domenica 30 giugno 2013

Turchia e Iran: passato, presente e futuro del Vicino-Medio Oriente





di Ali Reza Jalali


Confrontando l’attuale carta geografica del Vicino-Medio Oriente con quella della fine del Settecento, notiamo immediatamente che lo spazio e il territorio di due Stati, Impero ottomano e Regno di Persia, oggi è occupato da almeno una ventina di Paesi: Turchia, Siria, Libano, Palestina occupata, Iraq, Giordania, Egitto, Stati della Penisola araba, Iran, Paesi del Caucaso meridionale, Afghanistan e Pakistan. I motivi di questa frammentazione della regione possono essere molteplici, principalmente riconducibili a due fattori: esogeni ed endogeni. I primi sono figli della debolezza delle istituzioni turche e persiane, ormai obsolete e restie a cambiamenti, riforme e ristrutturazioni di apparati burocratico-finanziari anacronistici rispetto ad altre zone del mondo, principalmente all’Europa, dove le ingenti ricchezze accumulate grazie ad una rete egemonica sugli oceani, garantiva un approvvigionamento monetario sicuro. Di certo le risorse economiche all’Impero ottomano e al Regno di Persia non mancavano, ma queste ricchezze non venivano utilizzate per promuovere la ricerca scientifica, base dello sviluppo di qualsiasi civiltà, sia per le questioni economiche, sia per quelle militari. Questo fatto invece in Europa era assodato. Il capitale era investito sistematicamente nello sviluppo, che poi porterà alla Rivoluzione industriale, grazie al lavoro di grandi scienziati, cosa che in Oriente, dopo il Cinque-Seicento non si era più visto. Se da un lato la grandezza ottomana, aveva raggiunto il suo apice tra questi due secoli, che dal punto di vista simbolico, ma non solo, era stato caratterizzato dal duplice assedio di Vienna (1529 e 1683), la grandezza persiana in epoca moderna era dovuta alla dinastia Safavide (fine Cinquecento-metà Settecento) e principalmente al regno di Abbas il Grande (metà Seicento). Ma oltre queste carenze interne, l’impatto di tali potenze islamiche con le avventure coloniali europee, principalmente di inglesi e francesi, causò un ulteriore trauma, che ebbe come risultato l’implosione di ottomani e persiani e la progressiva deflagrazione della regione Vicino-Medio orientale in quello che conosciamo oggi, ovvero una zona a forte instabilità politica, con regimi che potrebbero cadere dall’oggi al domani. Ovviamente questi cambiamenti epocali si sono concretizzati nel giro di alcuni secoli (Ottocento e Novecento), dimostrando la vulnerabilità di Paesi arretrati, incapaci di arginare l’avanzata imperiale delle potenze occidentali.
Avendo descritto in modo sommario le vicende di questa regione tormentata del mondo, si nota come anche oggi la situazione non sembra essere cambiata molto, almeno per la maggior parte dei Paesi dell’area, assolutamente incapaci di circoscrivere eventuali prove di forza del mondo occidentale, oggi capeggiato dagli USA. Lo abbiamo visto bene con le guerre degli ultimi dieci anni, dall’Afghanistan alla Libia, passando per l’Iraq; la facilità con cui la macchina militare occidentale schiaccia i propri avversari nel mondo islamico è sconcertante. La NATO e gli USA "asfaltano" i propri nemici in poche settimane e se rimane qualche problema nel gestire la guerra non riguarda il momento del conflitto propriamente detto, ma la fase postbellica, di gestione dell’emergenza e del caos. Nella regione Vicino-Medio orientale, le cose non sembrano cambiate molto rispetto a duecento anni fa, se non fosse per la consapevolezza di Turchia e Iran di essere eredi di un grande passato, che progressivamente sta portando le principali potenze del mondo islamico a ricreare una zona di influenza diretta ai propri confini, una sorta di "revival" della grandezza ottomana e persiana.



Ciò è visibile soprattutto in due Paesi della regione, cioè Siria e Iraq, dove ognuno dei principali attori regionali pretende di avere una sorta di "diritto di influenza". I turchi ritengono la Siria e l’Iraq come il proprio giardino privato, ma anche l’Iran pretende la stessa cosa ed entrambi hanno buone motivazioni storiche, culturali e religiose per portare avanti tali pretese. L’Iran e la Turchia in questo momento storico, sembrano essere gli unici Paesi del mondo islamico a portare avanti politiche orientate ad un confronto diretto col mondo sviluppato e industrializzato, rappresentato principalmente dall’Occidente. Non è un caso che, sulla carta, gli unici Paesi ad avere serie possibilità di difesa contro un eventuale attacco militare occidentale, siano proprio gli eredi dell’Impero ottomano e del Regno di Persia. Quindi, gli alleati di queste due potenze, si sentono più protette rispetto ad altri attori regionali. Ovviamente, nel contesto storico attuale, un attacco militare contro la Turchia da parte dell’Occidente, è "fantapolitica" allo stato puro, essendo Ankara parte integrante della NATO. Ma lo stesso non si può dire per Tehran, sempre alle prese, per via delle istanze anti-imperialiste e antisioniste del proprio governo, con il rischio di un attacco israelo-americano. Dal canto suo l’Iran ha già dimostrato in questi anni di sapersi difendere: in Libano nel 2006, la resistenza libanese patrocinata dall’Iran ha inflitto la prima seria sconfitta militare a Israele, avanguardia occidentale nel Vicino Oriente. Lo stesso dicasi per il conflitto di Gaza nel 2008-2009, quando i miliziani palestinesi con l’aiuto di agenti e armi provenienti principalmente dalla Repubblica islamica, si difesero egregiamente dall’aggressione sionista. Anche oggi, il principale deterrente ad un attacco della NATO nei confronti della Siria filoiraniana, sembra essere la paura di una reazione di Tehran, e degli Hezbollah libanesi in funzione antisionista (oltre evidentemente all’appoggio sino-russo al governo di Damasco). In questa delicata partita siriana, fondamentale per gli equilibri mondiali nel XXI secolo, la Turchia gioca un ruolo importante, essendo il principale sponsor delle milizie anti-Assad (cosiddetto Esercito Siriano Libero). Le due principali potenze islamiche, Turchia e Iran, stanno quindi cercando un proprio spazio vitale, che in caso consolidamento, potrebbe mettere a rischio l’egemonia occidentale nella regione, che si protrae dai primi del Novecento in modo netto, prima con l’influenza anglo-francese, e poi con l’ingresso dell’espansionismo americano. Il problema principale è che, in questa fase, un’egemonia turca dal punto di vista americano e israeliano, è preferibile rispetto all’egemonia iraniana, visto che la Repubblica turca è membro della NATO, riconosce l’esistenza di Israele ed ha normali rapporti diplomatici, economici e politici con Tel Aviv, ha delle istituzioni politiche simili ai Paesi occidentali e guarda con favore all’allargamento della NATO e della stessa UE. L’Iran invece è un avversario dichiarato dell’espansionismo americano ed atlantista, guarda con timore ad un allargamento della NATO e alle basi americane ai propri confini (comprese quelle in Turchia), non riconosce l’esistenza di Israele e promuove la resistenza all’occupazione sionista non solo a parole, ma con armi e operazioni di intelligence, e si rifà a delle istituzioni politiche e ideologiche antitetiche rispetto a quelle occidentali. Gli stessi intellettuali iraniani definiscono il modello della Repubblica islamica come una "democrazia religiosa", in antitesi rispetto alla democrazia liberale dell’Occidente.
Per i piani dell’egemonia atlantista e sionista, ovviamente l’ideale sarebbe poter esercitare un’influenza diretta negli affari regionali, ma se, per qualsiasi motivo, ciò non fosse più possibile, sarebbe preferibile l’influenza turca, come ultima possibilità per arginare l’avanzata iraniana nella regione, il controllo della quale, per via delle ingenti risorse energetiche, determinerà una capacità senza precedenti nell’influenza delle relazioni internazionali per tutto questo secolo. Non è un caso quindi, che la propaganda mediatica occidentale, negli ultimi tempi stia cercando in tutti i modi di proporre alle masse arabe il "modello turco", in ciò coadiuvati da alcuni gruppi politici protagonisti della cosiddetta "Primavera araba" e dagli stessi media atlantisti del mondo arabo (Al Jazeera e Al Arabya in primis).


