venerdì 3 gennaio 2014

Stati Uniti e Vaticano: una relazione complicata

Stati Uniti e Vaticano: una relazione complicata

A cura di Ali Reza Jalali
USflag_Vatican_52602541Lo stato del Vaticano è uno dei pochi paesi al mondo ad avere, sin dalla sua fondazione, ovvero negli anni ’20 del secolo scorso, una chiara matrice religiosa. Il Vaticano infatti è per eccellenza lo stato del cattolicesimo e della Chiesa occidentale; è vero che le sue radici vanno ricercate a dopo la caduta dell’Impero romano d’occidente, quando la penisola italiana fu suddivisa in zone d’influenza tra le varie popolazioni barbariche (soprattutto i longobardi), l’Impero romano d’oriente e il Patrimonio di San Pietro, antenato del moderno stato pontificio, anche se con una estensione non paragonabile a quella attuale. Ma il moderno stato del Vaticano nasce quando l’Italia “proletaria e fascista”, per usare un gergo mussoliniano, concede al Papa una zona di Roma, per esercitare una propria autorità autonoma dallo stato monarchico italiano. Quei famosi “Patti lateranensi”, siglati negli anni Venti del XX secolo, diedero vita a un nuovo stato sovrano, riconosciuto in pochi anni da molti paesi della comunità internazionale. Interessante notare però, che la principale potenza mondiale, almeno dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi, ci ha messo molti decenni prima di riconoscere l’esistenza del Vaticano come stato sovrano. Infatti, solo nel 1984 arrivò il riconoscimento degli USA. Perché i nordamericani ci hanno messo così tanto a riconoscere la sovranità e l’indipendenza dello stato pontificio? Prova a dare una risposta a questo quesito lo studioso e docente universitario Romano Vulpitta, professore emerito dell’Università di Kyoto in Giappone, grazie al capitolo “L’antiamericanismo di matrice cattolica” all’interno del volume “L’antiamericanismo in Italia“, libro pubblicato nel 2012 dalle edizioni “Settimo Sigillo”.
Uno dei motivi che potrebbero aver spinto i nordamericani a non riconoscere l’indipendenza e la sovranità del Vaticano, secondo l’opinione del prof. Vulpitta, potrebbe essere riconducibile all’astio tra protestanti e cattolici. Lo studioso infatti scrive: “Anche se pochi si rendono conto di questa realtà (ovvero della diffidenza reciproca tra USA e Vaticano, n. d. r.), gli Stati Uniti, che sono stati fondati da gruppi di protestanti puritani venuti dall’Inghilterra per sfuggire alle persecuzioni, sono l’unico paese moderno, a parte Israele, ad avere un’origine religiosa. E questo carattere religioso, sia pur laicizzato, continua a pervadere la società americana. Per la Chiesa cattolica i Puritani erano riguardati come eretici tra gli eretici. Questi dal canto loro provavano profonda avversione per la Chiesa di Roma, e questa avversione continua ad essere viva tra i protestanti americani.” (1)
Ovviamente ridurre il tutto a una disputa puramente religiosa è superficiale, ma possiamo riscontrare, anche solo a livello ideologico, forti attriti tra la cultura cattolica e quella nordamericana; è innegabile ad esempio che i padri fondatori degli USA, erano tutti ferventi adepti della massoneria, così come i loro colleghi europei, dalla quale fuoriuscirono i principali movimenti rivoluzionari del Sette-Ottocento europeo, dalla Rivoluzione francese al Risorgimento italiano. La cultura massonica, e ciò è noto a tutti, ha una forte componente antireligiosa e anticlericale. La Chiesa romana ha visto per tantissimo tempo gli stati repubblicani o monarchici nati dall’Illuminismo, dagli USA alla Francia, passando per la stessa Italia, come ordinamenti satanici figli della massoneria, frutti del demonio voluti per stroncare il dominio della cristianità autentica e del cattolicesimo. Romano Vulpitta riguardo ai rapporti tra massoneria e Chiesa cattolica scrive: “La massoneria era considerata come una sorta di religione laica basata sulla verità naturale e per questo era vista come la negazione della visione cattolica del mondo e come il peggiore dei mali portati dalla modernità. Pertanto i Gesuiti, che erano la punta di diamante nella lotta alla massoneria, mostravano diffidenza nei confronti degli Stati Uniti e la loro rivista Civiltà Cattolica fino agli inizi degli anni Quaranta, quando cioè i rapporti tra Stati Uniti e Santa Sede sono diventati amichevoli (in funzione anticomunista e antisovietica, cosa che ha coinvolto poi anche non pochi eredi del fascismo nostrano, in una crociata totale contro il bolscevismo italiano ed internazionale, n. d. r.), ha mantenuto un atteggiamento spiccatamente antiamericano.” (2)
