mercoledì 24 settembre 2014

I bombardamenti americani in Siria, Leo Strauss, Gulliver


 

Ali Reza Jalali

 

Da quando sono iniziati i radi americani in Siria contro i gruppi islamisti avversari del governo siriano nel nord del paese arabo, gruppi che sono stati ampiamenti finanziati dagli stessi USA tramite i propri alleati regionali, gli stessi che stanno ora aiutando gli USA – mi riferisco principalmente alle monarchie arabe del Golfo Persico – una domanda ha iniziato ad assillarmi: come interpretare in modo razionale questo evento che ha del clamoroso, visto che di fatto sta mettendo in difficoltà gli oppositori di Assad?

Lo stesso governo damasceno è stato informato degli attacchi e il comunicato ufficiale del Ministero degli esteri non sembra indicare molto dispiacere da parte di Damasco. Vi sono varie ipotesi da prendere in considerazione: una è che l’America è veramente in preda alla schizzofrenia. Prima si sostengono gli oppositori di Assad, poi si interviene in Siria, non per aiutare gli oppositori – interessante notare che i raid non sono, come si era detto in precedenza, solo contro l’ISIS, ma anche contro altri gruppi -  ma per bombardarli, tutti, islamici più o meno radicali, più o meno fanatici.

Se prendessimo per buona questa ipotesi sarebbe inutile continuare a dibattere: la più grande potenza del mondo è dominata da folli senza una strategia precisa – a dire il vero Obama qualche tempo fa lo ha ammesso – e ciò vuol dire che tutto il mondo è in pericolo: l’America con la sua forza distruttiva potrebbe in futuro fare sciocchezze simili, anche su scala più ampia, mandando il mondo a rotoli, considerando anche il suo potenziale nucleare. Ma qualcosa, in fondo, mi dice che questa ipotesi è abbastanza grossolana. Aver creato una potenza politica gigantesca presuppone una strategia precisa, il caso può essere decisivo e la follia è sempre possibile, ma l’America ha oggettivamente ancora una forza tale da indurmi a credere che questa ipotesi sia quanto meno imprecisa.

Procediamo dunque: un’altra idea che mi viene in mente è che – soprattutto alla luce del coinvolgimento dell’Arabia saudita nell’attacco contro l’ISIS, ovvero il principale sponsor degli oppositori siriani di matrice salafita – i paesi arabi anti-Assad, non essendo riusciti a convincere gli americani a bombardare i governativi, per tutta una serie di motivi, ora invece, con lo spauracchio del terrorismo islamico e una possibile riedizione dell’11 settembre abbiano almeno convinto gli USA a bombardare, sempre in Siria, i ribelli più fanatici, preparando con clama il terreno a una zona cuscinetto a nord, per poter un domani, chissà, promuovere un intervento di terra dalla Turchia. In questo modo si creerebbe un mix di interventismo sul terreno e azioni aeree, con la possibilità di prendere Aleppo e farne una Bengasi siriana.

Questa seconda ipotesi già è più credibile e verosimile della prima. Ma visto che non ne sono certo – in questi anni ho imparato che a quelle latitudini può veramente succedere tutto e il contrario di tutto, in pochissimo tempo – anche su ciò rimango perplesso.

Almeno in una cosa però sono certo: l’intervento americano in Siria è molto simile al modus operandi yankee in Pakistan. Lì gli americani da diversi anni compiono raid aerei contro gli estremisti islamici, anche senza un coordinamento col governo centrale. Certo, si potrà obiettare dicendo che il Pakistan è un alleato di Washington e la Siria di Assad no. Ma se tralasciassimo questo fatto, ora la situazione sarebbe veramente simile: un governo centrale che non controlla alcune aree del paese, estremisti islamici tra gli oppositori del governo – estremisti che spesso hanno flirtato con gli americani e coi sauditi – raid americani sporadici che colpiscono i terroristi, ma anche i civili, come è già successo in Siria, senza però riuscire a debellare completamente il problema islamista.

Non riesco a trovare uno scenario più simile, visto che in Iraq in ogni caso il governo centrale quasi non esiste – lo stesso dicasi di contesti come quello libico o afghano – e altre situazioni, vedi l’Egitto, sono troppo diverse e non c’è uno stato di guerra paragonabile alla situazione siriana.