19/07/2012

giovedì 27 giugno 2013

Gli Stati Uniti e la nuova strategia mediorientale


15 aprile 2013 

Ali Reza Jalali 

Il segretario di stato americano John Kerry ha appena concluso il suo primo tour ufficiale nella regione araba, e ciò ha scatenato un’ondata di speculazioni sui negoziati USA-Russia e sul reale clima delle relazioni tra Washington e Teheran. Il viaggio mediorientale di Kerry è avvenuto in mezzo a spaccature clamorose tra l’opposizione siriana. Moaz al-Khatib, uomo di riferimento degli Stati Uniti, ha già detto che era pronto per il dialogo con il governo damasceno, mentre il gruppo avversario, influenzato da Qatar e Turchia, aveva severamente contestato questa opzione e aveva cercato di formare il suo proprio governo di transizione all’estero. Ma Washington, al contempo, sta guardando, con viva preoccupazione, l’ascesa di “al-Nusra” e dei gruppi vicini al qaidismo, che non tutti operano sotto la supervisione della NATO. In sostanza, Washington ha visto che il progetto regionale di sostegno all’”Islam moderato”, incarnato dall’ala più aperta dei Fratelli Musulmani, è stato effettivamente costruito su illusioni in alcuni dei suoi aspetti, come d’altronde l’amministrazione di George W. Bush aveva fatto dei progetti idealistici e non concretizzabili con l’occupazione dell’Iraq. Le prove generali di un’alleanza con i Fratelli Musulmani erano state già affrontate, nel 2006, cioè prima che Barack Obama arrivasse alla Casa Bianca. Il governo turco si era fatto carico di pubblicizzare questo progetto per Washington, attraverso Recep Tayyip Erdogan. Negli USA infatti, alcuni pensarono, tra il 2007 e il 2008, che l’ascesa di un presidente di origini islamiche potesse favorire una politica mediorientale per i nordamericani. 
E’ opportuno ricordare che la prima visita di Obama in una capitale islamica era stata ad Ankara, dove aveva pronunciato posizioni chiare sull’Islam moderato e il suo ruolo nella regione. Nonostante l’opposizione di alcuni, la “primavera araba” iniziò tra il 2010 e il 2011, e paesi come Tunisia, Egitto, Libia, Yemen e Siria furono investiti. Ma il nuovo progetto ha deluso coloro che hanno scommesso su di esso e ha dato credito a coloro che avevano messo in guardia Obama. Poi è venuta la guerra in Libia, gli incidenti in Egitto, il boom di estremisti in Tunisia e il caos siriano per confermare che l’Islam moderato sarebbe solo una fase transitoria prima dell’avvento estremista dell’Islam salafita e settario. Pertanto, gli interessi degli Stati Uniti nel lungo periodo sarebbero minacciati, visto che i gruppi salafiti sono difficilmente controllabili e gestibili, e in generale, poco inclini al compromesso. In un primo momento, i sostenitori di questa tendenza a Washington ritennero che l’avvento della faccia moderata dei Fratelli Musulmani avrebbe aperto la porta alla riconciliazione con la civiltà islamica; tutto ciò avrebbe favorito l’asse NATO-mondo arabo, per la resa dei conti con l’Iran e la Siria. Nel frattempo, la Turchia era in attesa di espandere la propria egemonia e di recuperare la sua lunga gloria attraverso un approccio paternalistico verso questi governi islamici emergenti presso le coste del Nord Africa e del Medio Oriente. E, naturalmente, l’Europa ha sostenuto l’ambizione turca al fine di sbarazzarsi dell’insistenza di Ankara per l’adesione all’Unione europea, tema orami secondario per i dirigenti turchi. Ma dopo tutto quello che è successo, Washington ha modificato la sua visione e si potrebbe apprestare a prendere una strada completamente diversa. Questo non significa necessariamente tornare alle fasi precedenti, quelle precedenti al progetto della “primavera araba”, ma certamente indica che la scommessa sul progetto principalmente promosso dalla Turchia e dal Qatar sta fallendo. Una delle situazioni più emblematiche in questo senso è ciò che sta avvenendo in paesi come Giordania ed Egitto, dove ora gli USA stanno giocando su due fronti. Da un lato sostegno condizionato ai governi (rispettivamente monarchia hashemita e Fratellanza), ma d’altro canto, attenzione anche per le opposizioni di questi paesi, che potrebbero tornare utili se vi fosse la necessità di una nuova ondata di destabilizzazione regionale. E’ per questo che il governo di Amman, pur sostenendo la ribellioni contro Assad, critica la linea esasperata del Qatar che sostiene apertamente i gruppi salafiti.
Tuttavia sul campo di battaglia più caldo, ovvero in Siria, le posizioni di Russia e Iran sono tenute in considerazione dagli Stati Uniti per produrre la sua nuova strategia “doppiogiochista”: la richiesta di un dialogo diretto tra l’opposizione siriana e il Presidente Assad. Chiaramente, questa posizione indica un notevole progresso nei negoziati USA-Russia, sul fronte dell’organizzazione delle zone di influenza in Medio Oriente. Indubbiamente, questa nuova realtà dei fatti non è una buona notizia per i sauditi, per il Qatar e per la Turchia, che hanno cercato quindi di limitare Moaz al-Khatib e il gruppo direttamente collegato a Washington. Tutto ciò non è piaciuto nemmeno alla Francia, che si sente esclusa dal “grande gioco” mediorientale, e anche per questo ha cercato attraverso azioni quasi unilaterali (Libia, Mali), di crearsi uno spazio vitale nella regione. Considerando la situazione critica, Parigi ha inoltre chiesto ai suoi dipendenti in Medio Oriente di mantenere una linea molto cauta, in quanto potrebbero esserci reazioni popolari contro la politica militarista intrapresa dalla Francia negli ultimi tempi. Le autorità francesi si rendono conto della gravità della situazione, partendo dal presupposto che l’abbattimento di Assad è fallito miseramente, e c’è il rischio che alcuni integralisti stanchi di combattere in Siria possano tornare a casa, cioè in Francia, paese di residenza di tanti jihadisti di origine nordafricana.
E’ infine bene ricordare che le navi da guerra russe sono ora al largo delle coste libanesi e siriane, e si muovono con una libertà senza precedenti. Dopo la guerra in Libia, la politica interventista arabo-occidentale in Siria, ha di fatto rafforzato la posizione dei paesi che dovevano essere le vittime prescelte dopo la caduta di Assad: Russia e Iran. Un altro importante anello regionale che doveva saltare era Hezbollah, ma la crisi innescata dall’attacco terroristico alla Siria, non solo non ha indebolito la resistenza libanese, ma sembra proiettare il movimento sciita verso il consolidamento nazionale. In tutto ciò bisogna sottolineare come Israele, cerca attraverso una politica di assenso, più o meno tacito, alla destabilizzazione regionale, di restare in guardia, in quanto, il prossimo conflitto propriamente detto contro la resistenza libanese, se dovesse avvenire, potrebbe segnare uno smacco storico, una sorta di “Caporetto” mediorientale, con conseguenze dirette su tutta la regione. Non a caso russi e americani sembrerebbero discutere di un nuovo piano per la spartizione del Mediterraneo orientale, con o senza il consenso di Tel Aviv. La politica nordamericana quindi, una volta preso atto dell’utopia riguardante la caduta di Assad, sta ora cercando un approccio più pragmatico, di fatto superando le istanze irrazionali e demagogiche di Arabia Saudita, Qatar e Turchia.


Turkish revolution. An interview with Ali Reza Jalali


Natella Speranskaya:  The national revolution has started in Turkey. What are the forces behind it? Who is fighting who?

Ali Reza Jalali:  These revolts that we are witnessing in Turkey are seemingly derived from environmentalist reasons, i. d. opposition to a project that involved the destruction of a park for the construction of a shopping complex. But beneath this appearance hides a widespread discontent of a part of the Turkish population about the Erdogan’s administration; overall in recent years. This last Erdogan’s term, which began in 2011, was accompanied by wrong choices, especially in foreign policy, such as support for terrorism in two neighboring countries: Syria and Iraq. A part of the Turkish people then criticizes Erdogan for his approach, judged too one-sided and perhaps authoritarian.

Natella Speranskaya:   How is the Turkish revolution related to the geopolitical opposition of Eurasianism (Russia, Iran, Syria) and atlantism (NATO, USA, EU)?

Ali Reza Jalali:  Of course Turkey is a NATO member, a country that aspires entry into the European Union and which has good relations with USA. Popular uprisings, such as the current ones, regardless of their ideological or outcome that will obtain in practice, are a positive signal from an Eurasian point of view, because, at least in the media, give the opportunity to Russia, Iran and Syria to send a message to Erdogan: "It’s better that you think about your problems, instead of destabilizing the Middle East!".

