giovedì 7 aprile 2016

I BALCANI: EURASIA 1/2016

Si segnala l'uscita del nuovo numero della rivista scientifica di Area 12 "Eurasia. Rivista di studi geopolitici", con un contributo del Direttore del Dipartimento di Studi giuridici e politici del Centro Studi Internazionale Dimore della Sapienza. Di seguito l'editoriale e il sommario. Per ogni ulteriore informazione rivolgersi direttamente ai contatti presenti sul sito ufficiale della rivista. 

http://www.eurasia-rivista.org/scriverci/ 




I BALCANI


di Claudio Mutti*



Nel suo celebre libro sulla “Grande Scacchiera” eurasiatica, Zbigniew Brzezinski indica alla superpotenza statunitense quelli che il sottotitolo stesso definisce come “i suoi imperativi geostrategici”. Il capitolo in cui l’autore suggerisce agli USA di dominare l’intero continente utilizzando e favorendo l’anarchia etnica, religiosa e politica reca un titolo eloquente: I Balcani eurasiatici (The Eurasian Balkans). “In Europa – scrive Brzezinski – la parola Balcani evoca immagini di conflitti etnici e di rivalità regionali di grandi potenze. Anche l’Eurasia ha i suoi Balcani, ma i Balcani eurasiatici sono molto più estesi, più popolosi, ancor più eterogenei sotto il profilo religioso ed etnico. Si trovano in quell’ampia ed oblunga area geografica che contrassegna la zona centrale di instabilità globale (…) che abbraccia porzioni dell’Europa sudorientale, l’Asia centrale e parti dell’Asia meridionale, l’area del Golfo Persico e il Medio Oriente”1.

Da parte sua, il geopolitico François Thual, analizzando il fenomeno mondiale della proliferazione degli Stati e della corrispondente frammentazione politica del pianeta, paragona l’emergere delle nazioni dell’America latina alla nascita degli Stati balcanici. Inoltre, Thual applica il concetto di balcanizzazione alla devoluzione della parte araba dell’Impero ottomano: “la morte dell’Impero ottomano prima nei Balcani e poi nel mondo arabo ha inaugurato un processo di spezzettamento che è durato novant’anni nella parte europea e centoquarant’anni nell’altra”2.

Bastino questi due esempi per mostrare come il lessico geopolitico faccia ricorso alla metafora dei Balcani ed al termine balcanizzazione per indicare un’area afflitta da instabilità e disordine cronici dovuti a conflitti etnici e religiosi, nonché il corrispondente processo di disgregazione degli Stati.

Il termine balcanizzazione nacque nelle cancellerie europee alla fine della prima guerra mondiale, che segnò la scomparsa di quattro imperi e la nascita di entità statuali mai esistite prima d’allora, fra cui il Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni; ma già i cento anni precedenti (intercorsi fra la rivolta serba del 1815 e la fine della seconda guerra balcanica, nel 1913) avevano assistito all’ultima fase dell’indebolimento ottomano ed alla nascita di sei nuovi Stati: Grecia, Serbia, Montenegro, Romania, Bulgaria, Albania.

Ma neanche la Grande Guerra pose un termine definitivo al processo balcanico di dissoluzione. La disintegrazione dello Stato jugoslavo fra il 1991 e il 2008 ha dato alla luce sette staterelli: Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Serbia, Montenegro, Macedonia, Cossovo. Questo ulteriore processo di disgregazione ha confermato presso l’opinione pubblica dell’Europa occidentale la validità del termine balcanizzazione, rafforzandone le connotazioni negative, le quali non si riferiscono soltanto al fenomeno della parcellizzazione territoriale ed all’instabilità politica, ma anche a violenti conflitti etnico-religiosi ed a fenomeni di pulizia etnica.

La regione che ha prestato il suo nome3 alla metafora con cui vengono indicati i fenomeni suddetti è la penisola limitata ad est dal Mare Egeo, a sud dal Mediterraneo, ad ovest dallo Jonio e dall’Adriatico. A nord, l’interpretazione più estensiva fissa il confine della penisola in corrispondenza della linea immaginaria Trieste-Odessa; ma per lo più si tende ad assumere come limite settentrionale la linea segnata dal corso inferiore del Danubio, da quello della Sava e del suo affluente Kupa (tra Slovenia e Croazia, non lontano da Fiume). In conformità di questo secondo punto di vista, possono essere considerati paesi balcanici a pieno titolo la Bulgaria, l’Albania, la Grecia e gli Stati successori della Jugoslavia (tranne la Slovenia, che viene inserita nel gruppo dei “paesi alpini”4, ma è ritenuta parte integrante dei Balcani per varie ragioni). Paesi parzialmente balcanici, infine, sono la Romania e la Turchia.

