Propongo ai lettori del blog
questa sintesi di un articolo del noto analista americano George Friedman,
pubblicato da “Stratfor”. Emerge dal pensiero dell’autore un dato evidente
della politica americana e l’oggettiva grande capacità di Washington di
giostrare in modo accurato nelle varie crisi internazionali. In ciò l’amministrazione
Obama, nonostante alcuni limiti, dimostra molta più capacità di quella
precedente. Interessante poi il parallelismo tra la situazione irachena e
quella ucraina. Friedman consiglia ai dirigenti americani di non intervenire
militarmente, evitando inutili rischi e costi di un’azione di quel tipo, ma
suggerisce, da raffinato analista, di approfittare delle naturali
contrapposizioni dettate dai fattori geopolitici e etnico-confessionali, che
sono oggettivi, per incanalare gli eventi nella direzione caldeggiata da Friedman,
quella, in generale, che vuole gli USA come principale potenza mondiale.
Ali Reza Jalali
Nelle ultime settimane alcuni
problemi del sistema internazionale sono riemersi. Abbiamo visto che il destino
dell'Ucraina non è ancora risolto, e con questo, non è risolto nemmeno il
rapporto della Russia con la penisola europea. In Iraq abbiamo appreso che il
ritiro delle forze statunitensi e la creazione di un nuovo sistema politico non
ha risposto alla domanda di come le tre anime del paese possano convivere. Ergo,
le situazioni geopolitiche raramente si risolvono ordinatamente o
permanentemente. Questi eventi, infine, pongono una questione difficile per gli
Stati Uniti. Negli ultimi 13 anni, gli USA sono stati impegnata in una vasta
guerra in due grandi teatri - e altri minori minori - nel mondo islamico. Gli
Stati Uniti sono grandi e potenti abbastanza per sopportare tali conflitti
prolungati, ma dato che le guerre non si sono concluse in modo soddisfacente,
la voglia di alzare il limite di sopportazione per un eventuale coinvolgimento militare ha un senso logico. Il
discorso del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama presso l’Accademia
Militare di West Point ha cercato di alzare il livello della guardia dei
militari. Tuttavia, non era chiaro nel discorso il significato in termini pratici
di quanto è stato detto:
“Ecco il punto centrale: l'America
deve sempre avere il primato sulla scena mondiale. Se non lo facciamo noi,
nessun altro lo farà. L’esercito al quale avete aderito è, e sempre sarà, la
spina dorsale di questa leadership. Ma l'azione militare degli Stati Uniti non
può essere l’unica o la sola componente del nostro primato. Avere il martello
migliore non vuol dire che ogni problema è un chiodo.”
Dati gli eventi in Ucraina e in
Iraq, la definizione del presidente di “chiodo” e di “martello”, in relazione
ai militari degli Stati Uniti diventa importante. Le operazioni militari che non
possono avere successo, o possono avere successo solo con un tale sforzo esorbitante
che esaurisce la macchina bellica, sono irrazionali. Pertanto, la prima cosa da
valutare in qualsiasi strategia in Ucraina o in Iraq è la sua praticabilità.
La crisi in corso in Ucraina
In Ucraina, un presidente
filo-russo è stato sostituito da un presidente filo-occidentale. I russi hanno
preso il controllo formale della Crimea, dove avevano sempre avuto il potere militare,
grazie a un trattato con l'Ucraina. I gruppi pro-russi, apparentemente
sostenuti da Mosca, lottano ancora per un controllo in due province orientali
dell'Ucraina. In superficie, i russi hanno subito un'inversione in Ucraina. Se
questo è veramente un capovolgimento dipenderà dal fatto che le autorità di
Kiev sono in grado di governare l'Ucraina, che significa non solo la formazione
di un governo coerente, ma anche di far rispettare la sua volontà. La strategia
russa è quella di utilizzare l'energia, la finanza e le relazioni palesi e
segrete per minare il governo ucraino e usurpare il suo potere. E' nell'interesse
degli Stati Uniti che emerga una leadership filo-occidentale in Ucraina, ma
l'interesse non è abbastanza schiacciante per giustificare un intervento
militare degli USA. Non vi è alcuna struttura di alleanze in grado di sostenere
un simile intervento, e non importa quanto indebolita sia la Russia; in ogni
caso gli Stati Uniti sarebbero costretti a promuovere, in un paese vasto, una
occupazione, e regolare l'amministrazione - anche se possibile - sarebbe un
compito enorme. Gli americani poi combatterebbero lontani da casa, mentre i
russi no. L'Ucraina non è quindi un “chiodo” da poter essere “martellato”. Gli
Stati Uniti devono adottare una strategia indiretta. Il luogo in cui possono
agire per influenzare gli eventi è nei paesi confinanti con l'Ucraina - in
particolare Polonia e Romania. Questi paesi sono molto preoccupati per gli
eventi di Kiev e saranno anche loro costretti a resistere all’aggressività
russa come è accaduto nel secolo scorso; proprio qui devono intervenire gli
USA, a sostegno dei timori di queste nazioni.