Natella Speranskaya:  Your prognosis of the development of events in Turkey and how it will effect the situation in Syria?
Ali Reza Jalali:  Concretely, it's hard to think that the riots in Turkey can get a result in the short term, but certainly in the media are not a positive thing for Erdogan. The major benefits for the government and the people of Syria are attributable to the chance to show at the Arab world that Turkey has not a stable or ideal government, which is presented in the Arab media like Al Arabya, but instead a context in which the people want the fall of the government. Taksim Square as Tahrir Square. Is this Turkish spring? We will know it only in future.

mercoledì 26 giugno 2013

Giustizia e spiritualità



Giustizia e spiritualità. Il pensiero politico di Mahmoud Ahmadinejad, di S. Hekmat e A. R. Jalali, Anteo Edizioni in collaborazione con CESEM


VIDEO DI PRESENTAZIONE 

VIDEO DI PRESENTAZIONE: LA REPUBBLICA ISLAMICA DELL'IRAN

LA REPUBBLICA ISLAMICA DELL'IRAN TRA ORDINAMENTO INTERNO E POLITICA INTERNAZIONALE di Ali Reza Jalali

VIDEO DI PRESENTAZIONE 




La vicenda dei marò in India e la guerra contro la Libia: diritto costituzionale, ordinamento interno e diritto internazionale

La vicenda dei marò in India e la guerra contro la Libia: diritto costituzionale, ordinamento interno e diritto internazionale

di Ali Reza Jalali
gheddafi-berlusconiIl rapporto tra l’ordinamento interno italiano e quello internazionale vive momenti complessi. La recente vicenda dei marò ne è un caso emblematico. Vi sono due aspetti della vicenda legata all’uccisione dei pescatori indiani da parte dei marò italiani che bisogna analizzare, e ciò vale anche per altri fatti della politica internazionale: la questione giuridica e quella geopolitica.
La cosa da focalizzare in primo luogo, per la vicenda dei marò, è capire di chi sia la giurisdizione, in pratica capire quale sia il giudice che deve “dicere ius”; quello italiano o quello indiano? In base alle norme internazionali, e soprattutto in base alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto dei mari, ratificata sia dall’Italia che dall’India, lo Stato costiero (India), è competente per quello che riguarda la giurisdizione, se il fatto criminale avviene in una zona fino a 12 miglia nautiche dalla costa. Ma il problema è che in mare, è molto difficile stabilire con assoluta certezza la distanza tra la costa e la terraferma. Se invece il crimine viene commesso in acque internazionali, quindi oltre le 12 miglia nautiche, la suddetta Convenzione, ci dice che è competente sulla vicenda il paese dell’imbarcazione sulla quale è avvenuta la condotta incriminata. Quindi, in questo caso, bisognerà valutare la bandiera che batte l’imbarcazione. I pescatori erano indiani e l’imbarcazione sulla quale sono stati uccisi era indiana, per cui le autorità del paese asiatico ritengono che l’India è competente per quello che riguarda la giurisdizione. Questa è sostanzialmente l’argomento principale della parte indiana. La parte italiana argomenta in modo antitetico ed è molto difficile comprendere la realtà dei fatti, anche perché vi sono diverse ricostruzioni dell’accaduto.
Alcuni hanno proposto delle similitudini tra la vicenda dei marò e la strage del Cermis della seconda metà degli anni ’90. Ma caso è paragonabile all’incidente del Cermis? Secondo alcuni studiosi no, non è analogo a quello del Cermis: gli autori dell’incidente del Cermis erano militari americani presenti in Italia in base ad accordi bilaterali e NATO, protetti da uno “Status Of Forces Agreement” che riserva alla giustizia degli stati Uniti il potere di giudicare il personale militare americano in Italia. I marò italiani non godevano di nessuno status speciale riconosciuto da un accordo con l’India. Fra l’altro, i militari che fecero crollare la funivia del Cermis immediatamente vennero portati fuori dall’Italia dai loro capi militari.
A prescindere da questioni tecniche, una riflessione generale è doverosa, riguardante i rapporti tra Italia e comunità internazionale, ovvero la relazione tra diritto interno e internazionale. Le principali norme a livello costituzionale che fanno da ponte tra ordinamento nostrano e internazionale sono le seguenti:
Art. 10 della Costituzione
L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
Art. 11 della Costituzione
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Queste norme hanno favorito l’integrazione dell’Italia nel sistema internazionale emerso dopo il 1945, con la creazione dell’ONU e l’ingresso dell’Italia nella NATO e l’integrazione europea. Alcuni al riguardo parlano di ordine giuridico globale. Un ordine giuridico globale si è andato sviluppando con eccezionale rapidità. Tale rapidità riguarda sia il suo sviluppo quantitativo e dimensionale, sia lo sviluppo degli istituti caratteristici degli ordinamenti domestici, segnatamente quelli di garanzia e quelli di partecipazione.
Posti dinnanzi a problemi che non possono risolvere da soli, come quello del buco nell’ozono, quello delle malattie epidemiche, quello del governo di Internet, quello dei rischi atomici e chimici, quello del terrorismo, quello dell’uso non distruttivo delle risorse ittiche, e altri temi come la guerra e la pace, i governi nazionali si affrettano a dotarsi di strumenti comuni, che vanno oltre lo Stato. Accanto a poteri pubblici territoriali ultra-statali, tra cui specialmente l’Unione Europea, vi è un pullulare di poteri pubblici mondiali funzionali o settoriali, ognuno con un proprio compito specializzato. Ma l’Italia, in questo sistema nel quale in teoria, il diritto della forza dovrebbe soccombere dinnanzi alla forza del diritto, come si comporta?
La vicenda dei marò è significativa. Fino a qualche anno fa, i marò sarebbero rimasti in Italia, punto. Oggi, dinnanzi al periodo dell’egemonia unipolare occidentale in declino, emergono nuovi attori, come il cosiddetto BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) per non dire di altre potenze regionali che mettono in discussione il predomino USA-Europa degli ultimi secoli. La lettura del diritto senza una prospettiva dei risvolti politici e geopolitici delle questioni regionali e internazionali non è completa e corretta. Le forze internazionali e le potenze si stanno muovendo in una direzione imprevedibile dopo il crollo dell’URSS, che doveva aprire l’egemonia mondiale occidentale. Ma la realtà spesso supera la fantasia, ed eccoci nel 2013 a parlare dell’India che dice “no” ad un paese europeo e occidentale.
Ovviamente anche in Occidente le potenze non sono uguali, e il declino internazionale dal punto di vista politico di alcune nazioni avviene in modo più rapido di altri; il declino italiano è indubbiamente più rapido di quello nordamericano o inglese. Detto ciò, non possiamo non notare come spesso, le politiche italiane in alcuni casi siano errate da un punto di vista internazionale, e questi errori aggravano la difficoltà dell’Italia nello scacchiere mondiale e regionale, soprattutto ora che il paese vive una pesante crisi economica. Questi errori non sono solo politici, ma anche giuridici.
Una vicenda clamorosa al riguardo è l’attacco militare alla Libia, paese amico e partner commerciale importante di Roma. La Legge 6 febbraio 2009, n. 7, ratificava infatti un trattato bilaterale, il “TRATTATO DI AMICIZIA, PARTENARIATO E COOPERAZIONE TRA LA REPUBBLICA ITALIANA E LA GRANDE GIAMAHIRIA ARABA LIBICA POPOLARE SOCIALISTA”. L’Articolo 3 disponeva: Le Parti si impegnano a non ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dell’altra Parte o a qualunque altra forma incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite.
Inoltre l’Articolo 4, concernente la non ingerenza negli affari interni, disponeva:
1. Le Parti si astengono da qualunque forma di ingerenza diretta o indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella giurisdizione dell’altra Parte, attenendosi allo spirito di buon vicinato.
2. Nel rispetto dei principi della legalità internazionale, l’Italia non userà, ne permetterà l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia e la Libia non userà, né permetterà, l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro l’Italia.
A distanza di un paio di anni, lo stesso governo italiano che aveva firmato quegli accordi molto intelligenti e ragionevoli, anche per le aziende italiane, che in tempi di crisi, necessitavano di nuovi mercati, decideva di collaborare, suo malgrado, ad una guerra contro la Libia del colonnello Muammar Gheddafi, isola di stabilità in una regione instabile, nella quale il radicalismo settario, come vediamo anche in questi mesi, sta avanzando rischiando di gettare nel caos tutto il Mediterraneo, già sconvolto da una pesante crisi economica, dal Portogallo a Cipro.
Le Basi italiane usate dalla NATO contro la Libia, in barba agli accordi italo-libici furono nel 2011: Trapani, Sigonella, Gioia del Colle, Capodichino, Decimomannu, Aviano, Pantelleria. Secondo alcuni l’intervento italiano, in base ai sopracitati articoli della Costituzione sarebbe stato giustificabile, visto il mandato ONU e la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza. Ma il problema è che questa risoluzione imponeva solo una zona di non sorvolo sui cieli libici, e in nessun suo punto parla esplicitamente di intervento armato. Inoltre, anche la prassi istituzionale italiana in quella vicenda pone parecchi dubbi giuridici: infatti, in quell’occasione, il governo italiano era sostanzialmente contrario all’intervento militare, ma le pressioni del Capo dello Stato portarono di fatto l’Italia e l’esecutivo ad intervenire, evidentemente controvoglia, in un conflitto che ha sprigionato una moltitudine di movimenti integralisti e settari, che rischiano di minacciare anche l’Italia, visto che, da quanto risulta dalle notizie, spesso censurate, del conflitto siriano, molti integralisti reclutati per la “guerra santa” contro il governo di Damasco, partono proprio dalla Libia “liberata”, e alcuni di questi sono residenti in Europa, anche in Italia.
Recentemente poi, alcuni giornalisti italiani sono stati rapiti in Siria, sempre dai cosiddetti terroristi islamici, che i media chiamano ribelli; evidentemente qui abbiamo a che fare con un terrorismo islamico “buono”, come quello di 30 anni fa in Afghanistan, i famosi “freedom fighters”, che noi oggi conosciamo col nome di talebani. Tutto ciò sembra un’ulteriore dimostrazione del fatto che i rapporti tra diritto interno e internazionale, più che vertere su valutazioni giuridiche si basano su valutazioni politiche, e i rapporti di forza non si basano sull’oggettività delle norme, ma sulla soggettività degli attori coinvolti e sulla loro forza di impatto nelle dinamiche globali; ancora nel XXI secolo, il diritto della forza, prevale sulla forza del diritto.

