domenica 30 giugno 2013

Turchia e Iran: passato, presente e futuro del Vicino-Medio Oriente





di Ali Reza Jalali


Confrontando l’attuale carta geografica del Vicino-Medio Oriente con quella della fine del Settecento, notiamo immediatamente che lo spazio e il territorio di due Stati, Impero ottomano e Regno di Persia, oggi è occupato da almeno una ventina di Paesi: Turchia, Siria, Libano, Palestina occupata, Iraq, Giordania, Egitto, Stati della Penisola araba, Iran, Paesi del Caucaso meridionale, Afghanistan e Pakistan. I motivi di questa frammentazione della regione possono essere molteplici, principalmente riconducibili a due fattori: esogeni ed endogeni. I primi sono figli della debolezza delle istituzioni turche e persiane, ormai obsolete e restie a cambiamenti, riforme e ristrutturazioni di apparati burocratico-finanziari anacronistici rispetto ad altre zone del mondo, principalmente all’Europa, dove le ingenti ricchezze accumulate grazie ad una rete egemonica sugli oceani, garantiva un approvvigionamento monetario sicuro. Di certo le risorse economiche all’Impero ottomano e al Regno di Persia non mancavano, ma queste ricchezze non venivano utilizzate per promuovere la ricerca scientifica, base dello sviluppo di qualsiasi civiltà, sia per le questioni economiche, sia per quelle militari. Questo fatto invece in Europa era assodato. Il capitale era investito sistematicamente nello sviluppo, che poi porterà alla Rivoluzione industriale, grazie al lavoro di grandi scienziati, cosa che in Oriente, dopo il Cinque-Seicento non si era più visto. Se da un lato la grandezza ottomana, aveva raggiunto il suo apice tra questi due secoli, che dal punto di vista simbolico, ma non solo, era stato caratterizzato dal duplice assedio di Vienna (1529 e 1683), la grandezza persiana in epoca moderna era dovuta alla dinastia Safavide (fine Cinquecento-metà Settecento) e principalmente al regno di Abbas il Grande (metà Seicento). Ma oltre queste carenze interne, l’impatto di tali potenze islamiche con le avventure coloniali europee, principalmente di inglesi e francesi, causò un ulteriore trauma, che ebbe come risultato l’implosione di ottomani e persiani e la progressiva deflagrazione della regione Vicino-Medio orientale in quello che conosciamo oggi, ovvero una zona a forte instabilità politica, con regimi che potrebbero cadere dall’oggi al domani. Ovviamente questi cambiamenti epocali si sono concretizzati nel giro di alcuni secoli (Ottocento e Novecento), dimostrando la vulnerabilità di Paesi arretrati, incapaci di arginare l’avanzata imperiale delle potenze occidentali.
Avendo descritto in modo sommario le vicende di questa regione tormentata del mondo, si nota come anche oggi la situazione non sembra essere cambiata molto, almeno per la maggior parte dei Paesi dell’area, assolutamente incapaci di circoscrivere eventuali prove di forza del mondo occidentale, oggi capeggiato dagli USA. Lo abbiamo visto bene con le guerre degli ultimi dieci anni, dall’Afghanistan alla Libia, passando per l’Iraq; la facilità con cui la macchina militare occidentale schiaccia i propri avversari nel mondo islamico è sconcertante. La NATO e gli USA "asfaltano" i propri nemici in poche settimane e se rimane qualche problema nel gestire la guerra non riguarda il momento del conflitto propriamente detto, ma la fase postbellica, di gestione dell’emergenza e del caos. Nella regione Vicino-Medio orientale, le cose non sembrano cambiate molto rispetto a duecento anni fa, se non fosse per la consapevolezza di Turchia e Iran di essere eredi di un grande passato, che progressivamente sta portando le principali potenze del mondo islamico a ricreare una zona di influenza diretta ai propri confini, una sorta di "revival" della grandezza ottomana e persiana.