In ciò un fatto psicologico e strategico è fondamentale: l’America sembra, apparentemente, che stia facendo un “favore” a pakistani e siriani. A rigor di logica, sta bombardando degli oppositori di questi governi. Ma come concretizza tutto ciò? Con uno stile e una forma molto discutibili, ovvero senza né chiedere l’autorizzazione al governo del paese bombardato, né curarsi più di tanto del fatto che le zone bombardate sono comunque piene zeppe di civili (Se Assad bombardava le città era un “assassino di bambini”, lo fanno gli americani va tutto bene). Una volta constatato ciò, mi è passato per la mente un intellettuale americano, il celebre Leo Strauss, uno dei padri del neoconservatorismo americano. Egli esplicitamente aveva teorizzato questo modus operandi: l’America – diceva Strauss – in quanto grande potenza democratica, è legittimata a essere il gendarme del mondo, un gendarme buono che vuole il bene del mondo. Il bene del mondo, la pace, la democrazia e la libertà sono beni troppo importanti e per garantire la stabilità e il predominio del bene sulle forze del male - forze che oggi potrebbero essere rappresentante sia dal terrorismo islamico, sia dai regimi autoritari o dalle semi-democrazie del terzo mondo - bisogna non farsi scrupoli.
 
 
 
 

Le crisi internazionali e le problematiche si devono risolvere – ovviamente il “si deve” è riferito al gendarme del mondo – a tutti i costi, anche al prezzo di umiliare le altre nazioni. Addirittura il gendarme del mondo - gli USA - può intervenire per togliere le castagne dal fuoco agli altri, evidentemente incapaci di risolvere i propri problemi da soli, a costo di umiliare e vilipendere i “nemici”, ma anche al costo di offendere pesantemente chi deve essere salvato.

L’esempio che Strauss pone in essere è quello del gigante Gulliver che per salvare Lilliput da un incendio, urina – essendo lui un gigante – in testa ai suoi abitanti, dei nani. Gulliver (il gendarme del mondo, un gigante in mezzo a un mondo di nani) salva Lilliput dall’incendio, urinando, quindi umiliando i nani (1).

Il modus operandi che vediamo oggi laggiù non è dissimile: non penso che l’America voglia salvare Assad, ma in ogni caso l’azione USA ha come conseguenza un fatto importante. Il governo siriano, pur senza coordinazione con la coalizione anti-ISIS, permette il bombardamento di proprie città e della propria gente da parte di aerei stranieri, senza intimidire l’invasore. Ovviamente ora la Siria non ha alcun interesse a abbattere aerei americani, visto che tutto sommato gli USA stanno bombardando i nemici di Assad. Ma rimane il fatto che anche la Siria è entrata ufficialmente nell’alveo dei paesi del Medio Oriente in cui gli statunitensi bombardano, il governo o i ribelli a questo punto poco cambia: Siria, Iraq, Afghanistan, Pakistan, Yemen. La sovranità dello stato moderno in quelle regioni è sempre stata una conquista difficile, ma anche quel poco di autorità statale conquistata si sta sempre di più riducendo. Nelle macerie del Medio Oriente rimangono pochi giganti e molti nani. Leo Strauss docet.

 

1-      Al riguardo vedi Shadia B. Drury, The Political Ideas of Leo Strauss, Updated Edition, p. 39    

martedì 23 settembre 2014

“La grande strategia dell’Impero bizantino” di Edward Luttwak


 

di Ali Reza Jalali  

 

“Tutti gli stati hanno una grande strategia, che lo sappiano o no. […] Tutti gli stati hanno una grande strategia, ma le grandi strategie non sono tutte uguali.” (1) Con queste frasi il noto stratega e analista politico statunitense Edward Luttwak, conosciuto anche qui da noi, si appresta a concludere il suo libro La grande strategia dell’Impero bizantino (Rizzoli, 2009), in cui affronta il tema concernente gli approcci utilizzati dall’Impero romano d’Oriente per riuscire in una impresa che ha dell’incredibile: rimanere in vita per più di un millennio – dalla morte di Teodosio I, ovvero quando avvenne la spartizione dell’Impero in una metà a ponente e un’altra a levante, nel 395 d. C. fino alla caduta della capitale Costantinopoli per mano dei Turchi ottomani nel 1453 – nonostante il fatto di non avere una potenza militare paragonabile all’Impero romano propriamente detto – crollato in Occidente molto prima – e la presenza ai confini di potentissimi avversari, come i Persiani sasanidi, le varie potenze islamiche arabe, iraniche o turche, i popoli della steppa di religione non musulmana, gli Unni, gli Avari o i Bulgari, per non parlare delle terribili invasioni mongoliche in tutta l’Eurasia.
 