Un altro punto di forte attrito tra la Chiesa cattolica, rappresentata dallo stato pontificio e gli USA è la questione economica. Infatti la dottrina sociale della Chiesa era in forte contraddizione rispetto ai valori del capitalismo liberista nordamerciano. Gli USA sono sempre stati considerati il paese del capitalismo selvaggio, ancora più dei paesi europei, che hanno saputo “ammorbidire” il modello nordamericano grazie ad uno stato sociale forte ed efficiente (cosiddetto modello “renano”, tipico della Germania e dei paesi europei continentali). Sulla forte critica cattolica del capitalismo selvaggio statunitense, possiamo ricordare ad esempio l’enciclica Quadragesimo Anno del 1931, che in occasione del quarantesimo anniversario della Rerum Novarum di Leone XIII e negli stessi anni della crisi del ’29, riportava quanto segue: “Il retto ordine dell’economia non può essere abbandonato alla libera concorrenza delle forze. Da questo capo, anzi, come da fonte avvelenata, sono arrivati tutti gli errori della scienza economica individualistica, la quale, dimenticando che l’economia ha un suo carattere sociale non meno che morale, ritenne che l’autorità pubblica la dovesse stimare e lasciare assolutamente libera a sé, come quella che nel mercato o libera concorrenza doveva trovare il suo principio direttivo, secondo cui si sarebbe diretta molto più perfettamente che per qualsiasi intelligenza creata. Ma la libera concorrenza, quantunque sia cosa certamente equa ed utile se continuata in limiti ben determinati, non può essere il timone dell’economia: il che è dimostrato anche troppo dall’esperienza.” (3)
Interessante poi una considerazione di Vulpitta sull’influenza della cultura americana in Italia e come ciò sia direttamente collegabile al ridimensionamento della morale cattolica nel “Bel Paese”. Egli scrive: “Per di più lo stile di vita americano, ed i valori che ne conseguono, sono penetrati anche in Italia e sono la causa principale del declino dei valori cristiani. Da questo punto di vista, anzi, l’americanismo rappresenta una minaccia più grave del comunismo. Infatti in paesi come la Polonia, che hanno sperimentato un lungo periodo di regime comunista, la Chiesa è ancora forte, mentre nell’Europa occidentale, che è stata invece esposta all’influenza dell’americanismo, ha registrato un grave regresso.” (4) Ovviamente il lavoro del prof. Vulpitta è volutamente parziale; egli in questo saggio vuole approfondire il tema complesso dell’antiamericanismo in Italia, sia in un’ottica cattolica, sia nell’area della destra, così come della sinistra. Per completare il discorso bisognerebbe ricordare anche quelle volte e quegli avvenimenti storici che hanno visto gli USA e la Chiesa cattolica collaborare in modo stretto, principalmente ai tempi della Guerra Fredda, sia in Italia che a livello internazionale. Contesti come l’America Latina sono un esempio lampante di ciò. Da che parte si schierò la Chiesa ai tempi del golpe di Pinochet in Cile contro il governo socialista? Non di certo contro gli interessi degli USA e dei golpisti. E ancora, ai tempi della presa dell’ambasciata USA in Iran nel ’79, il Papa invitò le chiese a suonare le campane in segno di protesta e in segno di speranza per il rilascio degli ostaggi americani in mano ai rivoluzionari iraniani. La guida della rivoluzione in Iran, l’imam Ruhollah Khomeini, rispose al Papa in modo netto chiedendogli sarcasticamente: perché non avete invitato a suonare le campane quando gli yankee massacravano i vietnamiti?
Detto ciò, è però innegabile una certa contrapposizione ideologica tra il cattolicesimo e il modello capitalista nordamericano, come emerge chiaramente anche dalla ricerca del prof. Vulpitta.
1- Romano Vulpitta, L’antiamericanismo in Italia. Una questione di identità nazionale, Roma, Edizioni Settimo Sigillo, 2012, pp. 66-67.
2- Ibidem, p. 68.
3- Ibidem, pp. 68-69.
4- Ibidem, p. 69.

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