Su questo territorio è stanziata una decina di popoli, nonché vari gruppi etnici minori; vi si parlano idiomi di diversa origine (tre o quattro lingue slave, il romeno, l’albanese, il neogreco, il turco) e vi si praticano religioni diverse (l’Ortodossia, il Cattolicesimo, l’Islam).

Il complesso mosaico costituito da una tale varietà etnica e culturale ha offerto agli strateghi dello “scontro delle civiltà” la possibilità di favorire quel genere di conflitti che vengono chiamati “guerre di faglia”5; è stata infatti la Federazione Jugoslava, la costruzione statale più rappresentativa di tutto il mosaico balcanico, a fornire il terreno per “il più complesso, confuso e variegato intreccio di guerre di faglia dei primi anni Novanta”6.

Data la sua natura geografica di “prolungamento dell’Asia anteriore sul suolo europeo”7, oggi la penisola balcanica subisce immediatamente, prima di altre regioni, l’impatto di destabilizzanti ondate migratorie destinate a trasmettersi al resto dell’Europa. Nei primi due mesi del 2016 la Grecia ha registrato l’arrivo di 132.200 individui, mentre nello stesso periodo dell’anno precedente gli arrivi erano stati 3.952. Per quanto riguarda gli altri paesi della cosiddetta “rotta balcanica”, dall’inizio del 2016 alla fine di febbraio si hanno i seguenti dati: Macedonia 89.000, Serbia 93.600, Croazia 103.200, Slovenia 98.400. Gli arrivi concernenti l’Ungheria e l’Austria sono stati, rispettivamente, 3.600 e 110.700.

La situazione prodotta da tali ondate ha indotto perfino il commissario europeo per le migrazioni e gli affari interni, Dimitris Avramopoulos, a paventare il rischio di un collasso totale. Contemporaneamente, l’ex ministro della Difesa italiana Mario Mauro rivelava che le forze militari della missione Kfor avevano ricevuto l’ordine di traghettare sulle coste italiane i 150.000 clandestini bloccati tra il Cossovo e l’Albania. Lo stesso comandante della missione NATO, il generale Miglietta, il 27 gennaio aveva dichiarato alla Commissione Difesa del Senato italiano che, secondo informazioni provenienti dai servizi segreti europei, qualche centinaio di terroristi del cosiddetto “Stato Islamico” si era già mescolato alla folla dei clandestini.

L’assistenza fornita dalle forze militari della NATO al disordine migratorio è un’ulteriore conferma di ciò che abbiamo sostenuto su queste pagine8: le “migrazioni artificiali coercitive” (coercive engineered migrations) teorizzate negli USA9 si configurano come un’arma non convenzionale che, al pari di altre armi non convenzionali impiegate nella “guerra senza limiti”, viene usata contro l’Europa.



* Direttore di “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”.