العقوبات المتعلقة بمنع الانتشار النووي: تقييم وتقدير الاحتياجات و العواقب





في سياق القضايا الجيوسياسية الكبرى التي يعيشها عالم اليوم، نظمت الأكاديمية الجيوسياسية الباريسية، في 03 جوان 2013 بقصر لوكسمبورغ (مجلس الشيوخ) ندوة تناولت فيها مسألة "العقوبات المتعلقة بمنع الانتشار النووي: تقييم وتقدير الاحتياجات و العواقب
ان العقوبات الدولية التي اعتمدتها الأمم المتحدة  و العقوبات من جانب واحد تطبق وتقرر بشكل متكرر اليوم حيث أصبحت تدريجيا الوسيلة الدولية الوحيدة المتاحة للإكراه. إحدى الأهداف المعلنة لهذه العقوبات هي مكافحة انتشار أسلحة الدمار الشامل. ومع ذلك، يناقش تأثير وفعالية هذه الأداة في هذا المجال. فما هي الآثار المترتبة عن العقوبات على البلدان المعنية؟ هل تخدم في بعض الأحيان أغراض أخرى غير عدم الانتشار؟

ناقش المتحدث الخامس، علي رضا جلالي، باحث في القانون الدستوري في أوراسيا و في مركز الدراسات المتوسطية في إيطاليا موضوع العقوبات وأصل التغيير الاجتماعي في البلدان المستهدفة: حالة إيران
نظرا لأهمية النفط في اقتصاد إيران يعتقد علي رضا جلالي أن العقوبات سيكون لها تأثير سلبي على البلاد، وخاصة على المدى القصير. و قال ان الأثر الرئيسي هو انخفاض قيمة العملة المحلية وارتفاع حاد في معدلات التضخم، البالغ في الوقت الراهن حوالي 30٪. وقد انعكس ذلك وفقت للمتحدث، بارتفاع في الأسعار والذي قد يسبب العديد من المشاكل ، وخاصة بالنسبة للطبقات المتوسطة والفقيرة والموظفين الإيرانيين ولكن استفادت أغنى الأسر وبعض دوائر الطبقة الوسطى من ذلك، وهذا بفضل المضاربات المالية
في الواقع ، يقول رضا جلالي، لا يمكن لإيران أن تجري معاملات مصرفية دولية، أو حتى إذا ما في وسعها اجراء مثل هذه المعاملات، فإنها تتم في ظروف سيئة وصعبة للغاية. فالعقوبات لا "تعلم" اي شيء، ولكنها تدفع السياسات إلى تعزيز الاكتفاء الذاتي في مجال الطاقة. وأضاف انه بدون القطاع النفطي، تفقد إيران المصدر الرئيسي للدخل في البلاد. من ناحية أخرى، لقد أجبر هذا البلد على إيجاد بديل للنفط والطاقة النووية من أجل البقاء على قيد الحياة، لذلك فهو مرشح تاريخي. يفهم الشعب الإيراني إذن على الرغم من الصعوبات في فرض العقوبات، لاعقلانية هذه التدابير مما تسبب في انتشار الشعور بالظلم، لكنه أدى إلى زيادة الكراهية ضد القوى الدولية المتغطرسة المسؤولة مباشرة عن هذه العقوبات 
الاقتصادية الظالمة. وهذا يخلق فقط الكراهية في المجتمع الإيراني، ليس ضد النظام الايراني، بل ضد الولايات المتحدة وبعض الحكومات الأوروبية


martedì 25 giugno 2013

La Repubblica Islamica dell’Iran




Roberto Cozzolino



E' stato di recente presentato a Roma il libro “La Repubblica Islamica dell’Iran tra ordinamento interno e politica internazionale”, di Alì Reza Jalali, laureato in Giurisprudenza e dottorando in Diritto costituzionale presso l’Università di Verona, ricercatore del “Centro Studi Eurasia e Mediterraneo”, redattore del periodico on line “Stato e Potenza” e collaboratore di diverse testate, tra le quali “Eurasia, rivista di studi geopolitici”, con particolare interesse alle tematiche del Vicino Oriente e del mondo islamico riguardo agli aspetti politici, storici, giuridici, religiosi e culturali.
Oltre all’Autore erano presenti in qualità di relatori Giuseppe Aiello, titolare della casa editrice Irfan Edizioni che ha pubblicato il libro, Claudio Mutti, direttore della rivista di geopolitica “Eurasia” ed Alì Pourmarjan, Direttore dell’Istituto Culturale dell’Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran.
Presentiamo di seguito una panoramica, quanto più fedele possibile, delle interessanti relazioni prodotte, a beneficio di tutti coloro che non hanno potuto essere presenti.

Il Dottor Aiello, editore del libro, ha affermato che per una piena comprensione della realtà della Repubblica Islamica dell’Iran bisogna tenere a mente diversi fattori, poco noti in Occidente sebbene l’Iran si sia trovato spesso, in tempi recenti, al centro dell’attenzione dei media: la particolare posizione geografica, col conseguente controllo – diretto od indiretto – su molte fonti di energia; l’eredità dell’impero persiano: la lingua ufficiale è il farsi – o neopersiano, lingua indoeuropea anche se usa l’alfabeto arabo -, e dal plurisecolare impero persiano l’Iran deriva il patrimonio culturale in campo artistico, filosofico, poetico, letterario; la religione, prevalentemente sciita – con centro nella scuola teologica di Qom –, che ha consentito il trionfo della Rivoluzione e la fine della monarchia modernista e filoccidentale di Mohammad Reza Pahlavi; la figura dell’ayatollah Khomeini il quale, oltre che uomo politico, è stato giurisperito, filosofo, commentatore coranico, poeta; il coinvolgimento dell’intera popolazione nella guerra contro l’Iraq, chiamata “la sacra difesa” e vissuta da tutti con ardente patriottismo e per molti occasione di una realizzazione esistenziale.
L’editore ha quindi presentato una serie di diapositive finalizzata ad una sintetica ma esaustiva descrizione della società iraniana, allo scopo di sfatare i luoghi comuni coi quali la stessa viene evocata nell’immaginario collettivo dalla persistente disinformazione dei media occidentali. Indubitabile esempio di tolleranza è il rispetto delle minoranze religiose – ebrei, cristiani, zoroastriani, sunniti – ed etniche – azeri, turchi, curdi, turkmeni - presenti in Iran, addirittura con rappresentanze nel Parlamento.
Aiello ha concluso il suo intervento ricordando che, secondo la dirigenza iraniana, l’Islam è una religione completa di origine divina ed ha quindi gli strumenti adatti per gestire ed organizzare la società, rendendola più giusta; a tale scopo non bisogna però modernizzare l’Islam, ma piuttosto islamizzare la modernità; in campo internazionale si persegue l’unità del mondo islamico offrendo amicizia, collaborazione e rispetto a tutte le nazioni, ma combattendo strenuamente contro l’imperialismo, il colonialismo e lo sfruttamento.

