Ali Reza Jalali
A oggi i principali terreni di attrito della politica
internazionale sono due: l’Europa orientale e l’Asia sud-occidentale (Medio
Oriente). Non penso che sia casuale la collocazione geografica di queste gravi
crisi internazionali, fenomeni tragici, caratterizzate da aspre guerre, proprio
ai limiti dello spazio eurasiatico strictu sensu. Una volta c’era la
Russia zarista, un’entità geografica e statale che a grandi linee presentava
una certa omogeneità rispetto all’esperienza sovietica immediatamente
successiva – non certamente a livello ideologico, bensì a livello geografico –
un impero eurasiatico che comprendeva ampie zone dell’Europa orientale e
dell’Asia centrale. Oggi quell’impero non c’è più ovviamente, ma le guerre,
esattamente come succedeva prima, si combattono ai margini di questo
territorio.
Dall’Ucraina all’Iraq, passando per la Siria, è come se il
fronte fosse lo stesso, o per meglio dire, due fronti della stessa grande
guerra, ai confini occidentali e meridionali dell’Eurasia, della Russia
zarista, dell’Unione Sovietica, della CSI o come la vogliamo chiamare, in
quanto, se a livello ideologico e metapolitico vi sono chiare differenza tra lo
Zar, Basileus della Grande Russia, detentore del potere temporale
legittimato dall’autorità spirituale del Patriarca, vicario di Cristo in terra,
e il Presidente del Soviet supremo, chiamato a governare in nome del
proletariato delle Repubbliche socialiste, lo stesso non si può dire a livello
della geografia politica. Uno, lo Zar, ha governato in nome della Tradizione,
l’altro, il capo dei bolscevichi, ha governato in nome della variante
giacobina, socialista e marxista della modernità illuminista.
Il “grande spazio” di schmittiana memoria occupato dalle entità
politiche e giuspubblicistiche della Russia zarista e sovietica è però
identico, o quasi. La prima e la seconda guerra mondiale si è combattuta ai
confini di questa realtà; la terza, la guerra fredda, idem. Con la
dissoluzione del blocco socialista europeo, una sorta di area cuscinetto tra
l’Occidente politico (democratico – liberale o sociale che fosse), economico
(capitalista – liberista anglosassone o renano che fosse), sociale
(sessantottino o conservatore che fosse) e militare (NATO) e l’impero russo-eurasiatico-marxista,
le forze borghesi hanno ampliato il loro raggio di influenza, penetrando
addirittura nel cuore degli ex possedimenti sovietici (i paesi baltici). Era la
fine di un impero eurasiatico che sotto varie forme per alcuni secoli aveva
dominato quell’enorme spazio geografico tra Europa e Asia.
Alcuni pensavano a una sorta di pax americana,
atlantica, borghese, democratica. Se qualcuno, con queste premesse, a dire il
vero molto diffuse dopo il crollo dell’URSS, fosse andato in letargo, e si
fosse svegliato nell’estate 2014, sarebbe rimasto sconvolto. Altro che pace
americana e impero pacifista dei mille anni. Il mondo è in fiamme e proprio
quelle zone che sono sempre state il ventre molle della Russia, l’est europeo e
il Medio Oriente, la line del fronte, sia per lo Zar che per i bolscevichi,
sono nuovamente il teatro di aspri scontri. Lo Zar Vladimir – erede della
tradizione ortodossa zarista e dell’apparato industriale e bellico sovietico -
ha a che fare ancora con gli stessi problemi dei suoi antenati illustri. Quella
in corso non è altro che una guerra di dimensioni importanti, la quarta guerra
mondiale, per estendere il dominio atlantico e anglosassone su tutta l’Eurasia,
sta volta latu sensu, su tutte le terre emerse da Lisbona a Shanghai.
Tale conflitto del mondo anglosassone atlantico contro o per
la conquista dell’Eurasia è cominciato con la prima e seconda guerra mondiale,
e per ovvi motivi geografici, ha avuto come vittima eccellente il vecchio
continente con la sua potenza centrale, il mondo germanico, rappresentato dagli
imperi tradizionali tedesco e austriaco prima e dalla Germania nazista poi,
progetto al quale, per una sorta di convergenza geopolitica, in parte anche
ideologica e metapolitica, con le forze talassocratiche anglosassoni ha
partecipato pure la Russia. Nella terza guerra mondiale l’atlantismo ha avuto
come nemico ideologico il comunismo con il suo principale rappresentante
geopolitico, l’URSS.
