbe accelerato il passaggio della società iraniana dal feudalesimo al capitalismo, di fatto avvicinando la possibilità di istaurare, in un lasso di tempo breve, un modello socialista (4).

Bijan Jazani nacque nel 1937 in una famiglia fortemente politicizzata. I suoi parenti erano attivisti comunisti che avranno un ruolo importante nel Partito del Popolo (Hezbe Tudeh), il principale partito marxista iraniano. I suoi genitori erano originari della regione di Isfahan, nell’Iran centrale. Hossein Jazani, il padre di Bijan, militò nel Tudeh, ma poi aderì al progetto “democratico” dell’Azerbaijan iraniano, ovvero il tentativo, poi fallito, di istaurare nel nord-ovest dell’Iran una repubblica socialista autonoma. Dopo il fallimento dell’iniziativa si rifugiò oltre il confine, nell’Azerbaijan facente parte dell’Unione Sovietica, in concomitanza con la fine della Seconda Guerra Mondiale. Fece ritorno in Iran negli anni ’60. Il piccolo Bijan da subito decise di seguire le orme del padre e fin da adolescente entrò nei giovani del Tudeh. Verso la fine degli anni ’40 le possibilità per il Tudeh di organizzare una opposizione democratica al governo di Mohammad Reza Pahlavi diminuirono drasticamente in quanto ci fu un attentato fallito ai danni del sovrano. Il governo decise allora di dichiarare fuori legge il partito comunista, sospettato di essere tra gli artefici del tentato omicidio. La militanza di Jazani allora entrò in una fase di clandestinità, soprattutto negli ambienti studenteschi. Negli anni del governo nazionalista di Mosaddeq e dopo il golpe del 1953 fu incarcerato per le sue attività illegali contro lo Shah, ma fu liberato subito per la sua giovane età, la fedina penale pulita e per l’intercessione di alcuni ufficiali vicini al partito comunista Tudeh.

Poco dopo però fu nuovamente incarcerato, sta volta per sei mesi. Nella primavera del 1956 tornò a occuparsi attivamente di politica con la pubblicazione di un giornale clandestino. Il gruppo fu scoperto dalle autorità e Jazani fu nuovamente imprigionato. Tra il 1959 e il 1960, nuovamente libero, aderì al “secondo” Fronte Nazionale (5), dove iniziò una seria e duratura militanza. Nel ’63 però il movimento al quale aveva aderito fu vittima di una nuova ondata di arresti e intimidazioni, per cui Jazani fu costretto a uscire dalla piattaforma del nuovo Fronte Nazionale per aderire a un progetto giornalistico, ovvero un piccolo gruppo di intellettuali che diede vita al “Messaggio dello Studente” (Payame Daneshju) (6), un giornale che riuniva alcune anime del fronte degli oppositori al regime. In poco tempo il giornale divenne il punto di riferimento per alcuni dei più brillanti giovani intellettuali e militanti che si opponevano allo Shah. Il gruppo era eterogeneo dal punto di vista ideologico e aveva al proprio interno diverse anime. Nonostante ciò non sorsero particolari dissidi tra i dirigenti e i militanti. Il giornale, di poche pagine, arrivò a stampare 500 copie al giorno. Sempre nella prima metà degli anni ’60 Jazani fu nuovamente imprigionato e in quegli stessi anni conseguì la laurea in filosofia col massimo dei voti. Intanto il gruppo al quale aveva aderito si sviluppava e si decise di intraprendere anche la lotta armata. Le vicende delle sanguinose rivolte anti-regime della prima metà degli anni ’60 intanto, ebbero un risultato nefasto per gli eredi del Fronte Nazionale. Infatti ormai era chiaro alla base giovanile che i dirigenti non cercavano veramente una svolta rivoluzionaria (7), ma solo un compromesso col regime per alcune riforme marginali agli occhi dei giovani. Vi furono molte scissioni e Jazani riuscì a mettere insieme non pochi delusi del Fronte, quelli con idee più radicali, in una entità chiamata convenzionalmente “terzo” Fronte Nazionale (1965-66). Il progetto fu subito stroncato dalle autorità che arrestarono nuovamente Jazani; sta volta dovette farsi nove mesi di carcere, insieme ad altri membri del nuovo Fronte.  