Secondo il Professor Claudio Mutti, autore di una dotta e puntuale relazione, uno degli scogli principali che incontra il libro è il tentativo di rendere comprensibile la Repubblica Islamica dell’Iran definendola secondo le categorie tipologiche occidentali; trattandosi di una forma di governo che si basa sulla legittimazione divina bisognerà indagare se il termine “repubblica” non sia in contraddizione con un sistema islamico legittimato da Dio, essendo il modello repubblicano normalmente legittimato dal popolo. La repubblica come intesa nel moderno occidente è sicuramente in antitesi con uno Stato islamico; anche se tale antitesi scompare se facciamo riferimento alla concezione di repubblica quale si evince da dottrine politiche diverse da quella dell’occidente della modernizzazione, ma più consone alla tradizione europea: come ad esempio quella definita da Cicerone, per il quale la res publica è “coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus”, “l’organizzazione unitaria di un aggregato umano reso solidale non solo dal comune vantaggio, ma prima ancora da una comune coscienza giuridica”. Nella conclusione del suo “De re publica”, nota come “Somnium Scipionis”, afferma che l’azione dell’uomo politico si accosta alla suprema volontà di Dio ed a coloro che hanno operato in vita per il bene dello Stato sono riservate vita immortale e felicità eterna. Del resto, ha notato ancora Mutti, la democrazia intesa in senso moderno è anche per Aristotele una degenerazione della “politéia” – governo del popolo per il bene comune -, che costituisce una delle forme corrette di Stato insieme alla “basiléia” ed all’aristocrazia – con le rispettive deviazioni costituite da tirannide ed oligarchia – ed analogo schema ideologico troviamo in Platone, per il quale la “politéia” svolge una funzione eminentemente religiosa, collegando la comunità umana con la realtà divina. A stabilire un’altra differenza fondamentale rispetto agli Stati occidentali Mutti cita direttamente l’Autore: “Lo Stato iraniano quindi non è una Repubblica laica in senso occidentale, in quanto la legge di Dio è comunque sovraordinata alla legge dell’uomo; ma non è nemmeno una teocrazia classica nella quale i cittadini non hanno voce in capitolo, come ancora oggi avviene in alcuni Paesi mediorientali”; la nozione di laicità, intesa nel significato corrente di separazione della politica dalla religione e di estraneità dello Stato rispetto alle questioni religiose, risulta del tutto incompatibile con la cultura islamica, secondo la quale la legge dello Stato procede dai principi insiti nel Corano; alcuni Stati mussulmani odierni, considerati comunemente laici, smentiscono incontestabilmente tale qualifica: ad esempio la costituzione siriana prevede che fonte principale della legislazione è il diritto islamico ed il presidente deve appartenere alla religione mussulmana. Va peraltro rifiutata la definizione di Stato teocratico, imbarazzante in quanto applicata oggi a regimi politici corrotti, con la religione ridotta al rango di mero “instrumentum regni”; ma forse altre formule più adatte a definire la Repubblica Islamica dell’Iran sono quelle di “Stato teocentrico” – dove però vigono le elezioni – o “governo del giurisperito” (velāyet-e faqīh), originale figura che, affiancando i tre classici poteri dello Stato – esecutivo, legislativo e giudiziario -, media tra legittimazione “divina” e “democratica” dello Stato; “nomocrazia” – potere della legge – o “teonomia” – governo della legge divina – costituiscono altri efficaci neologismi. Il termine di paragone più adeguato proviene ancora una volta, ricorda Mutti, dalla dottrina politica dell’antichità europea: Platone, nel mito di Crono, ci esorta a proclamare come norma sovrana dello Stato quella legge definita dallo spirito che si manifesta in noi stessi come regola e guida dell’intelligenza; contraddicendo il sofista Protagora, Platone afferma che non l’uomo, ma Dio è misura di tutte le cose; dato il limite oggettivo della natura umana è necessario che l’uomo sia sottomesso a Dio e che il governo della Repubblica abbia la propria radice nella saggezza divina. L’uomo che deve reggere lo Stato – conclude Platone – deve essere il miglior conoscitore delle leggi e superare i suoi concittadini per rettitudine di costumi, pensiero ed azione. Sono gli stessi concetti che ritroviamo nella dottrina politica islamica come è stata formulata dall’imam Khomeini: “Il governo islamico è il governo della legge e Dio solo è il sovrano ed il legislatore; nell’Islam governare significa obbedire alla legge e renderla supremo giudice. Il potere conferito al Profeta … ed ai legittimi governanti a lui succeduti deriva da Dio. Considerato che il governo islamico è un governo della legge è necessità assoluta che il governante dei mussulmani sia ben informato della legge …”
Il professor Mutti ha quindi esaminato la questione iraniana da un’angolazione squisitamente geopolitica, ricordando che l’Iran è il segmento centrale di quella lunga fascia che costituisce il bordo del continente euroasiatico: il “rimland”, secondo la nota definizione di Spykman, che contrapponendo la sua visione a quella di Mackinder – secondo la cui dottrina chi controlla la zona centrale (heartland) domina il mondo –, formula la tesi complementare secondo cui la potenza che controlla il rimland non solo impedisce che chi controlla l’heartland domini il mondo, ma conquista esse stessa il potere mondiale: ”Who controls the rimland rules Eurasia; who rules Eurasia controls the destinies of the world”. Tale teoria ispirò durante la Guerra Fredda la dottrina del containment, strategia adottata in politica estera dagli Stati Uniti per impedire che il rimland euroasiatico passasse sotto il controllo dell’Unione Sovietica e della Cina; col crollo dell’Unione Sovietica il potere nordamericano sul rimland si è rafforzato, ma non completato, stante la presenza di alcuni Paesi renitenti alla sudditanza verso gli USA: primi tra questi l’Iran e la Siria. Secondo una prospettiva geopolitica euroasiatica il ruolo dell’Iran coincide con quello dei Paesi islamici che insieme ad Europa, Russia, Cina ed India costituiscono uno dei grandi spazi nei quali si articola il continente euroasiatico; opportunamente organizzata attraverso rapporti organici di federazioni ed alleanze, tale fascia islamica potrebbe rappresentare una barriera insormontabile per la penetrazione statunitense, in funzione di presidio meridionale del continente euroasiatico. Purtroppo l’attualità ci mostra un mondo islamico frammentato, a parte le fisiologiche divisioni etniche, linguistiche e culturali, in diverse realtà statuali e diviso tra vari orientamenti politici e religiosi; anche la storica ripartizione del mondo islamico tra sunniti e sciiti viene artificiosamente enfatizzata dagli strateghi del “divide et impera”, creando le condizioni per una vera e propria “guerra civile islamica”. Tra i vari orientamenti che il mondo islamico attuale ci presenta, il più incompatibile con gli interessi euroasiatici è sicuramente quello rappresentato dai regimi arabi storicamente alleati dell’occidente atlantico – Arabia Saudita e Qatar in primis – nonché da quei movimenti e gruppi settari che godono del sostegno politico ed economico di tali regimi. Un altro orientamento è rappresentato dalla Turchia, autopropostasi come modello per i Paesi mussulmani del Mediterraneo, caratterizzata dal tentativo di conciliare Islam e democrazia, sharia e capitalismo, nostalgia della grandezza imperiale ottomana e sudditanza all’area occidentale, solidarietà col popolo palestinese e mantenimento delle relazioni con l’entità sionista; inoltre il contributo dato dalla Turchia, nel recente passato, alla distruzione della Libia e l’appoggio fornito ora al terrorismo settario in Siria dimostrano che il neoottomanesimo di Ankara svolge obiettivamente un ruolo subordinato agli interessi imperialisti, funzionale alle strategie degli USA e della loro propaggine sionista. Altra variante, il così detto socialismo islamico – impropriamente definito laico – è scomparso di scena con la distruzione dell’Iraq baathista e della Jamahiriya libica. Il modello rappresentato dalla Repubblica Islamica dell’Iran è perciò l’unico che può esercitare una positiva influenza soprattutto nei Paesi con forti comunità sciite (Iraq, Libano, Siria ed alcune zone della penisola arabica), svolgendo una funzione di Paese guida anche al di fuori del mondo arabo (Tagikistan, Azerbaijan, Afghanistan) ed in quello di antica influenza culturale persiana (India e Pakistan). Grazie alla sua posizione geografica l’Iran può contribuire alla risoluzione di alcuni problemi fondamentali della Russia attuale: spezzare l’anello dell’anaconda – termine della geopolitica statunitense indicante il tentativo di soffocare il continente – consentendo ai sovietici l’accesso al mare; aiutare a risolvere le contraddizioni tra la Russia ed i mussulmani dell’Asia centrale caucasica, fomentate dall’occidente per destabilizzare l’intera regione. Con la sconfitta del panturchismo, del cosidetto “Islam americano”, del settarismo di matrice wahabita, l’Iran potrebbe contribuire a costruire in Asia centrale e nell’oriente mediterraneo un blocco geopolitico in grado di respingere l’aggressione atlantica, riattualizzando quell’idea di impero che più volte, in un passato glorioso, ha fatto si che diversi popoli di quell’area potessero convivere entro i medesimi confini politici e sotto un’unica legge.