Lungo i suoi mille anni di esistenza, secondo l’autore, l’Impero è riuscito a elaborare una complessa ed efficacie strategia che solo in una certa misura dipendeva dalla potenza bellica bizantina: il segreto della straordinaria longevità dello stato guidato dal Basileus sta infatti nella formidabile capacità di promuovere una azione diplomatica, volta a far combattere tra di loro i nemici dell’Impero, oppure a corrompere generali e politici del fronte nemico, sostenendo azioni di ammutinamento negli eserciti rivali o veri e propri colpi di stato. Un esempio lampante di come si concretizzava questa strategia è riscontrabile nel VII secolo, quando l’Impero bizantino era ormai sull’orlo del collasso con le truppe dell’Impero persiano sasanide alle porte di Costantinopoli. Ormai la guerra sembrava persa, ma grazie ad alcuni intrighi sofisticati i bizantini riuscirono a corrompere il generale persiano a guida delle truppe che avevano assediato la capitale, generale poi che nel giro di qualche tempo arriverà addirittura a promuovere un golpe militare contro il suo stesso Shahanshah, il Re dei re Cosroe II e la sua oligarchia, che dal 603 al 626 aveva conquistato tutte le province orientali dell’Impero bizantino, dall’Egitto alla Siria, fino a assediare la stessa Costantinopoli.
 
In una sintesi perfetta tra diplomazia volta a dividere il fronte interno dei persiani, alleanza con popolazioni turche dell’Asia centrale, che attaccarono i persiani da est, costringendo Cosroe a una guerra su un fronte che sembrava tranquillo, strategia militare difensiva – i bizantini avevano eretto dal IV secolo una formidabile fortificazione per la loro capitale – e un’ottima controffensiva in profondità, addirittura fino alle vicinanze di Ctesifonte (nei pressi dell’odierna Baghdad), capitale dell’Impero persiano sasanide, i bizantini guidati da Eraclio salvarono l’Impero dal crollo, costringendo i persiani alla ritirata. Un altro esempio di grande strategia attuata dai bizantini risale al periodo delle invasioni mongoliche, che portarono alla devastazione di interi territori, dalla Cina all’Europa orientale, passando per la steppa eurasiatica e tutto il Medio Oriente. Dal XIII secolo in poi, i bizantini per evitare un confronto diretto con le truppe di Gengis Khan e dei suoi eredi, elaborarono una strategia “matrimoniale”.
 
Il Basileus decise infatti di dare in sposa delle parenti strette ai due figli di Gengis Khan che si erano spartiti un territorio immenso, uno a nord, il Khanato dell’Orda d’Oro, uno stato immenso a settentrione dell’Impero bizantino, che dall’Europa orientale si estendeva all’Asia, e l’altro a sud, a levante dell’Impero romano d’Oriente, che comprendeva il Medioriente attuale, alleandosi quindi coi mongoli. Certo, tutto ciò non fu sufficiente a mantenere sempre un alto grado di forza, infatti per lunghi periodi l’Impero bizantino non fu altro che la Grecia più alcune parti dell’odierna Turchia, e nel 1204 i cristiani d’Occidente, durante la Quarta Crociata, presero Costantinopoli di fatto estinguendo l’Impero, che risorse poco dopo, ma con poche risorse e pochissima forza strategica. Ciò non tolse però i bizantini dalla scena, almeno fino al definitivo crollo sotto la spinta espansionistica dei Turchi ottomani nel XV secolo. In ogni caso la storia bizantina dimostra, e ciò è spiegato egregiamente da Luttwak, che una pur non straripante forza militare – anche se l’esercito bizantino era di tutto rispetto, con un sistema fiscale che permetteva al Basileus di mantenere alta la professionalità e l’addestramento delle truppe, ma comunque sulla carta più debole di alcuni avversari – accompagnata da un’abile diplomazia, può rivelarsi vitale per uno stato.
 
