martedì 16 settembre 2014

La coalizione internazionale anti-ISIS, ovvero i nuovi “Amici della Siria”


 

Ali Reza Jalali

 

In questi giorni la comunità internazionale ha intrapreso uno sforzo per creare una grande coalizione con l’obiettivo di combattere la minaccia globale più importante del momento, ovvero quel gruppo estremista denominato Stato Islamico dell’Iraq e della Siria. Il movimento islamista ormai controlla da tempo alcune aree dei due paesi arabi, ma il suo massimalismo rappresenta un pericolo per tutto il Medio Oriente – vi è la possibilità concreta che l’emirato virtuale guidato dal califfo Al Baghdadi possa espandersi – ma anche per l’Europa, visto che una parte dei miliziani che combattono laggiù risiedono stabilmente in occidente.
 
Ovviamente si pone una domanda: come è stato possibile che migliaia di estremisti islamici siano partiti per la guerra santa dai paesi dell’UE, senza che nessuno abbia mosso un dito tra le autorità, in un contesto dove ogni piccolo particolare, spesso insignificante a livello della pubblica sicurezza – saluti romani, cori negli stadi o slogan scanditi in piccole manifestazioni – vengono represse con una rapidità spesso sconvolgente? Ma tralasciando questo fatto, rimane un punto fondamentale e innegabile; lo Stato Islamico a cavallo tra Siria e Iraq è una vera minaccia globale, una minaccia sorta però in un contesto specifico, ovvero alcune guerre provocate da fattori esogeni e endogeni, come possono essere le guerre del 2003 contro l’Iraq da parte degli USA e dell’occidente, guerra che ha portato l’Iraq nel caos settario, favorendo implicitamente il radicalismo religioso – l’ISIS ne è proprio una dimostrazione – per non parlare del conflitto interno siriano, dovuto spesso a squilibri dovuti all’odio esistente tra alcune componenti di quella società, ma di certo aggravato dall’intromissione di attori stranieri volenterosi di rovesciare il governo di Damasco.
 
Questa sommariamente la genesi e il retroterra da cui deriva l’ISIS, formazione radicale composta da miliziani arabi, ma anche europei, turchi e altro ancora, che ha dichiarato guerra al mondo intero. Ci sono anatemi contro tutti: i nemici sono gli sciiti, i sunniti moderati, gli occidentali, i russi, i cristiani d’oriente e chi più ne ha più ne metta. Si pone quindi il problema di come sconfiggere questo gruppo, finanziato spesso da emiri e sceicchi residenti nei paesi arabi, come quelli del Golfo Persico, senza dimenticare nemmeno l’appoggio della Turchia, paese NATO, a questo gruppo molto attivo contro Assad e l’esercito siriano. A oggi, chi ha combattuto contro questa formazione in Siria, sul terreno, sono stati il governo siriano, le milizie popolari filogovernative, gli Hezbollah libanesi e alcuni gruppi dell’opposizione siriana come certe milizie curde o anche, in certi frangenti, milizie legate ai Fratelli Musulmani o ad Al Qaida, in scontri legati al predominio in alcune zone fuori dal controllo governativo.
 
Questi ultimi scontri però, tra vari oppositori di Assad, alla fine hanno visto la vittoria dei miliziani di Al Baghdadi, che hanno addirittura ridimensionato il ruolo di Al Qaida in Siria. Infatti c’è stato un massiccio passaggio di qaidisti nelle file dell’ISIS. L’ISIS in pratica è la versione aggiornata e migliorata di Al Qaida. Evidentemente l’ISIS non avrebbe mai potuto acquisire questa potenza senza il sostengo economico e militare dei paesi mediorientali interessati alla caduta del governo siriano e di quello iracheno di Maliki, principalmente i paesi arabi del Golfo Persico e la Turchia. Oggi però, almeno apparentemente, la comunità internazionale sembra voglia combattere il fenomeno costituendo una coalizione di vari paesi, tra i quali molti occidentali e alcuni mediorientali.
 