Per una singolare coincidenza, proprio nel giorno in cui si svolgeva la presentazione del libro oggetto delle presenti note, giungevano gli esiti delle elezioni presidenziali in Iran, vinte al primo turno dal riformista Hassan Rohani; tale circostanza ha indotto il Dottor Jalali a spendere qualche parola in proposito, evidenziando l’alta affluenza - circa il 70% - alle urne, una palese volontà di cambiamento e forse un voto punitivo verso la litigiosità dei candidati perdenti; ciononostante, avendo le istituzioni iraniane creato negli ultimi quaranta anni un sistema istituzionale molto stabile – soprattutto se confrontato con quello dei Paesi limitrofi -, la popolazione iraniana si dimostra sempre disposta ad accettare il verdetto delle urne e le varie formazioni politiche sono pronte a collaborare col vincitore, lasciandosi alle spalle le diatribe preelettorali per contribuire al bene supremo del Paese, essendo la legge al di sopra di tutto e di tutti.
Pertanto, secondo il Dottor Jalali, resteranno immutate le linee strategiche relativamente ai progetti geopolitici regionali ed internazionali e non sarà possibile alcun cambiamento nel sistema di alleanze internazionali. Tale tendenza patriottica si è palesata nel caso della guerra con l’Iraq, quando tutte le componenti della società iraniana hanno saputo superare gli individualismi faziosi per fare fronte comune contro il nemico esterno. L’Autore ha poi affrontato i temi di politica internazionale, individuando nella guerra in Siria la principale preoccupazione attuale del governo iraniano: la caduta del legittimo governo di Bashar Al-Assad sarebbe estremamente pericolosa in quanto possibile preludio ad un attacco contro l’Iran cui seguirebbe, secondo gli obiettivi strategici della NATO in Medio Oriente, la destabilizzazione delle aree a maggioranza mussulmana della Russia, ottenuta fomentando come sempre il terrorismo e finanziando i così detti ribelli, per provocare un nuovo crollo della Russia con una conseguente nuova balcanizzazione, dal momento che le potenze euroasiatiche, soprattutto Russia e Cina, sono i principali concorrenti strategici ed economici degli USA. L’Iran, nell’ottica atlantista, rappresenta l’anello debole dell’asse euroasiatico Mosca-Teheran-Pechino; è dall’Iran quindi che passano gli equilibri non solo del Medio oriente e dell’Eurasia, ma di tutto il mondo.

Il Dottor Alì Pourmarjan, dopo aver ringraziato i relatori che l’hanno preceduto ed elogiato l’Autore per il suo eccellente saggio, ha parlato dell’importanza che la geopolitica riveste in Iran ed affermato che tale disciplina ha conosciuto anche in Iran un rapido sviluppo, essendo in grado di fornire gli strumenti adeguati per la comprensione di molteplici problemi. Inoltre la geopolitica attuale, da qualsiasi angolazione si esamini, non può non riconoscere il ruolo fondamentale della Repubblica Islamica dell’Iran, punto di riferimento di relazioni internazionali, economiche e politiche; a tale proposito indicativa è la partecipazione dell’Iran all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, che conferma come tale Paese sia insostituibile per reali garanzie di pace e stabilità.
Il Direttore dell’Istituto Culturale ha successivamente ribadito che il sistema iraniano, pur basato sulla Costituzione islamica – approvata in un referendum successivo alla Rivoluzione a maggioranza quasi assoluta -, risponde appieno ai criteri di democraticità in vigore in occidente, in quanto il popolo è protagonista in tutte le occasioni elettorali: presidenziali, parlamentari, comunali; addirittura le elezioni per la Guida Suprema – la più alta carica prevista dalla Costituzione iraniana - vedono la presenza del popolo, anche se questa viene eletta dall’Assemblea degli Esperti, a loro volta eletti però dal popolo.
Il sistema funziona egregiamente e non ha bisogno di correttivi importati da altri Paesi; i giudizi negativi derivano principalmente dalla scarsa conoscenza di tale sistema. Inoltre la Costituzione iraniana, scelta dal popolo, viene applicata senza eccezioni, al contrario di quanto spesso succede altrove. La costante massiccia affluenza alle elezioni è un ulteriore riscontro di partecipazione popolare.

Il libro del Dottor Jalali, la cui lettura consigliamo a tutti, ma soprattutto a coloro che sono desiderosi di approfondire gli argomenti trattati, gode di alcune caratteristiche che lo rendono un testo prezioso: indubbia padronanza della materia da parte dell’Autore; semplicità di linguaggio e chiarezza di esposizione; coerente suddivisione in settori tematici che possono anche essere letti indipendentemente l’uno dall’altro. Dopo la prefazione del Professor Mutti ed una breve introduzione si affrontano dettagliatamente i seguenti argomenti raggruppati in altrettante sezioni: “Uno sguardo al sistema politico e costituzionale iraniano”; “Il ruolo regionale dell’Iran”; “L’Iran e l’Eurasia”; “L’Iran e l’America Latina”; per concludere con “Guerra all’Iran?”.
Leggendo il libro ci si potrà rendere pienamente conto – per chi nutrisse ancora dubbi in proposito – che il nemico giurato della Repubblica Islamica dell’Iran è il nostro stesso nemico e che soltanto appoggiando la lotta degli ultimi Paesi che si oppongono all’imperialismo a stelle e strisce potremo nutrire anche noi qualche speranza di scrollarci di dosso il giogo colonialista. Concludiamo pertanto con una frase di Seyyed Hasan Nasrallah, leader di Hezbollah, che suggella anche il libro di Jalali: “Loro, i nostri nemici, non hanno paura dei nostri missili, hanno paura delle nostre idee”. 

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=21664

venerdì 21 giugno 2013

Radio Italia IRIB: presentazione a Roma del Libro "La Repubblica Islamica dell'Iran tra ordinamento interno e politica interna" (VIDEO)

Servizio di IRIB ITALIA




ROMA (RADIO ITALIA IRIB) - Hamid Masoumi Nejad ci tiene informati sulle ultimissime della cultura in Italia e soprattutto ci presenta i libri che escono nel belpaese e riguardano l'Iran. Ecco il suo servizio sull'ultima opera di questo tipo. Non perdetelo.



giovedì 20 giugno 2013

Recensione (in persiano) della presentazione del libro "La Repubblica Islamica dell'Iran" a Roma il 15 giugno 2013 sul sito ufficiale dell'Istituto Culturale dell'Ambasciata iraniana in Italia




روز شنبه 25 خرداد همایش معرفی اندیشه های امام خمینی(ره) همراه با رونمایی از کتاب «قوانین داخلی و سیاست های بین
المللی ج.ا.ایران» نوشته آقای «علی رضا جلالی» یکی از نویسندگان بومی مقیم ایتالیا در سالن کنفرانس «لَب کوم» در رم برگزار شد.قربانعلی پورمرجان رایزن فرهنگی جمهوري اسلامي ايران در ایتالیا در ای…