Certamente leggendo il libro non possiamo non fare dei parallelismi e dei riferimenti alla storia contemporanea. Luttwak è pur sempre un analista importante e seguito dai politici statunitensi. Il suo messaggio in codice alla dirigenza di Washington sembra essere il seguente: fate come i bizantini, usate la forza, ma con cautela e cercate di evitare la guerra diretta contro i nemici. Bisogna prediligere la promozione della divisione nel fronte interno degli avversari e avere la capacità di mettere i nemici uno contro l’altro, affinché si indeboliscano vicendevolmente. Inoltre mai distruggere completamente il nemico, in quanto potrebbe rivelarsi l’amico di domani e non aiutare troppo gli alleati, rafforzandoli eccessivamente, in quanto essi in un futuro non troppo remoto potrebbero rivelarsi dei temibili avversari. Questo ultimo punto è stato praticato dai bizantini con lo stato dei Bulgari, che per diverso tempo ha confinato con l’Impero romano d’Oriente. Il Basileus spesso era alleato di questo popolo di origine centroasiatico, e usava le truppe bulgare come uno stato cuscinetto contro i temibili nemici della steppa. Ma senza mai rafforzarlo troppo, in quanto un alleato potente ai confini non è mai una cosa positiva.
 
Non a caso i Bulgari spesso cambiavano alleanze e ogni tanto da amici diventavano nemici di Costantinopoli. Nel mondo odierno le cose non sono poi così diverse, chi vuole detenere l’egemonia in una regione o nel mondo, ha diverse strade da seguire: ma la più logica e meno dispendiosa rimane la permanente divisione nel fronte potenzialmente avversario. Le guerre sono sempre difficili e anche una vittoria può essere il frutto di un sacrificio enorme, sia economicamente che umanamente. La cosa migliore è fomentare “rivoluzioni colorate” – in Persia nel VII secolo d. C. o in Medio Oriente e nell’est europeo oggi, poco cambia – oppure far combattere tra di loro i propri potenziali avversari – persiani e turchi nel VII secolo d. C. o europei e russi oggi, poco cambia. L’importante è la gloria dell’Impero, bizantino o nordamericano, poco cambia.     

 

1-      Edward N. Luttwak, La grande strategia dell’Impero bizantino, Rizzoli, Milano, 2009, p. 473

sabato 20 settembre 2014

Conferenza a Parma: "Dagli attacchi alle Comunità di Siria e Iraq, al pericolo dello jihadismo in Europa"

 
 
 


 Intervengono

● STEFANO BONILAURI
Movimento Politico "Socialismo Patriottico"

● OUDAY RAMADAN
Cittadino Italo-Siriano

● ALI REZA JALALI
Ricercatore Iraniano


● PADRE DIMITRY NAZAROV
Chiesa Ortodossa Reggio Emilia
 
 
Via San Martino 8 Parma
 
alle ore 16.30
 

martedì 16 settembre 2014

La coalizione internazionale anti-ISIS, ovvero i nuovi “Amici della Siria”


 

Ali Reza Jalali

 

In questi giorni la comunità internazionale ha intrapreso uno sforzo per creare una grande coalizione con l’obiettivo di combattere la minaccia globale più importante del momento, ovvero quel gruppo estremista denominato Stato Islamico dell’Iraq e della Siria. Il movimento islamista ormai controlla da tempo alcune aree dei due paesi arabi, ma il suo massimalismo rappresenta un pericolo per tutto il Medio Oriente – vi è la possibilità concreta che l’emirato virtuale guidato dal califfo Al Baghdadi possa espandersi – ma anche per l’Europa, visto che una parte dei miliziani che combattono laggiù risiedono stabilmente in occidente.
 
Ovviamente si pone una domanda: come è stato possibile che migliaia di estremisti islamici siano partiti per la guerra santa dai paesi dell’UE, senza che nessuno abbia mosso un dito tra le autorità, in un contesto dove ogni piccolo particolare, spesso insignificante a livello della pubblica sicurezza – saluti romani, cori negli stadi o slogan scanditi in piccole manifestazioni – vengono represse con una rapidità spesso sconvolgente? Ma tralasciando questo fatto, rimane un punto fondamentale e innegabile; lo Stato Islamico a cavallo tra Siria e Iraq è una vera minaccia globale, una minaccia sorta però in un contesto specifico, ovvero alcune guerre provocate da fattori esogeni e endogeni, come possono essere le guerre del 2003 contro l’Iraq da parte degli USA e dell’occidente, guerra che ha portato l’Iraq nel caos settario, favorendo implicitamente il radicalismo religioso – l’ISIS ne è proprio una dimostrazione – per non parlare del conflitto interno siriano, dovuto spesso a squilibri dovuti all’odio esistente tra alcune componenti di quella società, ma di certo aggravato dall’intromissione di attori stranieri volenterosi di rovesciare il governo di Damasco.
 
