mercoledì 26 giugno 2013

La vicenda dei marò in India e la guerra contro la Libia: diritto costituzionale, ordinamento interno e diritto internazionale

La vicenda dei marò in India e la guerra contro la Libia: diritto costituzionale, ordinamento interno e diritto internazionale

di Ali Reza Jalali
gheddafi-berlusconiIl rapporto tra l’ordinamento interno italiano e quello internazionale vive momenti complessi. La recente vicenda dei marò ne è un caso emblematico. Vi sono due aspetti della vicenda legata all’uccisione dei pescatori indiani da parte dei marò italiani che bisogna analizzare, e ciò vale anche per altri fatti della politica internazionale: la questione giuridica e quella geopolitica.
La cosa da focalizzare in primo luogo, per la vicenda dei marò, è capire di chi sia la giurisdizione, in pratica capire quale sia il giudice che deve “dicere ius”; quello italiano o quello indiano? In base alle norme internazionali, e soprattutto in base alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto dei mari, ratificata sia dall’Italia che dall’India, lo Stato costiero (India), è competente per quello che riguarda la giurisdizione, se il fatto criminale avviene in una zona fino a 12 miglia nautiche dalla costa. Ma il problema è che in mare, è molto difficile stabilire con assoluta certezza la distanza tra la costa e la terraferma. Se invece il crimine viene commesso in acque internazionali, quindi oltre le 12 miglia nautiche, la suddetta Convenzione, ci dice che è competente sulla vicenda il paese dell’imbarcazione sulla quale è avvenuta la condotta incriminata. Quindi, in questo caso, bisognerà valutare la bandiera che batte l’imbarcazione. I pescatori erano indiani e l’imbarcazione sulla quale sono stati uccisi era indiana, per cui le autorità del paese asiatico ritengono che l’India è competente per quello che riguarda la giurisdizione. Questa è sostanzialmente l’argomento principale della parte indiana. La parte italiana argomenta in modo antitetico ed è molto difficile comprendere la realtà dei fatti, anche perché vi sono diverse ricostruzioni dell’accaduto.
Alcuni hanno proposto delle similitudini tra la vicenda dei marò e la strage del Cermis della seconda metà degli anni ’90. Ma caso è paragonabile all’incidente del Cermis? Secondo alcuni studiosi no, non è analogo a quello del Cermis: gli autori dell’incidente del Cermis erano militari americani presenti in Italia in base ad accordi bilaterali e NATO, protetti da uno “Status Of Forces Agreement” che riserva alla giustizia degli stati Uniti il potere di giudicare il personale militare americano in Italia. I marò italiani non godevano di nessuno status speciale riconosciuto da un accordo con l’India. Fra l’altro, i militari che fecero crollare la funivia del Cermis immediatamente vennero portati fuori dall’Italia dai loro capi militari.
A prescindere da questioni tecniche, una riflessione generale è doverosa, riguardante i rapporti tra Italia e comunità internazionale, ovvero la relazione tra diritto interno e internazionale. Le principali norme a livello costituzionale che fanno da ponte tra ordinamento nostrano e internazionale sono le seguenti:
Art. 10 della Costituzione
L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
Art. 11 della Costituzione
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Queste norme hanno favorito l’integrazione dell’Italia nel sistema internazionale emerso dopo il 1945, con la creazione dell’ONU e l’ingresso dell’Italia nella NATO e l’integrazione europea. Alcuni al riguardo parlano di ordine giuridico globale. Un ordine giuridico globale si è andato sviluppando con eccezionale rapidità. Tale rapidità riguarda sia il suo sviluppo quantitativo e dimensionale, sia lo sviluppo degli istituti caratteristici degli ordinamenti domestici, segnatamente quelli di garanzia e quelli di partecipazione.
Posti dinnanzi a problemi che non possono risolvere da soli, come quello del buco nell’ozono, quello delle malattie epidemiche, quello del governo di Internet, quello dei rischi atomici e chimici, quello del terrorismo, quello dell’uso non distruttivo delle risorse ittiche, e altri temi come la guerra e la pace, i governi nazionali si affrettano a dotarsi di strumenti comuni, che vanno oltre lo Stato. Accanto a poteri pubblici territoriali ultra-statali, tra cui specialmente l’Unione Europea, vi è un pullulare di poteri pubblici mondiali funzionali o settoriali, ognuno con un proprio compito specializzato. Ma l’Italia, in questo sistema nel quale in teoria, il diritto della forza dovrebbe soccombere dinnanzi alla forza del diritto, come si comporta?