Nella seconda metà degli anni ’60 il gruppo di Jazani, ovvero quegli intellettuali che lo avevano seguito dalle precedenti esperienze, dal Tudeh fino alle varie fasi del Fronte Nazionale, passando per il giornale del “Messaggio dello Studente”, decise di seguire una via più marcatamente legata alla lotta armata. In una delle operazioni attraverso le quali si cercava un rifornimento di armi, il gruppo fu scoperto e questa volta i militanti finirono dinnanzi a un tribunale speciale anti-terrorismo. Inizialmente Jazani e i suoi collaboratori rischiarono la pena di morte, ma alla fine furono condannati a 15 anni di reclusione.

Proprio in quel periodo al gruppo guidato da Jazani si unirono altri gruppi armati organizzati, dando vita ai “Combattenti al Servizio del Popolo Iraniano” (Chirikhaye Fadaiye Khalqe Iran), più comunemente conosciuti come i Fedayin del Popolo (8), noto gruppo armato marxista iraniano. L’azione più eclatante, che di fatto diede vita alla fase della lotta armata su grande scala, fu quella dell’assalto a una caserma militare nel 1971. Dopo questo episodio – Jazani si trovava in carcere – le autorità intensificarono la “caccia” ai Fedayin. Lo stesso Jazani fu trasferito in esilio presso Qom. Bijan Jazani assunse sempre di più le vesti dell’ideologo del gruppo, riuscendo anche a far uscire dal carcere alcuni suoi scritti. Ma alla fine, dopo duri anni di carcere e torture, fu giustiziato dal regime nella primavera del 1975, insieme ad altri membri dei Fedayin. Tra i giustiziati vi furono in tutto 7 membri dei Fedayin, compreso Jazani, e 2 membri dell’”Organizzazione dei Combattenti del Popolo”, comunemente conosciuti come Mojahedine Khalq (9). I giornali del giorno dopo intitolarono “Detenuti uccisi mentre tentavano la fuga”. La verità era ben altra, e il tutto venne a galla solo con la caduta dei Pahlavi e la vittoria rivoluzionaria del febbraio del 1979. Oggi le tombe dei giustiziati di quel giorno primaverile di circa 40 anni fa si trovano a sud di Tehran, nel settore 33 del gigantesco cimitero di “Beheshte Zahra”.  

Note

1-      Presumibilmente Jazani si riferisce ai “bazari”, i commercianti iraniani che ebbero un ruolo importante nel sostegno alla rivoluzione islamica del ’79.

2-      L’attenzione del regime era concentrata soprattutto sui gruppi classici dell’opposizione, ovvero marxisti e nazionalisti. Paradossalmente poi, l’esilio dell’imam Khomeini fu un vantaggio, perché in Iran il leader religioso avrebbe avuto meno spazio di manovra. Inoltre bisogna sottolineare che i servizi dello Shah in una fase limitata, sostennero l’attivismo di alcuni gruppi islamici per togliere consenso ai marxisti, visti dal regime, evidentemente a torto, come la principale minaccia al governo monarchico filo-occidentale.

3-      Interessante notare come il gruppo condannato da Jazani era composto da personaggio che poi saranno dirigenti nella Repubblica Islamica. Ad esempio spicca la figura di Behzad Nabavi, che dopo il ’79 sarà una figura di spicco della politica iraniana. Egli fu tra i fondatori del Partito dei Mojahedin della Rivoluzione Islamica – da non confondere con il MKO – movimento della sinistra islamica. Nabavi sarà ministro del governo Musavi-Khamenei nella seconda metà degli anni ’80. Successivamente diverrà uno dei leader del movimento riformista. Sarà arrestato nel 2009 per i disordini post-elettorali e il suo attivismo, giudicato dalle autorità illegale, in favore del candidato riformatore Musavi, lo stesso di cui era stato ministro in passato. Nabavi è tra i critici della Guida Khamenei e dei conservatori radicali in generale.

4-      Idea questa diffusa in non pochi ambienti marxisti in giro per il mondo; peccato però che le rivoluzioni marxiste si siano avverate sempre in contesti non industrializzati (Russia zarista, Cina, Cuba ecc.). Di fatto il passaggio, come ci insegna ad esempio anche la storia cinese, senza dimenticare quella russa, è stato inverso da ciò che aveva in mente Marx. Feudalesimo-Socialismo-Capitalismo, e non Feudalesimo-Capitalismo-Socialismo.

5-      Il “primo” Fronte Nazionale fu smembrato dopo il 1953, con la caduta di Mosaddeq. La caratteristica saliente di questo gruppo, non un vero e proprio partito, ma una grande coalizione, è sempre stato quello di avere al proprio interno molte anime ideologiche diverse.

6-      Facevano parte di questo gruppo persone che poi sarebbero divenute famose nella Repubblica Islamica; oltre all’onnipresente Behzad Nabavi, c’era anche Hassan Habibi, che sarà per lunghi anni, quasi per tutti gli anni ’90, vicepresidente dell’Iran.