Nell’attuale conflitto invece la guerra è rivolta
ideologicamente e retoricamente all’Islam – come dice Huntington, non l’Islam
radicale, ma l’Islam in quanto tale – ma a livello geopolitico il punto rimane
lo stesso: come in un evidente moto da ovest a est, le forze atlantiche dopo la
conquista dell’Europa, si spostano sempre più a oriente e hanno raggiunto i
confini sensibili dei possedimenti dello Zar Vladimir: gli stati cuscinetto –
la linea del fronte purtroppo per i russi è indietreggiata, la cortina di ferro
non è più a Trieste ma ormai a Kiev - dell’Europa orientale e del Medio
Oriente. Ormai siamo giunti alla fase finale della super guerra mondiale,
suddivisa in quattro fasi, iniziata nei primi del Novecento: la guerra dei
cent’anni per la conquista dell’Eurasia, promossa da quel pezzo di Europa
anglosassone trapianta in Nord America.
Proprio cento anni fa, sempre nell’Europa orientale, si trovò
il pretesto per l’inizio di un conflitto intereuropeo scellerato che diede
l’opportunità alla principale potenza d’oltreoceano di iniziare la sua campagna
militare nel vecchio continente. Ora siamo al dunque: o la principale potenza
geopolitica eurasiatica, guidata dallo Zar Vladimir, soccombe, degradando, come
auspicava Brzezinski, a potenza asiatica (perdendo l’Ucraina) e in quanto tale,
come gli stati levantini, viene coinvolta in infinte diatribe interne e guerre
civili, oppure reagendo, evita che la linea del fronte possa ulteriormente
indietreggiare, nel Caucaso e nell’Asia centrale. Le trattative dell’UE con
l’Ucraina e la Georgia in questo senso sono abbastanza preoccupanti per Mosca.
Non a caso l’espansione della NATO verso est è sempre stata
accompagnata dall’allargamento dell’UE. Le due entità, a grandi linee, sembrano
combaciare. Le contromosse russe comunque sono arrivate: da un lato
l’annessione di fatto della Crimea ha ancorato Mosca al Mar Nero, principale
bacino interno dell’Europa orientale, d’altro canto il sostengo diplomatico e
di intelligence alla Siria ha rafforzato il ruolo di Zar Vladimir nell’area. Ma
il precipitare della situazione in Iraq, l’avanzata degli estremisti islamici
dell’ISIS, la risoluzione del CSNU di condanna del gruppo e i raid aerei
americani contro i militanti di un gruppo aderente a quell’ideologia contro la
quale l’Occidente starebbe combattendo la quarta guerra mondiale, almeno per
quello che ci hanno detto gli intellettuali di area neocon del partito
repubblicano americano, e con loro tutti i neocon di casa nostra, non stanno
facendo altro che potenziare l’ipotesi di un intervento americano anche in
Siria.
Ironia della sorte non contro il “dittatore” (guarda caso
vicino alla Russia) Assad, ma contro i temibili jihadisti che combattono il
governo damasceno, jihadisti sostenuti proprio dalla NATO (tramite la Turchia)
e dalle monarchie arabe (alleate degli USA). Secondo alcuni l’intervento
dovrebbe indebolire le formazioni ormai rivelatesi troppo radicali e aiutare i
ribelli moderati a riprendere terreno, in una situazione molto caotica. Un caos
questo, tutto sommato normale per quell’area del mondo, dove le alleanze durano
il tempo di prendere un tè o di fumare un narghilè. Quel caos che le forze
atlantiche vorrebbero vedere anche in Russia, un impero che da eurasiatico
dovrebbe diventare solo ed esclusivamente asiatico e battere in ritirata. Ieri
si è iniziati con Berlino, oggi si vuole arrivare a Mosca. Nel mezzo ci sono il
Donbass e la Siria.