Questa sommariamente la genesi e il retroterra da cui deriva l’ISIS, formazione radicale composta da miliziani arabi, ma anche europei, turchi e altro ancora, che ha dichiarato guerra al mondo intero. Ci sono anatemi contro tutti: i nemici sono gli sciiti, i sunniti moderati, gli occidentali, i russi, i cristiani d’oriente e chi più ne ha più ne metta. Si pone quindi il problema di come sconfiggere questo gruppo, finanziato spesso da emiri e sceicchi residenti nei paesi arabi, come quelli del Golfo Persico, senza dimenticare nemmeno l’appoggio della Turchia, paese NATO, a questo gruppo molto attivo contro Assad e l’esercito siriano. A oggi, chi ha combattuto contro questa formazione in Siria, sul terreno, sono stati il governo siriano, le milizie popolari filogovernative, gli Hezbollah libanesi e alcuni gruppi dell’opposizione siriana come certe milizie curde o anche, in certi frangenti, milizie legate ai Fratelli Musulmani o ad Al Qaida, in scontri legati al predominio in alcune zone fuori dal controllo governativo.
 
Questi ultimi scontri però, tra vari oppositori di Assad, alla fine hanno visto la vittoria dei miliziani di Al Baghdadi, che hanno addirittura ridimensionato il ruolo di Al Qaida in Siria. Infatti c’è stato un massiccio passaggio di qaidisti nelle file dell’ISIS. L’ISIS in pratica è la versione aggiornata e migliorata di Al Qaida. Evidentemente l’ISIS non avrebbe mai potuto acquisire questa potenza senza il sostengo economico e militare dei paesi mediorientali interessati alla caduta del governo siriano e di quello iracheno di Maliki, principalmente i paesi arabi del Golfo Persico e la Turchia. Oggi però, almeno apparentemente, la comunità internazionale sembra voglia combattere il fenomeno costituendo una coalizione di vari paesi, tra i quali molti occidentali e alcuni mediorientali.
 
Il punto preoccupante è però che nella lista della coalizione stilata recentemente troviamo nomi come quello dell’Arabia saudita e dei paesi satelliti, ovvero i principali sponsor dell’ISIS, mentre non fanno parte del gruppo i paesi che fino a oggi effettivamente hanno contribuito a lottare contro gli estremisti islamici in Siria e Iraq, ovvero la Siria stessa e l’Iran, da sempre sostenitore di Assad e di Hezbollah nella guerra che ormai da diversi anni si combatte laggiù. In realtà gli occidentali hanno cercato contatti con Damasco e Tehran, ma l’asse della resistenza, così si chiama l’alleanza militare tra i due paesi, alleanza che include anche Hezbollah, preferisce continuare la lotta all’ISIS e ai gruppi jihadisti dell’area per conto proprio, non fidandosi degli USA e soprattutto dell’Arabia saudita e degli altri stati arabi aderenti alla coalizione. Se i sauditi sono sinceri, dovrebbero immediatamente smettere si finanziare i terroristi.
 
La Turchia, non a caso, forse più coerentemente col suo progetto neo-ottomano di egemonia su Iraq e Siria, ha deciso di non aderire alla coalizione, avendo probabilmente il timore di essere coinvolta in una guerra che invece di combattere contro l’ISIS, come si dice formalmente, possa portare più in là nel tempo a un progetto di estromissione di Assad dal potere, cosa auspicato da Ankara, ma senza portare la Siria nell’orbita erdoganiana, bensì in quella saudita; insomma, una riedizione della situazione egiziana, dove i sauditi, sostenendo il golpe del generale El Sisi, hanno di fatto eliminato l’influenza neo-ottomana dal Cairo. Erdogan ha imparato bene che dei sauditi non si può fidare.
 