همایش معرفی اندیشه های امام خمینی(ره) و رونمایی از کتاب «قوانین داخلی و سیاست های بین المللی ج.ا.ایران» در رم برگزار شد
روز شنبه 25 خرداد همایش معرفی اندیشه های امام خمینی(ره) همراه با رونمایی از کتاب «قوانین داخلی و سیاست های بین المللی ج.ا.ایران» نوشته آقای «علی رضا جلالی» یکی از نویسندگان بومی مقیم ایتالیا در سالن کنفرانس «لَب کوم» در رم برگزار شد.
قربانعلی پورمرجان رایزن فرهنگی جمهوري اسلامي ايران در ایتالیا در این مراسم که با حضور کارشناس مطبوعاتی سفارت ج.ا.ایران، شخصیت های فرهنگی و دانشگاهی و برخی از ایرانیان مقیم و شیعیان بومی برگزار شد، با اشاره به ویژگی های امام خمینی(ره) به نقش ایشان در پیروزی انقلاب اسلامی اشاره کرد و گفت: انقلاب اسلامی ایران از آنجا که بر اساس افکار بلند و اندیشه متعالی حضرت امام(ره) تکوین یافته است همواره در عوامل پیدایش و طرح شعارهای محوری و تعیین اهداف و آرمان های بلند و راهکارهای وصول به آن با باورها و اعتقادات این شخصیت ملکوتی پیوندی ناگسستنی داشته است. با پیروزی انقلاب اسلامی و جایگزین ساختن جمهوری اسلامی به جای رژیم سلطنتی و استقرار نهادهای مردمی و مدنی در این نظام، مقوله مردم‌سالاری بار دیگر مورد توجه شدید قرار گرفت. امام خمینی(ره) از یک سو با تکیه بر فقه سنتی که میراث گرانبهای شیعه است و از سوی‌ دیگر با الگوگیری از حاکمیت نبوی و علوی، تجربه‌ای جدید فراروی جهانیان قرار دادند.
پورمرجان در بخشی دیگر از سخنان خود با اشاره به مطالعات ژئوپلیتیکی ایران اظهار داشت: «مطالعات ژئوپلیتیکی در ایران در سه موج و برهه شکل گرفت. موج نخست از پیروزی انقلاب اسلامی ایران تا فروپاشی شوروی، موج دوم از زمان فروپاشی شوروی و رونق مباحث ژئوپلیتیکی در ایران که مباحث ژئوپلیتیک شیعه، اقوام و مباحث هسته ای ایران شکل گرفت و در موج سوم، بیداری اسلامی و رشد مباحث ژئوپلیتیک در ایران و رونق مسائل مرتبط با بنیادگرایی سلفی، ژئوپلیتیک شیعه، اخوان المسلمین، ژئوپلیتیک حقوق بشر، ژئوپلیتیک رسانه، قدرت نرم به جای قدرت سخت و بالاخره آینه ژئوپلیتیک فرهنگی به عنوان گرایش های جدید ژئوپلیتیک مطرح شد.

همه این مباحث نشانگر الزام تبدیل اهمیت ژئوپلیتیک به قدرت ژئوپلیتیک است و جمهوری اسلامی ایران به عنوان همسایه شوروی که متلاشی شد اگر چه به لحاظ فیزیکی تغییر نیافته ولی بیشترین تحولات محتوایی را داشته است که تأثیرگذاری خود را در منطقه و در سطح بین المللی کاملاً نشان داد و اینها در راستای تحول ماهیت قدرت از سخت به نرم و از نظامی به اقتصادی و بالاخره، فرهنگی بود و درکنار آن، ایدئولوژی اسلامی حاکم بر انقلاب اسلامی و تأثیرگذاری عقیدتی آن بر کشورهای مسلمان به عنوان عامل حرکت جنبش های اسلامی جایگاه ژئوپلیتیکی ایران را متحول ساخت.»
رایزن فرهنگی ج.ا.ایران در ایتالیا در بخشی دیگر از سخنان خود به مردمسالاری دینی که مایه قوت و موجب عزت نظام ج.ا.ایران است اشاره کرد و گفت: «مردمسالاری دینی از قانون اساسی مترقی ج.ا.ایران برخاسته است و براساس آن دموکراسی رایج در دنیا با تعریف خاص دینی و الهام گرفته از موازین الهی در کشور حاکم می شود و نه تنها تفکیک قوا در کشور پیاده می شود که روابط حاکم بر قوای سه گانه و در جهت صیانت از حقوق و آزادی های مردمی که موافق با اصول و موازین شرعی هم باشد از طریق ولی فقیه کنترل می شود و این نوع از سیستم حکومتی که هم بتواند معیارهای دموکراسی رایج را حفظ نماید و هم شؤونات دینی را حاکم سازد جز در ج.ا.ایران نیست و همه این موارد در عنوان جمهوری اسلامی ایران نهفته است.»
وی با اشاره به انتخابات 24 خرداد ریاست جمهوری گفت: «از مصادیق دموکراسی می توان به انتخابات متعدد نظیر انتخابات ریاست جمهوری، نمایندگان مجلس شورای اسلامی، اعضای شورای شهر و روستا و حتی انتخابات رهبری نظام ج.ا.ایران بر اساس اصل 107 قانون اساسی توسط مجتهدین منتخب مردم از استان های کشور  اشاره کرد. تلفیق آیین های دموکراسی و روش های آن با موازین دینی و شرعی می تواند ضمن تکمیل نقایص احتمالی مانع سوء استفاده های متعدد در کشور شود و انگیزه های دینی را در کنار انگیزه های دنیوی در کشور و در سرنوشت سیاسی کشور حاکم سازد.»
پورمرجان در پایان با اشاره به قانون اساسی مترقی ج.ا.ایران و ضمن قدردانی از سید علی جلالی به خاطر نگارش کتاب«قوانین داخلی و سیاست های بین المللی ج.ا.ایران» گفت: «مردمسالاری دینی، دستاوردهای زیادی را در عرصه سیاسی، اقتصادی و فرهنگی و حتی علمی موجب شده است و ایران را از یک کشور منفعل به یک کشور فعال در منطقه تبدیل کرده است و این موضوع در کتاب آقای جلالی نیز بیان شده است.»