La vicenda dei marò è significativa. Fino a qualche anno fa, i marò sarebbero rimasti in Italia, punto. Oggi, dinnanzi al periodo dell’egemonia unipolare occidentale in declino, emergono nuovi attori, come il cosiddetto BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) per non dire di altre potenze regionali che mettono in discussione il predomino USA-Europa degli ultimi secoli. La lettura del diritto senza una prospettiva dei risvolti politici e geopolitici delle questioni regionali e internazionali non è completa e corretta. Le forze internazionali e le potenze si stanno muovendo in una direzione imprevedibile dopo il crollo dell’URSS, che doveva aprire l’egemonia mondiale occidentale. Ma la realtà spesso supera la fantasia, ed eccoci nel 2013 a parlare dell’India che dice “no” ad un paese europeo e occidentale.
Ovviamente anche in Occidente le potenze non sono uguali, e il declino internazionale dal punto di vista politico di alcune nazioni avviene in modo più rapido di altri; il declino italiano è indubbiamente più rapido di quello nordamericano o inglese. Detto ciò, non possiamo non notare come spesso, le politiche italiane in alcuni casi siano errate da un punto di vista internazionale, e questi errori aggravano la difficoltà dell’Italia nello scacchiere mondiale e regionale, soprattutto ora che il paese vive una pesante crisi economica. Questi errori non sono solo politici, ma anche giuridici.
Una vicenda clamorosa al riguardo è l’attacco militare alla Libia, paese amico e partner commerciale importante di Roma. La Legge 6 febbraio 2009, n. 7, ratificava infatti un trattato bilaterale, il “TRATTATO DI AMICIZIA, PARTENARIATO E COOPERAZIONE TRA LA REPUBBLICA ITALIANA E LA GRANDE GIAMAHIRIA ARABA LIBICA POPOLARE SOCIALISTA”. L’Articolo 3 disponeva: Le Parti si impegnano a non ricorrere alla minaccia o all’impiego della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica dell’altra Parte o a qualunque altra forma incompatibile con la Carta delle Nazioni Unite.
Inoltre l’Articolo 4, concernente la non ingerenza negli affari interni, disponeva:
1. Le Parti si astengono da qualunque forma di ingerenza diretta o indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella giurisdizione dell’altra Parte, attenendosi allo spirito di buon vicinato.
2. Nel rispetto dei principi della legalità internazionale, l’Italia non userà, ne permetterà l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia e la Libia non userà, né permetterà, l’uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro l’Italia.
A distanza di un paio di anni, lo stesso governo italiano che aveva firmato quegli accordi molto intelligenti e ragionevoli, anche per le aziende italiane, che in tempi di crisi, necessitavano di nuovi mercati, decideva di collaborare, suo malgrado, ad una guerra contro la Libia del colonnello Muammar Gheddafi, isola di stabilità in una regione instabile, nella quale il radicalismo settario, come vediamo anche in questi mesi, sta avanzando rischiando di gettare nel caos tutto il Mediterraneo, già sconvolto da una pesante crisi economica, dal Portogallo a Cipro.
Le Basi italiane usate dalla NATO contro la Libia, in barba agli accordi italo-libici furono nel 2011: Trapani, Sigonella, Gioia del Colle, Capodichino, Decimomannu, Aviano, Pantelleria. Secondo alcuni l’intervento italiano, in base ai sopracitati articoli della Costituzione sarebbe stato giustificabile, visto il mandato ONU e la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza. Ma il problema è che questa risoluzione imponeva solo una zona di non sorvolo sui cieli libici, e in nessun suo punto parla esplicitamente di intervento armato. Inoltre, anche la prassi istituzionale italiana in quella vicenda pone parecchi dubbi giuridici: infatti, in quell’occasione, il governo italiano era sostanzialmente contrario all’intervento militare, ma le pressioni del Capo dello Stato portarono di fatto l’Italia e l’esecutivo ad intervenire, evidentemente controvoglia, in un conflitto che ha sprigionato una moltitudine di movimenti integralisti e settari, che rischiano di minacciare anche l’Italia, visto che, da quanto risulta dalle notizie, spesso censurate, del conflitto siriano, molti integralisti reclutati per la “guerra santa” contro il governo di Damasco, partono proprio dalla Libia “liberata”, e alcuni di questi sono residenti in Europa, anche in Italia.
Recentemente poi, alcuni giornalisti italiani sono stati rapiti in Siria, sempre dai cosiddetti terroristi islamici, che i media chiamano ribelli; evidentemente qui abbiamo a che fare con un terrorismo islamico “buono”, come quello di 30 anni fa in Afghanistan, i famosi “freedom fighters”, che noi oggi conosciamo col nome di talebani. Tutto ciò sembra un’ulteriore dimostrazione del fatto che i rapporti tra diritto interno e internazionale, più che vertere su valutazioni giuridiche si basano su valutazioni politiche, e i rapporti di forza non si basano sull’oggettività delle norme, ma sulla soggettività degli attori coinvolti e sulla loro forza di impatto nelle dinamiche globali; ancora nel XXI secolo, il diritto della forza, prevale sulla forza del diritto.

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