Il punto preoccupante è però che nella lista della coalizione stilata recentemente troviamo nomi come quello dell’Arabia saudita e dei paesi satelliti, ovvero i principali sponsor dell’ISIS, mentre non fanno parte del gruppo i paesi che fino a oggi effettivamente hanno contribuito a lottare contro gli estremisti islamici in Siria e Iraq, ovvero la Siria stessa e l’Iran, da sempre sostenitore di Assad e di Hezbollah nella guerra che ormai da diversi anni si combatte laggiù. In realtà gli occidentali hanno cercato contatti con Damasco e Tehran, ma l’asse della resistenza, così si chiama l’alleanza militare tra i due paesi, alleanza che include anche Hezbollah, preferisce continuare la lotta all’ISIS e ai gruppi jihadisti dell’area per conto proprio, non fidandosi degli USA e soprattutto dell’Arabia saudita e degli altri stati arabi aderenti alla coalizione. Se i sauditi sono sinceri, dovrebbero immediatamente smettere si finanziare i terroristi.
 
La Turchia, non a caso, forse più coerentemente col suo progetto neo-ottomano di egemonia su Iraq e Siria, ha deciso di non aderire alla coalizione, avendo probabilmente il timore di essere coinvolta in una guerra che invece di combattere contro l’ISIS, come si dice formalmente, possa portare più in là nel tempo a un progetto di estromissione di Assad dal potere, cosa auspicato da Ankara, ma senza portare la Siria nell’orbita erdoganiana, bensì in quella saudita; insomma, una riedizione della situazione egiziana, dove i sauditi, sostenendo il golpe del generale El Sisi, hanno di fatto eliminato l’influenza neo-ottomana dal Cairo. Erdogan ha imparato bene che dei sauditi non si può fidare.
 
La coalizione anti-ISIS al momento non è dissimile dalla coalizione anti-Assad, i famigerati “Amici della Siria”, solo che a differenza di quella situazione il nemico non è più presentato come Assad, ma i gruppi jihadisti. Inoltre allora vi era un problema tecnico - non che a qualcuno interessi qualcosa ovviamente, è solo una questione estetica; non c’era l’avvallo dell’ONU, mentre oggi c’è una Risoluzione del CSNU che di fatto apre la strada, anche sotto il profilo del diritto internazionale, a un’azione militare nei luoghi in cui si trova l’ISIS (quindi non solo in Iraq, ma anche in Siria). Infatti per rimanere nell’alveo del diritto internazionale, non vi è la necessità di un avvallo della Siria per i raid contro i jihadisti, visto che la Risoluzione dell’ONU ha forza attuativa così come è. Insomma, dove il diritto internazionale non permetteva un intervento in Siria contro Assad, oggi lo permette contro l’ISIS. Se poi si nota che chi finanzierà la presunta azione contro l’ISIS (paesi arabi), sono gli stessi che caldeggiavano l’intervento contro Assad, allora i conti tornano. Altro che guerra all’ISIS. Magari ci fosse una vera lotta contro l’estremismo, quella lotta condotta sul campo dal governo siriano lungo questi terribili anni di “primavera araba” che dovevano portare pace e democrazia nella regione.
 
Questa è solo una riedizione degli “Amici della Siria”, meno partecipata, vista la defezione di alcuni importanti ex membri, come Turchia e Egitto. Oggi come allora l’obiettivo è entrare in Siria, non solo per mezzo dei gruppi anti-Assad, moderati o estremisti che siano a Damasco poco importa, ma con una coalizione internazionale, in pratica il famoso intervento sul modello libico di cui si è parlato tanto in questi anni, con l’obiettivo di eliminare sia le frange meno malleabili degli oppositori, sia il governo centrale, riproponendo il vecchio progetto che avevamo denunziato sin dall’inizio nel 2011-2012, cioè quello di rompere l’asse Damasco-Tehran. Sarà un caso che questi due paesi, in prima linea contro l’ISIS, non partecipano alla coalizione degli “Amici della Siria” versione estate 2014? Gli USA e l’Arabia saudita, grazie a un sostengo implicito o esplicito che fosse, all’avanzata jihadista in Iraq, coinvolgendo direttamente Baghdad nella diatriba, hanno complicato notevolmente la situazione sul campo all’asse della resistenza e ora si propongono di fermare il jihadismo. In pratica, con questa scusa, si vuole porre le basi per eliminare gli unici che il jihadismo lo hanno combattuto veramente, Assad e alleati.  

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