Ciò è visibile soprattutto in due Paesi della regione, cioè Siria e Iraq, dove ognuno dei principali attori regionali pretende di avere una sorta di "diritto di influenza". I turchi ritengono la Siria e l’Iraq come il proprio giardino privato, ma anche l’Iran pretende la stessa cosa ed entrambi hanno buone motivazioni storiche, culturali e religiose per portare avanti tali pretese. L’Iran e la Turchia in questo momento storico, sembrano essere gli unici Paesi del mondo islamico a portare avanti politiche orientate ad un confronto diretto col mondo sviluppato e industrializzato, rappresentato principalmente dall’Occidente. Non è un caso che, sulla carta, gli unici Paesi ad avere serie possibilità di difesa contro un eventuale attacco militare occidentale, siano proprio gli eredi dell’Impero ottomano e del Regno di Persia. Quindi, gli alleati di queste due potenze, si sentono più protette rispetto ad altri attori regionali. Ovviamente, nel contesto storico attuale, un attacco militare contro la Turchia da parte dell’Occidente, è "fantapolitica" allo stato puro, essendo Ankara parte integrante della NATO. Ma lo stesso non si può dire per Tehran, sempre alle prese, per via delle istanze anti-imperialiste e antisioniste del proprio governo, con il rischio di un attacco israelo-americano. Dal canto suo l’Iran ha già dimostrato in questi anni di sapersi difendere: in Libano nel 2006, la resistenza libanese patrocinata dall’Iran ha inflitto la prima seria sconfitta militare a Israele, avanguardia occidentale nel Vicino Oriente. Lo stesso dicasi per il conflitto di Gaza nel 2008-2009, quando i miliziani palestinesi con l’aiuto di agenti e armi provenienti principalmente dalla Repubblica islamica, si difesero egregiamente dall’aggressione sionista. Anche oggi, il principale deterrente ad un attacco della NATO nei confronti della Siria filoiraniana, sembra essere la paura di una reazione di Tehran, e degli Hezbollah libanesi in funzione antisionista (oltre evidentemente all’appoggio sino-russo al governo di Damasco). In questa delicata partita siriana, fondamentale per gli equilibri mondiali nel XXI secolo, la Turchia gioca un ruolo importante, essendo il principale sponsor delle milizie anti-Assad (cosiddetto Esercito Siriano Libero). Le due principali potenze islamiche, Turchia e Iran, stanno quindi cercando un proprio spazio vitale, che in caso consolidamento, potrebbe mettere a rischio l’egemonia occidentale nella regione, che si protrae dai primi del Novecento in modo netto, prima con l’influenza anglo-francese, e poi con l’ingresso dell’espansionismo americano. Il problema principale è che, in questa fase, un’egemonia turca dal punto di vista americano e israeliano, è preferibile rispetto all’egemonia iraniana, visto che la Repubblica turca è membro della NATO, riconosce l’esistenza di Israele ed ha normali rapporti diplomatici, economici e politici con Tel Aviv, ha delle istituzioni politiche simili ai Paesi occidentali e guarda con favore all’allargamento della NATO e della stessa UE. L’Iran invece è un avversario dichiarato dell’espansionismo americano ed atlantista, guarda con timore ad un allargamento della NATO e alle basi americane ai propri confini (comprese quelle in Turchia), non riconosce l’esistenza di Israele e promuove la resistenza all’occupazione sionista non solo a parole, ma con armi e operazioni di intelligence, e si rifà a delle istituzioni politiche e ideologiche antitetiche rispetto a quelle occidentali. Gli stessi intellettuali iraniani definiscono il modello della Repubblica islamica come una "democrazia religiosa", in antitesi rispetto alla democrazia liberale dell’Occidente.
Per i piani dell’egemonia atlantista e sionista, ovviamente l’ideale sarebbe poter esercitare un’influenza diretta negli affari regionali, ma se, per qualsiasi motivo, ciò non fosse più possibile, sarebbe preferibile l’influenza turca, come ultima possibilità per arginare l’avanzata iraniana nella regione, il controllo della quale, per via delle ingenti risorse energetiche, determinerà una capacità senza precedenti nell’influenza delle relazioni internazionali per tutto questo secolo. Non è un caso quindi, che la propaganda mediatica occidentale, negli ultimi tempi stia cercando in tutti i modi di proporre alle masse arabe il "modello turco", in ciò coadiuvati da alcuni gruppi politici protagonisti della cosiddetta "Primavera araba" e dagli stessi media atlantisti del mondo arabo (Al Jazeera e Al Arabya in primis).


19/07/2012

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