Miliziani dello Stato Islamico in azione in Iraq |
Ali Reza Jalali
L’attenzione mediatica si è concentrata sulla situazione
irachena negli ultimi giorni, per via della clamorosa avanzata del gruppo
denominato Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, cartello che riunisce alcuni
movimenti salafiti che operano tra la Siria e l’Iraq, col dichiarato obiettivo
di costituire un governo basato sulla sharia a cavallo dei due paesi arabi.
Lo Stato Islamico si è costituito grazie ad una sinergia tra
gruppi sparpagliati, con una origine diversa dal punto di vista dell’appartenenza
nazionale, ma che hanno in comune la volontà di sconfiggere il “pericolo sciita”
nelle sue varie forme, dal governo alawita damasceno a quello duodecimano di
Baghdad. Nei proclami ufficiali dell’organizzazione si nota l’odio viscerale
nei confronti di questa confessione islamica; recentemente in un comunicato lo
Stato Islamico si è autoproclamato continuatore dell’opera della dinastia
Omayyade, nota tra gli sciiti per essere stata artefice di molte persecuzioni
settarie.
Lo Stato Islamico finanziariamente e militarmente è
sostenuto prevalentemente dall’Arabia Saudita, ma ha ottenuto importanti aiuti
anche dalla Turchia, paese membro della NATO. In Iraq e in Siria in questi anni
il gruppo ha lavorato in modo diverso: in Iraq c’è stato un progressivo
avvicinamento tra gli islamisti dello Stato Islamico e alcune tribù sunnite
dell’ovest, in passato vicine al regime di Saddam e del Partito Baath. Lo Stato
Islamico e queste fazioni sunnite dell’Iraq occidentale collaborano in nome
della comune preoccupazione riguardo al “pericolo sciita e iraniano”.
In ciò il governo di Baghdad guidato da Maliki è
sostanzialmente accusato di essere l’uomo degli iraniani in Iraq. In Siria il
gruppo invece si è caratterizzato per un rapporto molto complicato con le altre
anime dell’opposizione anti-Assad. Da un lato i Fratelli Musulmani (Esercito
Libero) giudicano quelli dello Stato Islamico troppo radicali, d’altro canto
Al-Nusra, un’altra formazione salafita, giudica lo Stato Islamico negativamente
per via del progetto “internazionalista” volto a unire l’Iraq e la Siria,
mentre Al Nusra mantiene, se pur anch’essa formata da miliziani di varie
nazionalità, una linea più legata alla lotta sul suolo siriano.
L’avanzata improvvisa dei salafiti “internazionalisti” in
Iraq è dovuta a diversi fattori: sicuramente il supporto regionale al
movimento, in funzione anti-Maliki, per indebolire l’asse Iran-Iraq-Siria (è
bene ricordare che l’Iraq è stato l’unico tra i principali paesi arabi, almeno
fino alla caduta di Morsi in Egitto, a non osteggiare Assad, tenendo
ufficialmente una posizione di non allineamento sulla situazione siriana) è una
questione importante, ma senza il tradimento di alcuni generali dell’esercito
iracheno, responsabili della difesa di alcune città, come Mousul, nel nord del
paese, l’avanzata non sarebbe stata così importante.
Infatti, alcuni dirigenti di spicco dell’esercito iracheno,
non hanno opposto alcuna resistenza all’arrivo degli islamisti in alcune zone
dell’Iraq settentrionale; ciò rientra perfettamente nella sinergia anti-sciita
e anti-iraniana creatasi tra islamisti sunniti e ex baathisti. Infatti i
generali disertori erano tutti ex membri del disciolto partito, ai tempi
guidato da Saddam. Lo scontro in atto in Iraq è interpretabile, purtroppo,
anche come uno scontro epocale tra sciiti e sunniti, ormai contrapposti su
diversi scacchieri, dal Libano all’Iraq, passando per la Siria.
Detto ciò, non possiamo nemmeno negare il tentativo di
conciliazione promosso dai capi religiosi di ambo le parti. Le immagini che arrivano
dall’Iraq in questo senso parlano chiaro. Giovani di tutto il paese, sciiti e
sunniti, si stanno in massa iscrivendo nelle milizie popolari, con l’intento di
bloccare l’avanzata integralista.
La situazione è evidentemente complessa e le notizie
discordanti non aiutano alla comprensione reale degli eventi, ma le reazioni
regionali ufficiali non mancano: gli alleati del governo iracheno, principalmente
gli iraniani e i libanesi di Hezbollah, hanno fatto sapere che in caso di
necessità interverranno. Indiscrezioni rivelano che vi sarebbe già una presenza
iraniana in Iraq, come non mancherebbero elementi sauditi a sostegno dello
Stato Islamico.
Anche il governo USA ha espresso solidarietà a Maliki,
smentendo però un coinvolgimento diretto. Gli Stati Uniti sono alleati dell’Iraq,
fornendo armi e addestramento all’esercito di Baghdad. L’Iraq è un paese
particolare, un amico degli USA e della Russia, alleato dell’Iran, vicino alla
Siria, osteggiato da Erdogan, dagli islamisti sunniti, dai Fratelli Musulmani
ai salafiti, odiato dai Sauditi.
L’Iraq è un paese caratterizzato dall’ambiguità: un po’ con
gli USA, un po’ con gli avversari regionali degli USA. Un po’ sunnita, un po’
sciita. Un po’ arabo, un po’ curdo. Un generale iraniano disse: “L’Iraq è il
paese dei Saddam”, nel senso che pur non essendoci più Saddam, arci-nemico dell’Iran,
potrebbero sempre emergere, per via della storia controversa di quell’area,
nuovi nemici dell’Iran, che ciclicamente da quella terra emergono. Lo Stato Islamico,
alleandosi con elementi del vecchio Baath, sembra la realizzazione della
profezia del generale iraniano. Non bisogna in questo senso sottovalutare le
aperture ai regimi della penisola araba fatte dai famigliari di Saddam, così
come da ex dirigenti iracheni di alto rango, come l’ex collaboratore di Saddam,
Al Douri.
A Tehran si vive con ansia quello che sta accadendo in Iraq;
nei giorni scorsi alcuni siti riferivano di piani dell’esercito iraniano in
caso dell’eccessivo avvicinamento dei salafiti “internazionalisti” ai confini
della Repubblica Islamica. Gli analisti militari comunque sottolineano il fatto
che in caso di emergenza l’intervento ci sarà già in territorio iracheno. Di
certo a Tehran non hanno voglia di vedere, a distanza di 34 anni, una nuova
invasione da ovest.
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