7-      Ciò emergerà ancora con più chiarezza nel 1979, quando uno dei capi del Fronte Nazionale, o di ciò che rimaneva di questa formazione, Bakhtiar, accettò l’incarico di primo ministro, l’ultima carta giocata dallo Shah per riportare l’ordine nel paese. Quel gesto costò caro alla reputazione di Bakhtiar e del Fronte Nazionale. Khomeini sottolineò come in realtà ciò dimostrava che i capi del Fronte si battevano non per la rivoluzione, ma solo per le poltrone.

8-      Da non confondere col gruppo dei Fedayin attivo negli anni ’40-’50, di matrice islamica. I Fedayin marxisti rimasero in azione anche dopo la rivoluzione del ’79, in quanto secondo loro il processo rivoluzionario non poteva giungere a conclusione in modo ortodosso senza l’istaurazione della dittatura del proletariato. Un governo retto di fatto dalle autorità del clero, sempre secondo i Fedayin, non poteva avere nulla di rivoluzionario. Gli scontri tra Fedayin e le forze di sicurezza del governo islamico si intensificarono soprattutto nei primi anni ’80, in alcune regioni, come nel Kurdistan. Oggi il gruppo si è di fatto estinto.   

9-      Quella vicenda fu importante anche per le sorti dei Mojahedin. Dopo l’eliminazione dei due militanti, rimasero al potere nel gruppo personaggi come Masud Rajavi, “scampato” all’epurazione. Secondo alcuni quell’episodio segnò l’inizio della collaborazione tra il gruppo e settori del regime monarchico, in cambio della immunità.

*Abdolreza Davari è un giornalista e professore universitario, esperto di politica e economia. E’ stato consigliere del governo di Mahmoud Ahmadinejad, con incarichi di prestigio, come quello di direttore del centro di ricerca strategica del Ministero dell’Interno. Il testo è tratto da un suo post su Facebook.

Traduzione e note a cura di Ali Reza Jalali

venerdì 18 aprile 2014

“Italia e Iran fra passato e presente”. Resoconto della conferenza all’Università di Bari




 

Lo scorso 16 aprile 2014 all’interno del Palazzo Pasquale Del Prete, sede dei Dipartimenti di Scienze Politiche e Giurisprudenza dell’Università “Aldo Moro” di Bari, si è tenuta una interessante conferenza con oggetto la presentazione del libro del dott. Rosario Milano, esperto di storia delle relazioni internazionali, dal titolo L’ENI e l’Iran (1962-1970), pubblicato dalle Edizioni Giannini (Napoli, 2013). Il titolo della conferenza era Italia e Iran fra passato e presente, e aveva come obiettivo quello di fare luce su alcuni degli aspetti salienti delle relazioni italo-iraniane, incentrate sul rapporto tra ENI e il governo di Tehran.

L’incontro, al quale hanno partecipato un folto numero di studenti dell’ateneo pugliese, è stato introdotto dal prof. Luciano Monzali, docente di Storia delle Relazioni Internazionali dell’Università di Bari, che ha sottolineato l’importanza delle relazioni tra Italia e Iran, nonostante il fenomeno a livello scientifico sia stato poco approfondito. L’Italia e l’Iran erano e sono importanti partner commerciali e, sempre secondo il docente, la Puglia in tutto ciò ha un ruolo fondamentale, ovvero quello di ponte naturale dell’Italia verso il Levante e il Vicino Oriente.
 
 
 

L’evento, prima di entrare nel vivo, ha visto anche il saluto del Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università barese, il prof. Umberto Carabelli, docente di Diritto del Lavoro, che ha ringraziato i presenti e ha sottolineato l’impatto che le questioni economiche degli anni ’60, analizzati nel libro di Rosario Milano, hanno avuto sugli aspetti gius-lavoristici dell’ordinamento italiano. Vi è stato anche un breve saluto del dott. Antonio Giampietro, segretario locale dell’Associazione dei dottorandi e dei dottori di ricerca italiani (ADI), uno degli sponsor, insieme alla Fondazione Gramsci, della conferenza.

L’evento è poi entrato nel vivo con le relazioni: il primo a intervenire è stato il prof. Michele Capriati, docente di Economia Politica dell’ateneo pugliese. La sua relazione si è concentrata sul ruolo delle grandi figure nell’imprenditorialità statale italiana, come ad esempio quello rappresentato da Enrico Mattei, grazie al quale l’ENI ha raggiunto una competitività a livello internazionale molto importante, di fatto facendo da apripista alla diplomazia governativa su diversi fronti. L’ENI di Mattei era al centro di importanti relazioni internazionali, anche se gli oppositori del manager pugliese hanno sempre sottolineato che le politiche matteiane hanno portato l’Ente a un grosso indebitamento, un fardello enorme per la gestione successiva alla morte di Mattei negli anni ’60.
 