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  1. “In Europe, the word Balkans conjures up images of ethnic conflicts and great-power regional rivalries. Eurasia, too, has its Balkans, but the Eurasian Balkans are much larger, more populated, even more religiously and ethnically heterogeneous. They are located within that large geographic oblong that demarcates the central zone of global instability (…) that embraces portions of southeastern Europe, Central Asia and parts of South Asia, the Persian Gulf area, and the Middle East” (Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard. American Primacy And Its Geostrategic Imperatives, Basic Books, New York 1997, p. 123).
  2. François Thual, Il mondo fatto a pezzi, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 2008, p. 50.
  3. Propriamente, Balcani (dal turco balkan, “montagna” o “catena montuosa”) è il nome del sistema montuoso che si estende dal fiume Timok, affluente di destra del Danubio, al Capo Emine sul Mar Nero. Di qui le denominazioniBalcania Penisola balcanica.
  4. Cfr. ad esempio The Reference Atlas of the World, Dorling Kindersley Ltd, London 2004; Atlante del Mondo, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2001.
  5. “I conflitti di faglia sono conflitti fra stati o gruppi appartenenti a diverse civiltà, e assumono carattere violento. Simili guerre possono verificarsi tra stati, tra gruppi non governativi, oppure tra stati e gruppi non governativi. I conflitti di faglia all’interno di uno stato possono coinvolgere gruppi prevalentemente localizzati in aree specifiche del paese, nel qual caso il gruppo che non controlla il governo lotta solitamente per la propria indipendenza e può essere disposto (ma può anche non esserlo) a sedare il conflitto per un obiettivo un po’ inferiore. I conflitti di faglia all’interno di uno stato possono anche coinvolgere gruppi geograficamente interconnessi, nel qual caso rapporti costantemente tesi erompono di tanto in tanto in scontri violenti (…) A volte i conflitti di faglia riguardano lotte per il controllo di popolazioni. Più di frequente, la posta in palio è il controllo di territorio. Obiettivo di almeno uno dei belligeranti è conquistare territorio e liberarlo da chi vi abita mediante espulsione coatta, eliminazione fisica, o entrambe le cose, vale a dire mediante operazioni di ‘pulizia etnica’. Simili conflitti tendono ad essere particolarmente violenti e brutali, con il ricorso da entrambe le parti al massacro, al terrorismo, allo stupro e alla tortura. Spesso il territorio oggetto di contesa è per uno o per entrambi i contendenti un simbolo vitale della propria storia ed identità, terra sacra sulla quale vantano un diritto inviolabile: la West Bank in Palestina, il Kashmir, il Nagornyj-Karabach, la valle della Drina, il Kosovo” (Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 2000, pp. 374-375).
  6. Samuel P. Huntington, op. cit., p. 419.
  7. “L’Espagne, l’Italie des Apennins, le Nord et l’Ouest de la presqu’île égéenne sont les prolongements de l’Asie antérieure et de l’Afrique sur le sol européen” (Jordis von Lohausen, Les empires et la puissance. La géopolitique aujourd’hui, Éditions du Labyrinthe, Arpajon 1996, p. 109).
  8. “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, a. XII, n. 4 (“Migrazioni”), ottobre-dicembre 2015
  9. “I define coercive engineered migrations (or migration-driven coercion) as those cross-border population movements that are deliberately created or manipulated in order to induce political, military and/or economic concessions from a target state or states” (K. M. Greenhill, Weapons of Mass Migration. Forced Displacement, Coercion, and Foreign Policy, Cornell University Press, Ithaca and London 2010).




I BALCANI
Ecco di seguito l’elenco degli articoli presenti in questo numero, con un breve riassunto di ciascuno di essi

EDITORIALE
Claudio Mutti, I Balcani

DOSSARIO: I BALCANI
Stefano Vernole, I Balcani, motore della storia europea?
Da sempre l’area balcanica è al centro degli interessi nazionali e tutto quello che accade in quella regione ha conseguenze importanti per la stabilità dell’Italia. Attualmente nei Balcani assistiamo a una duplice criticità, economico-demografica e identitaria, che rischia di travolgere quanto è stato determinato dalle nazioni occidentali dopo gli Accordi di Dayton nel 1995 e l’aggressione alla Federazione Jugoslava nel 1999. Sullo sfondo traspare, in maniera sempre più evidente, l’antica contrapposizione tra potenze tellurocratiche e potenze marittime, ieri simboleggiata dalla competizione tra Berlino e Londra, oggi dalla nuova guerra fredda tra Mosca e Washington.

Edoardo Corradi, I Balcani non sono più una priorità per Mosca
La Russia, sia in epoca zarista che durante l’Unione Sovietica, ha sempre indirizzato la propria geopolitica verso lo sbocco sul Mar Mediterraneo, dando particolare importanza al ruolo della penisola balcanica. A rendere più semplice il lavoro della Russia è stata la vicinanza etnica e religiosa con le popolazioni balcaniche, in particolar modo con la Serbia, dando vita all’idea panslavista nella regione. Tuttavia, con la fine dell’Unione Sovietica e in particolare della Jugoslavia, i Balcani si sono spostati più ad Occidente che ad Oriente, alla luce anche del caos geopolitico e della competizione russo-statunitense nel Vicino e Medio Oriente e nell’Europa orientale, nello spazio storico d’influenza russa. La situazione, alla luce della difficile integrazione europea di Serbia, Macedonia e Bosnia, potrebbe cambiare nuovamente.