Le complessità dell'Iraq
L’Iraq è costituito da tre grandi
gruppi: sciiti, sunniti e curdi. Gli Stati Uniti hanno lasciato l'Iraq nelle
mani del governo dominato dagli sciiti, che non è riuscito ad integrare i curdi
e sunniti. La strategia curda era quella di creare e mantenere una regione autonoma.
I sunniti hanno tentato di costituire una forza rilevante nella loro regione e
aspettare il momento opportuno. Quel momento è venuto quando, dopo le recenti
elezioni, il premier iracheno Nouri al-Maliki non è riuscito a formare
rapidamente un nuovo governo. I sunniti allora sono entrati in azione,
prendendo il controllo delle zone di loro pertinenza confessionale e in qualche
misura hanno cercato di coordinare le attività in tutta la regione. Essi non hanno
attaccato la regione curda o le zone a predominanza sciita. Successivamente,
gli sciiti hanno cominciato a mobilitarsi per resistere ai sunniti. Quello che
è accaduto è il fallimento del governo centrale e l'affermazione del potere
regionale. Non c'è alcun potere autoctono che può unire l'Iraq, in quanto
nessuno ha abbastanza forza per farlo. Forse solo un intervento americano
potrebbe riportare l’ordine. Come in Ucraina però, non è chiaro se gli Stati
Uniti abbiano un interesse immediato a fare ciò. La rivolta sunnita porta con
sé il rischio di un aumento del terrorismo e, ovviamente, dà ai terroristi una
base da cui partire per condurre attacchi contro gli Stati Uniti. Con questa
logica, gli Stati Uniti dovrebbero intervenire a favore dei curdi e degli sciiti.
Il problema è che gli sciiti sono legati agli iraniani, e mentre gli Stati
Uniti e l'Iran sono attualmente coinvolti in trattative sempre più complesse,
ma promettenti, il focus è ovviamente sugli interessi e non sull'amicizia.
L'invasione del 2003 si basava sul presupposto che gli sciiti, liberati da
Saddam Hussein, sarebbero divenuti docili con gli Stati Uniti e avrebbero
permesso di rimodellare l'Iraq in base ai desiderata di Washington. E’
subito emero però che gli sciiti iracheni, insieme ai loro alleati iraniani,
avevano piani diversi. L'invasione degli Stati Uniti non è riuscita infine a
creare un governo coerente in Iraq e ha contribuito a creare la circostanza
attuale. Gli USA potrebbero intervenire nuovamente, ma il problema al momento
non è militare, ma politico. Questo, naturalmente, lascia la possibilità di un
aumento della minaccia del terrorismo. Ci sono 1,6 miliardi di musulmani nel
mondo, e alcuni di loro sono pronti a impegnarsi in attività terroristiche. È
estremamente difficile, tuttavia, capire che sono inclini a farlo. E' anche
impossibile conquistare 1,6 miliardi di persone in modo da eliminare la
minaccia del terrorismo. Sconfiggere un esercito nemico è molto più facile che
occupare un paese il cui unico modo di resistere è il terrorismo. Un rischio
grave in Iraq è poi che se le regioni sunnite diventano autonome e il loro
governo non promuove la lotta alle componenti estremiste, il caos aumenterà. I
curdi, i sunniti e gli sciiti sono ostili gli uni agli altri. Saddam
controllava il paese attraverso l'apparato istituzionale laico del partito
Baath. In mancanza, le tre comunità continuano ad essere ostili gli uni agli
altri, così come la comunità sunnita in Siria è ostile agli alawiti. Gli Stati
Uniti potrebbero promuovere allora questa tattica: mantenere l’Iraq tripartito,
come adesso, non intervenendo direttamente, lasciando così le varie fazioni a contenersi
vicendevolmente.
L'utilizzo limitato del “martello”
da parte degli Stati Uniti
Per gli USA la situazione in Iraq
e Ucraina è simile da un solo punto di vista: non si può intervenire
militarmente. Invece, si deve agire con la forza indiretta utilizzando gli
interessi e le ostilità delle parti coinvolte. Ciò lo si farà sostenendo
fazioni che sono di interesse a Washington. In Ucraina, questo significherebbe
sostenere gli ex Stati satelliti sovietici dell'Europa centrale. In Iraq, ciò
significherebbe applicare una forza sufficiente per impedire l'annientamento di
uno qualsiasi dei tre principali gruppi del paese. Anche in passato gli USA
hanno utilizzato una strategia simile, ovvero ai tempi di Eisenhower. Solo chi
conosce la guerra è a conoscenza del fatto che essa può essere utilizzata solo
se si è quasi certi della vittoria, altrimenti è meglio una strategia volta all’attesa.
Gli USA non hanno fretta in Ucraina e nemmeno in Iraq.
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