La coalizione anti-ISIS al momento non è dissimile dalla coalizione anti-Assad, i famigerati “Amici della Siria”, solo che a differenza di quella situazione il nemico non è più presentato come Assad, ma i gruppi jihadisti. Inoltre allora vi era un problema tecnico - non che a qualcuno interessi qualcosa ovviamente, è solo una questione estetica; non c’era l’avvallo dell’ONU, mentre oggi c’è una Risoluzione del CSNU che di fatto apre la strada, anche sotto il profilo del diritto internazionale, a un’azione militare nei luoghi in cui si trova l’ISIS (quindi non solo in Iraq, ma anche in Siria). Infatti per rimanere nell’alveo del diritto internazionale, non vi è la necessità di un avvallo della Siria per i raid contro i jihadisti, visto che la Risoluzione dell’ONU ha forza attuativa così come è. Insomma, dove il diritto internazionale non permetteva un intervento in Siria contro Assad, oggi lo permette contro l’ISIS. Se poi si nota che chi finanzierà la presunta azione contro l’ISIS (paesi arabi), sono gli stessi che caldeggiavano l’intervento contro Assad, allora i conti tornano. Altro che guerra all’ISIS. Magari ci fosse una vera lotta contro l’estremismo, quella lotta condotta sul campo dal governo siriano lungo questi terribili anni di “primavera araba” che dovevano portare pace e democrazia nella regione.
 
Questa è solo una riedizione degli “Amici della Siria”, meno partecipata, vista la defezione di alcuni importanti ex membri, come Turchia e Egitto. Oggi come allora l’obiettivo è entrare in Siria, non solo per mezzo dei gruppi anti-Assad, moderati o estremisti che siano a Damasco poco importa, ma con una coalizione internazionale, in pratica il famoso intervento sul modello libico di cui si è parlato tanto in questi anni, con l’obiettivo di eliminare sia le frange meno malleabili degli oppositori, sia il governo centrale, riproponendo il vecchio progetto che avevamo denunziato sin dall’inizio nel 2011-2012, cioè quello di rompere l’asse Damasco-Tehran. Sarà un caso che questi due paesi, in prima linea contro l’ISIS, non partecipano alla coalizione degli “Amici della Siria” versione estate 2014? Gli USA e l’Arabia saudita, grazie a un sostengo implicito o esplicito che fosse, all’avanzata jihadista in Iraq, coinvolgendo direttamente Baghdad nella diatriba, hanno complicato notevolmente la situazione sul campo all’asse della resistenza e ora si propongono di fermare il jihadismo. In pratica, con questa scusa, si vuole porre le basi per eliminare gli unici che il jihadismo lo hanno combattuto veramente, Assad e alleati.  

venerdì 5 settembre 2014

Difendere l’Occidente? Io ci sto. Nota a un articolo di Ezio Mauro

 
 