 

Poi è toccato alla relazione della prof. ssa Marina Comei, docente di Storia Economica, che ha sottolineato la forte dipendenza dell’Europa dal punto di vista energetico al Mediterraneo e al Vicino Oriente, e anche come la morte di un grande manager come Mattei ha portato di fatto alla fine dell’ENI come contropotere organizzato ed efficacie all’interno del capitalismo italiano. Il potere politico di Roma poi, sempre secondo l’analisi accurata della studiosa dell’Università di Bari, non ha mai visto di buon occhio l’attivismo economico e diplomatico di Mattei, visto sempre come un concorrente o peggio ancora come un avversario.

Successivamente c’è stata la relazione del prof. Italo Garzia, esperto di Storia delle Relazioni Internazionali, che ha sottolineato le caratteristiche qualitative del libro di Rosario Milano, L’ENI e l’Iran (1962-1970), dove c’è un intreccio tra vari temi: ENI, politica estera italiana, politica interna e estera iraniana, politica economica, tutti argomenti affrontati egregiamente dal giovane studioso pugliese, con una quantità infinita di note e approfondimenti.

Dopo il prof. Garzia, c’è stato l’intervento di Ali Reza Jalali, esperto di diritto costituzionale iraniano (Università di Verona), nonché studioso della geopolitica del Medio Oriente e del mondo islamico (Centro Studi Eurasia-Mediterraneo), che ha tracciato un profilo della situazione delle alleanze strategiche dell’area mediorientale al tempo della Guerra Fredda, con un parallelismo con la situazione attuale, dove nella regione si sta concentrando un nuovo conflitto tra diverse potenze extraregionali, soprattutto USA, Russia e Cina. La relazione del dott. Jalali si è conclusa con un accenno al sistema istituzionale iraniano e una breve comparazione con un altro importante modello regionale, quello dell’Arabia Saudita.
 

Prima della fine dello spazio dedicato alle relazioni, vi è stato un intervento dell’autore del libro, il dott. Rosario Milano, che ha sottolineato l’importanza dello studio sulle realtà del Vicino Oriente e soprattutto dell’Iran, paese col quale ci sono molti tratti in comune rispetto alla cultura italiana e pugliese, questione che va ben al di là delle relazioni politiche o economiche bilaterali.

Successivamente vi è stato uno spazio dedicato alle domande del pubblico, che si è dimostrato interessato all’evento con domande rivolte ai relatori su diversi aspetti, come la politica energetica iraniana tra il governo del radicale Ahmadinejad e il moderato, e attuale presidente, Rohani. Il pubblico si è dimostrato interessato anche a comprendere le differenze ed eventuali tratti di continuità tra la Rivoluzione bianca promossa negli anni ’60 dallo Shah per modernizzare il paese, e la Rivoluzione islamica di Khomeini.

Nel complesso si può dire che la conferenza ha riscosso molto successo, essendo questo delle relazioni italo-iraniane, un tema poco conosciuto al grande pubblico. Il libro di Rosario Milano quindi, è un primo passo importante per cercare di conoscere il tema, al di là dei pregiudizi ideologici e della pubblicità giornalistica negativa sulle realtà del paese persiano, spesso vittima di una pesante propaganda mediatica eccessivamente improntata al pessimismo.   

giovedì 10 aprile 2014

Italia e Iran fra passato e presente: convegno all'Università di Bari

Mercoledì 16 Aprile 2014  in AULA STARACE - P.zza C.Barristi, 1 - si svolgerà la Tavola Rotonda: Italia e Iran fra passato e presente.
 
 
 
 
 
Discussione sul libro: L'Eni e l' Iran (1962-1970) di Rosario Milano
 
Presiede il prof. Luciano Monzali
 
Saluti del prof. Carabelli - Direttore Dip. Scienze Politiche e del dott. Antonio Giampietro - Segretario ADI Bari
 
Partecipano i proff.ri: Michele Capriati,  Marina Comei,  Italo Garzia
 
dott.Ali Reza Jalali - studioso iraniano 
 
dott.ssa Lucia Nardi - Archivo storico dell'Eni
 
Agli studenti del Dip. di Scienze Politiche saranno attribuiti i crediti previsti dal piano di studi.