I territori in mano ai jihadisti tra Siria e Iraq |
L’attacco americano contro le
postazioni dello Stato Islamico e l’evoluzione delle vicende istituzionali
irachene inducono ad alcune brevi considerazioni.
Partiamo dal primo punto. Sembra
necessaria ormai da parte americana una parziale correzione dell’approccio
degli ultimi anni in Medio Oriente, ovvero quello di una alleanza esplicita con
l’Islam politico sunnita moderato e conservatore (Erdogan e Fratelli Musulmani)
e di sostegno ai gruppi islamici più radicali in scenari come la Libia e la
Siria; tale politica al momento è da considerarsi una parentesi chiusa, anche
perché i Fratelli Musulmani e Erdogan hanno fallito la loro missione,
incentrata sulla defenestrazione delle forze dominanti nel “vecchio” Medio
Oriente, in cui i vari Assad e alleati potevano avere un ruolo importante. Lo
stesso dicasi per gli islamici radicali, che ormai sono in fase di
ridimensionamento in Siria, con non poche faide reciproche. L’Iraq era l’ultima
speranza per l’Islam radicale sunnita, ma il Califfato di Al Baghdadi non è
riuscito a marciare sulla capitale mesopotamica, cambiando rotta verso il
Kurdistan. L’intervento americano quindi mira da un lato a salvaguardare l’autonomia
curda dall’avanzata jihadista, d’altro canto è un’azione per cercare di
ridimensionare l’impatto del fondamentalismo sunnita, ormai fuori controllo,
considerando che molti jihadisti presto potrebbero far rientro nei paesi d’origine,
nazioni spesso con regimi alleati degli USA in Medio Oriente (la maggior parte
dei jihadisti sono originari del Nord Africa, della Giordania e dei paesi della
penisola araba, oltre ovviamente a Siria e Iraq). In un colpo solo gli USA
difendono l’autonomia curda, importante base operativa occidentale nell’area,
uccidono un numero cospicuo di jihadisti che potrebbero andare in giro per il
Medio Oriente a fare danni dove non richiesto da Washington (pensate solo all’ipotesi
di un possibile jihad in Arabia Saudita o in Giordania) e si ripresentano
prepotentemente nello scacchiere iracheno, dopo che la loro passività aveva
fatto guadagnare spazio nel paese mesopotamico ai russi e agli iraniani,
tramite forniture militari di vario genere.
Maliki, ormai ex premier? |
Per quello che riguarda il
secondo punto invece la situazione al momento è la seguente: la coalizione
guidata dal partito Ad-Dawa (Stato di Diritto) ha la maggioranza relativa dei
seggi in parlamento, ma ormai nessuna forza politica, nemmeno gli altri gruppi sciiti,
sono disposti a confermare il leader del partito maggioritario, Nuri Maliki,
alla presidenza del consiglio dei ministri. D’altronde in base alla forma di
governo irachena il capo dello stato deve incaricare della formazione del
governo il leader della coalizione di maggioranza, in questo caso Maliki. Il
presidente della Repubblica, il neoeletto Fuad Masum, curdo, ha però incaricato
un altro esponente del partito di Maliki, Haider Abadi, di iniziare le
consultazioni per formare un governo. Abadi è sostenuto esplicitamente da una
parte minoritaria del partito di Maliki e da tutte le altre fazioni sciite, tra
cui quelle di Ammar Hakim, Ibrahim Jafari e Muqtada Sadr. Insomma, al momento
Maliki è isolato non più solo tra i curdi e i sunniti, ma anche tra gli sciiti
stessi. Il problema è che la corte suprema irachena ha notato come l’operato
del capo dello stato di non nominare Maliki per indire le consultazioni
finalizzate alla formazione di un esecutivo, è un atto che viola la
costituzione del paese arabo. Bisogna ora attendere per capire se
effettivamente Abadi avrà i numeri per formare il governo. Egli ha incassato
molti consensi, oltre che quello di una parte importante delle fazioni sciite,
anche quello, evidentemente, del presidente iracheno, rappresentante dei curdi,
soprattutto quelli dell’unione patriottica di Jalal Talabani. Una ritrovata
sintonia tra molte fazioni sciite e una parte dei curdi potrebbe essere
sufficiente alla formazione di un nuovo governo, anche se ci sono ancora molte
incognite: bisogna vedere fino a che punto i mailikiani, che al momento non
sono pochi, vorranno fare ostruzionismo e cosa intenderanno fare i gruppi
sunniti: partecipare al governo o rischiare, rifiutando, ancora anni di
isolamento istituzionale, che fino a oggi non gli ha portato un gran che?
E' finita la luna di miele tra l'amministrazione Obama e gli islamisti? |
All’estero poi le reazioni sono
abbastanza positive riguardo la figura di Abadi, sia Washington che l’UE si
sono espressi a favore del candidato sciita. In Iran i media più vicini alla
Guida Khamenei non hanno accolto negativamente l’investitura di Abadi, anche
perché egli è pur sempre espressione di un partito, Ad-Dawa, storicamente
legato a Tehran e al clero sciita; inoltre l’appoggio di Sadr, Hakim e Jafari
all’eventuale neo primo ministro indicano uno stretto legame con gli ayatollah
iraniani. Per non parlare poi del presidente neoeletto, Masum, membro di quel
partito dell’unione patriottica curda, anch’esso storicamente legato a Tehran,
attraverso il quale proprio recentemente, secondo molti media internazionali,
sarebbero entrati nel Kurdistan iracheno a dar man forte ai guerriglieri curdi
in funzione anti-ISIL, alcune unità scelte delle forze armate iraniane. Non a
caso recentemente è arrivata anche una lettera pubblica dei leader curdi
iracheni, per ringraziare il governo di Tehran per l’appoggio. Interessante
anche notare come nel giro di poche settimane lo scenario in Iraq sia mutato.
Inizialmente è emerso che i curdi non hanno ostacolato l’avanzata dell’ISIL,
pensando di usare la situazione per mettere pressione al governo centrale
iracheno, ottenendo così nuovi vantaggi e più autonomia da Baghdad; ma la foga
dei miliziani islamisti ora si è riversata sui curdi stessi, una volta fallita
l’operazione di conquista della capitale irachena da parte dei jihadisti.
Tra tante domande, una certezza: le gigantografie del leader iraniano Khamenei a Baghdad |
Ci sarebbero anche molte altre
considerazioni da fare, ad esempio come i ribelli curdi anti-iraniani con basi
nel Kurdistan iracheno siano stati intelligentemente tenuti fuori dai
combattimenti contro l’ISIL, su esplicita richiesta dei curdi iracheni, per non
indispettire gli iraniani presenti nel Kurdistan iracheno. Immaginatevi la
scena: un pasdaran iraniano e un separatista curdo iraniano fianco a fianco nel
nord dell’Iraq contro gli integralisti sunniti. Questo è il Medio Oriente
signori, la terra del caos.
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