 
Ali Reza Jalali
 
Recentemente sul quotidiano socialdemocratico “La Repubblica” Ezio Mauro ha scritto un interessante articolo sull’Occidente, i sui nemici e il sistema valoriale da difendere dal titolo “L'Occidente da difendere”. Scrive Mauro: “La terza Nato nasce in Galles dopo la prima, figlia della Guerra Fredda e la seconda dell'età di mezzo, quando con la caduta del Muro sembrò aprirsi un secolo lungo senza più nemici per le democrazie che avevano infine riconquistato il Novecento. La guerra di Crimea riporta nel cuore d'Europa, dove sono nate le due guerre mondiali, truppe, missili, carri armati, morti, feriti, aerei abbattuti.” Mauro si riferisce al meeting in Galles dove la NATO ufficialmente dice quello che noi, attraverso la rivista “Eurasia” diciamo da un bel po’: la guerra fredda non è mai finita. Quel conflitto poteva essere terminato per chi, ubriacato di ideologismo infantile, aveva letto la sfida tra la NATO e l’URSS come la battaglia delle ideologie, tra democrazia occidentale e marxismo. In realtà, come ha confermato anche Lucio Caracciolo di “Limes”, le radici del conflitto erano e sono geopolitiche e non ideologiche: l’America e il suo braccio armato vogliono evitare che in Eurasia possa sorgere una potenza o una coalizione di paesi che possa mettere in discussione il primato occidentale e anglosassone. Il fatto che questa potenza sia comunista, democratica, islamica, induista o vegana, è un fatto del tutto secondario. Oltre al discorso geopolitico però, Mauro si concentra sul piano valoriale, sulla difesa dell’Occidente non tanto come luogo geografico, ma come sistema di idee, individuando alcuni concetti salienti: stato di diritto, democrazia, diritti umani. Ora, in questa sede a me non interessa entrare nello specifico né del discorso geopolitico, né di quello valorale. Dico solo questo: vogliamo difendere l’Occidente, ovvero, come emerge anche dall’articolo di Mauro, garantire l’incolumità degli occidentali, degli europei in particolare, delle loro conquiste, anche in termini di libertà – solo un pazzo o un fanatico potrebbe pensare che fuori dal tanto vituperato Occidente possano essere garantiti alcuni diritti fondamentali, pensiamo solo alla libertà religiosa nel mondo islamico – da eventuali nemici? Bene, in guerra, perché dall’articolo pubblicato da “La Repubblica” i toni sono quelli di una battaglia finale, tra due visioni del mondo, noi contro loro (Russia e Islam), bisogna prima di tutto vincere e per farlo bisogna scegliere bene gli alleati. Da soli non si vincono le guerre: l’Occidente per sconfiggere la Germania si è alleata con la tanto odiata Russia. Nella guerra attuale in difesa dell’Occidente, Mauro dice che non siamo stati noi a muovere la guerra, ma sono i nostri nemici ad aver deciso che l’Occidente è il nemico. Qui c’è il grave fraintendimento: la situazione attuale ucraina, è il frutto, come ha nuovamente ammesso Caracciolo, di un golpe filo-occidentale: il resto è una reazione russa. Reazione appunto. Per ciò che concerne l’Islam e in particolare il cosiddetto Stato islamico, esso è nato all’interno del conflitto siriano, dove, tanto per cambiare, il fronte antiassadista sostenuto dall’Occidente – di cui faceva parte anche lo Stato islamico, oltre ad Al Qaida (Fronte Al Nusra) e ai Fratelli Musulmani (Esercito Libero), ancora oggi, invece di aiutare Assad nella lotta contro il terrorismo islamico, lo si demonizza. Ma si ricordi la NATO, come scrive bene Alberto Negri su “Il Sole 24 Ore”, è forse meglio confinare, in Turchia, con Assad o con i terroristi islamici? Insomma, mi sembra che Mauro non colga il punto: è stato un Occidente imprudente a mettere in pericolo il suo stesso sistema geopolitico e valoriale, mettendosi contro, dall’Ucraina al Medio Oriente, i suoi potenziali alleati, la Russia di Putin e il regime laico di Assad, per favorire proprio i suoi veri nemici, i terroristi islamici e il nazionalismo spicciolo, ormai esasperato in Ucraina. Questi sono i nemici dell’Occidente, dell’Europa, fondata sulla libertà e i diritti umani. Nemici che orami abbiamo in casa, nelle nostre strade, con la loro arroganza e il loro menefreghismo nei confronti dei valori europei. Tanto si è battuti in ritirata su questi temi in casa nostra, che orami ci sono anche qui, nell’Europa settentrionale, i partiti pro-sharia. Ha perfettamente ragione Negri, l’Europa invece di mettersi contro chi ha dimostrato di lottare sul campo contro il fanatismo religioso e l’estremismo nazionalista, sia ragionevole e non si irrigidisca: la Russia e la Siria, e chiunque lotti contro l’estremismo islamista, contro l’ISIS e derivati, dall’Iran ai conservatori di casa nostra, si è tutti sullo stesso fronte per difendere l’Occidente. Sembra un paradosso? Forse, ma l’importante è vincere la guerra. Churchill disse: “Sono anticomunista, ma per sconfiggere Hitler sono disposto a allearmi con l’URSS.” I fatti gli hanno dato ragione. Inoltre è inutile impazzire a cercare una cosa che non esiste: il fantomatico Islam moderato. L’Islam è una religione monoteista, in quanto tale fatta di dogmi e, esattamente come le fonti dell’ebraismo, impregnata di un forte pensiero violento. Esiste però un Islam pragmatico, col quale, come auspica Negri, in nome di una lotta contro un nemico comune, si può e si deve dialogare. Fino a oggi l’interlocutore islamico principale dell’Occidente è stato il regime saudita. I risultati? ISIS, 11 settembre (Lucio Caracciolo di “Limes” ha pochi mesi fa bollato gli attentati negli USA come azioni saudite mascherate da estremismo islamico) e chi più ne ha più ne metta. E’ ora di cambiare, siamo ancora in tempo a difendere l’Occidente dalle orde islamiche.