«مهدی (جوزپه ) آیلّو» مسلمان شیعه ایتالیایی، فارغ التحصیل رشته فلسفه از دانشگاه شرق شناسی ناپل و مدیر مؤسسه انتشاراتی عرفان که به مدت 7 سال است کتاب هایی در خصوص معرفی اسلام شیعه در ایتالیا منتشر می کند و تاکنون چندین عنوان کتاب از زبان های فارسی، انگلیسی و عربی به زبان ایتالیایی در خصوص عرفان، فلسفه، جهان بینی شیعه و  زندگینامه معصومین (ع) به چاپ رسانده است به اختصار به بیان تاریخ و موقعیت جغرافیایی ایران پرداخت و گفت: «انقلاب اسلامی ایران یکی از مهم ترین وقایع تاریخی ایران بشمار می رود و پیروزی انقلاب اسلامی، نقطه عطفی در تحولات تاریخی مهمی است که در دنیای معاصر رخ داده است.»
آیلّو همچنین افزود: «ایران به لحاظ جایگاه و موقعیت ژئوپلیتیکی و با داشتن فرهنگ غنی و مختص به خود با تکیه بر تاریخ  و تمدن چندین هزار ساله، توانسته است جایگاه خاصی به اسلام در زمان معاصر بدهد. او با مقایسه فرهنگ ایران با تمدن و فرهنگ یونان و روم باستان، تأثیر گذاری این فرهنگ بر فرهنگ دیگر ملل دنیا را انکارناپذیر دانست.»
مدیر مؤسسه انتشاراتی عرفان، وقوع جنگ تحمیلی از سوی عراق به ایران را مسئله ای از پیش طراحی شده برای به چالش کشیدن انقلاب نوپای ایران دانست و گفت: «کشورهای غربی بر این باور بودند که با این جنگ تحمیل شده بتوانند سیر تکامل انقلاب را در ایران به تأخیر بیندازند و ایران را مجدداً تحت سیطره خود درآورند ولی باور نمی کردند که وجود جوانانی غیور و دلاور در این جنگ هرگز این فرصت را به آنان نمی دهد.
او مصاحبه ای را که صدا و سیمای جمهوری اسلامی ایران در زمان جنگ تحمیلی با نوجوانی 14 ساله انجام داده بود را با زیر نویس ایتالیایی برای حضار پخش نمود که نه تنها حضار را تحت تأثیر قرار داد که تحسین آنان را هم در خصوص پاکی قلب و رشادت این جوان برانگیخت.»
آیلّو در پایان اظهار داشت: انتخابات اخیر و حضور ایرانیان در پای صندوق های رأی که دیروز همگی ما شاهد آن بودیم، این را گواهی می دهد که ملت ایران کماکان علی رغم تمامی مشکلات، پشت رهبر خویش ایستاده است و تا آخرین قطره خون از منافع کشور خود دفاع می کند.
آقای پروفسور «کلادیو موتی» مدیر مجله مطالعات ژئوپلیتیک ائورآسیا و استاد دانشگاه پادوا سخنان خود را با قرائت اصل اول قانون اساسی جمهوری اسلامی ایران و مقایسه جمهوری اسلامی با جمهوری های غربی آغاز نمود و این سئوال را مطرح کرد که آیا کلمه جمهوری برای کشوری که مشروعیت و مقبولیت خویش را از خداوند می گیرد می تواند مناسب باشد؟ چرا که معمولاً در سیستم جمهوری مشروعیت از مردم گرفته می شود. آن چه مشخص است مفهوم جمهوری در غرب با حکومت اسلامی نمی تواند تطبیق داشته باشد و آن چیزی است که نویسنده کتاب سعی داشته به آن بپردازد و بیان کند که حکومت اسلامی نه تنها تناقضی با جمهوری و دموکراسی ندارد که می تواند به عنوان الگویی برای دیگر کشورها نیز باشد.
پروفسور موتی سپس افزود: «در خصوص جمهوری اسلامی با در نظر گرفتن این که قوانین جاری مشروعیت و مقبولیت خود را از قوانین الهی و شرعی اتخاذ می کنند حکومت ایران یک حکومت لائیک نیست به منزله آنچه که در غرب می باشد و قوانین الهی بر قوانین وضع شده از سوی بشریت اولویت دارند ولی یک حکومت صرفاً دینی هم نیست که در آن شهروندان هیچ گونه حقی در خصوص وضع قوانین خود ندارند همان گونه که در بعضی از کشورهای خاورمیانه شاهد هستیم.
جا دارد اشاره شود که در زمان ما هستند کسانی که به لائیک بودن خود افتخار می کنند در حالی که لائیک بودن یعنی در جهالت به سر بردن و ندانستن مفاهیم عرفانی و الهی و افتخارکردن به لائیک بودن در بسیاری از موارد یعنی افتخار داشتن به جهالت خود.»
وی در ادامه به بحث جدایی دین از سیاست اشاره کرد و گفت: «جدایی دین از سیاست به هیچ وجه با فرهنگ اسلامی سنخیت ندارد چرا که قوانین جاری در کشور بایستی بر اساس قوانین اسلامی وضع شوند حتی در کشورهای اسلامی که حکومت های آنها خود را لائیک معرفی می کنند مشاهده می کنیم که بسیاری از قوانین جاری ریشه در اسلام دارند.»
مدیر مجله مطالعات ژئوپلیتیک ائورآسیا در پایان ضمن بررسی نقش جمهوری اسلامی ایران در ژئوپولیتیک بین المللی و تحلیل مفهوم ولایت فقیه اظهار داشت:«هنگامی که در کشورهای اسلامی وضع قوانین، مشروط به عدم تناقض با شریعت و اسلام است پس کسی بر وضع قوانین نظارت دارد که به قوانین اسلامی آگاهی کامل دارد و به همین دلیل است که کارشناسان و آگاهان قوانین اسلامی در کشورهایی با حکومت اسلامی، موضعی بالاتر از دولتمردان آن کشور دارند.
علیرضا جلالی نویسنده کتاب «قوانین داخلی و سیاست های بین المللی جمهوری اسلامی ایران»
با اشاره به انتخابات ریاست جمهوری در ایران، حضور حماسی ایرانیان را در این دوره از انتخابات ستود و گفت: «ایرانیان همیشه در تمامی عرصه های سیاسی و اجتماعی کشورشان حضور داشتند از انقلاب اسلامی به رهبری امام خمینی (ره) گرفته تا جنگ تحمیلی و تا به امروز. باید دلیل شکست غرب در تمامی پروژه های ددمنشانه خود علیه ایران را حضور مردم در عرصه های مختلف دانست.»
جلالی با اشاره به جنگ تحمیلی افزود: « وقتی جنگ تحمیلی آغاز شد ایرانیان اختلافات درونی خویش را کنار گذاشتند و بسیج شدند و حتی کسانی که در خارج از ایران زندگی می کردند هم به ایران برگشتند و به جبهه های جنگ رفتند و برای آزاد کردن کشورشان از چنگ دشمن جنگیدند و  از جان خود مایه گذاشتند.»
وی با اشاره به حضور مردم در شرایط دشوار گفت: «انتخابات اخیر نمونه ای دیگر از حضور مردمی ایرانیان در صحنه است. علی رغم مشکلات حاصله از تحریم های وضع شده علیه ایران، تمامی مردم برای تعیین سرنوشت خود پای صندوق های رأی رفتند. نکته مهمی که غربی ها باید بدانند، این که ایران کشوری مستقل و متفاوت با دیگر کشورهای اسلامی در منطقه است. این کشور با سابقه تاریخی خود همیشه در سیاست های منطقه ای و بین المللی تأثیر گذار بوده و هست و این حقیقتی است انکار ناپذیر و تمامی تلاش های غرب برای نفی این حقیقت کاری بیهوده می باشد.
جلالی در پایان با اشاره به مشکلات سوریه گفت: «هدف غرب از ایجاد بحران در سوریه چیزی جز منزوی کردن و در نهایت شکست دادن ایران نیست. ایران هدف بعدی غربی ها پس از شکست است. آنها با قرار دادن روسیه در موقعیت انغعالی تلاش می کنند تا به هدف خود دست یابند غافل از این که ایرانیان هرگز اجازه نمی دهند وچنین چیزی را برنمی تابند.»

Intervista di Ali Reza Jalali a "La Voce del Ribelle"

DI SEGUITO RIPORTIAMO IL LINK DELL'INTERVISTA DI ALI REZA JALALI AL SITO DE "LA VOCE DEL RIBELLE". L'INTERVISTA E' VISIBILE SOLO PER GLI ABBONATI. GLI ARGOMENTI TRATTATI SONO RICONDUCIBILI AL SISTEMA ISTITUZIONALE IRANIANO, ALLA GEOPOLITICA E ALLA SPIRITUALITA'. 






http://www.ilribelle.com/login/?returnUrl=%2Fquotidiano%2F2013%2F6%2F20%2Firan-medio-oriente-eurasia-il-punto-della-situazione.html%3FSSLoginOk%3Dtrue




mercoledì 19 giugno 2013

Recensione su namna.ir (in persiano) della presentazione del libro "La Repubblica Islamica dell'Iran"

کتاب «جمهوری اسلامی ایران، ساختار حکومتی و سیاست بین الملل» به زبان ایتالیایی ترجمه و رونمایی شد.
به گزارش خبرگزاری نمنا، کتاب جمهوری اسلامی ایران، ساختار حکومتی و سیاست بین اللمل با تلاش کنسولگری ایران در کشور ایتالیا به زبان این کشور رونمایی شد.

در مراسم معرفی این کتاب که «علی رضا جلالی» نویسنده و «قربانعلی پورمرجان»، رایزن فرهنگی سفارت ایران در رم حضور داشتند.

RECENSIONE DEL LIBRO "GIUSTIZIA E SPIRITUALITA'" SU IRNA

RECENSIONE DEL LIBRO "GIUSTIZIA E SPIRITUALITA'" SUL PRESIDENTE AHMADINEJAD, SCRITTO DA ALI REZA JALALI E SEPEHR HEKMAT, SUL SITO INTERNET DI IRNA, LA PRINCIPALE AGENZIA DI STAMPA IRANIANA (in farsi) 







به گزارش ایرنا، در این كتاب ۱۵۰ صفحه ای محمود احمدی نژاد به عنوان معروف ترین مرد سیاسی ایران در جهان معرفی شده است.. 
در این كتاب آمده است: تلاش ها و تعهدات دولت احمدی نژاد باعث تقویت نظام جمهوری اسلامی ایران چه در داخل و چه در خارج از كشور و در سطح بین المللی شده است.. 
در ادامه خوانده می شود: سخنرانی ها و اظهارات احمدی نژاد دور دنیا گشته و باعث واكنش های مختلف در تمام قاره ها شده است.. 
در این كتاب آمده است: احمدی نژاد یكی از پیروان خط انقلابی امام خمینی (ره) است كه نظام سلطنتی وابسته به آمریكا را در سال ۱۹۷۹ واژگون كرد.. 
كتاب عدالت و معنویت توسط 'انتئو ادیتزیونی' انتشار یافته و به قیمت ۱۵ یورو در بازار عرضه شده است.

رم - كتاب 'عدالت و معنویت؛ تفكر سیاسی محمود احمدی نژاد' نوشته 'علی رضا جلالی' در ایتالیا منتشر شد.


http://www.irna.ir/html/1392/13920316/80686300.htm..