Giuseppe Cappelluti, Tramonta il Turkish Stream, risorge il Nord Stream
Il Turkish Stream e il Nord Stream 2 sono parte della stessa strategia, finalizzata a rafforzare la presenza di Gazprom in Europa e ad aggirare un’Ucraina tendenzialmente inaffidabile. Le prospettive dei due gasdotti, però, sono molto diverse: se quelle del primo erano piuttosto incerte sin dall’inizio, il secondo, che gode del sostegno di Angela Merkel e della partecipazione di alcuni dei maggiori colossi europei della meccanica e degli idrocarburi, ha buone probabilità di vedere la luce. E, quando in Siria un caccia russo cadeva sotto i colpi di un missile turco, per i Paesi balcanici si profilava l’ennesima occasione perduta.

Ali Reza Jalali, Transizioni e problema etnico nell’area musulmana balcanica
La questione dello sviluppo di solide democrazie ai confini dell’Unione Europea è sempre stato uno dei temi che ha ossessionato maggiormente gli studiosi e i politici del vecchio continente negli ultimi decenni. D’altro canto, le complesse realtà balcaniche, soprattutto nei luoghi maggiormente a rischio per gli attriti etnico-confessionali, mettono in serio pericolo il percorso verso la democrazia occidentale intrapreso dai paesi dell’area. Se ciò è una realtà generale, lo è a maggior ragione per i paesi musulmani della regione balcanica, soprattutto per quelli di più recente formazione, alla ricerca di modelli che garantiscano la salvaguardia non solo dei diritti fondamentali dei cittadini, ma anche la pace e l’armonia all’interno di fragili Stati multietnici.

Enrico Galoppini, I Musulmani dei Balcani
La plurisecolare presenza islamica nei Balcani, data la sua “eccezionalità” rispetto alla maggioranza degli altri popoli d’Europa, rappresenta simultaneamente un rischio ed un’opportunità. La partita fondamentale si gioca sul tipo di Islam che prevarrà in nazioni come quella albanese o bosniaca. L’uso strumentale dei “genocidi” e il “vittimismo islamico”, sfruttati dai nemici della Russia, non fanno ben sperare, anche se il ruolo delle confraternite sufi potrebbe rappresentare un argine al filo-occidentalismo dell’Islam wahhabita e salafita d’importazione.

Yves Bataille, Il mosaico ex jugoslavo
Il risultato della guerra “umanitaria” intrapresa dall’Occidente contro la Jugoslavia e dello smantellamento della Federazione è sotto gli occhi di tutti: un mosaico di staterelli privi di potere reale o tenuti sotto tutela, alcuni dei quali sono stati assorbiti dalla NATO ufficialmente (Slovenia, Croazia) o ufficiosamente (Cossovo). Dappertutto, classi dirigenti mediocri e corrotte sottomesse ad interessi estranei o sottoposte a ricatto; saccheggio generale delle risorse, delle materie prime e delle imprese.

Lucio Baldelli, Etnogenesi del popolo serbo
Lo spazio balcanico è una tessera fondamentale del mosaico eurasiatico. In questa tessera, la presenza dei Serbi, attestata fin dai tempi antichi, è tutto fuorché marginale; l’origine di tale popolo, nella ridda delle ipotesi formulate, è uno dei capitoli più suggestivi e affascinanti nel libro della storia del nostro spazio continentale. L’Europa è quella che è anche grazie all’opera del popolo serbo nei secoli.

Marco Costa, La transizione geopolitica albanese
Gli ultimi due decenni della storia albanese costituiscono un caso paradossale tanto dal punto di vista ideologico quanto da quello geopolitico. Con la fine del comunismo nella sua variante enverista, che aveva segnato per quarant’anni la storia dell’Albania secondo un socialismo di stampo autarchico ed isolazionista, il “paese delle aquile” nel giro di pochi anni ha adottato una serie di riforme economiche ultraliberiste e ha capovolto le proprie direttrici geopolitiche con l’adesione alla Nato, avvenuta nel 2009. Tuttavia, nonostante la profonda frattura tra i due principali blocchi politici interni, costituiti da democratici e socialisti, paiono oggi aprirsi nuove prospettive eurasiatiche, sia per la ripresa dei rapporti economico-culturali con la Repubblica Popolare Cinese, sia per la lenta normalizzazione diplomatica con la Repubblica di Serbia, nel faticoso ma necessario tentativo di risolvere la vexata quaestio del Kosovo.

Andrea Turi, Geopolitica mediterranea di una colonia del debito
L’approccio alla crisi del debito sovrano di Atene ha sviluppato un discorso monodimensionale incardinato sulla capacità del Governo greco di far fronte (o meno) agli impegni contratti con la troika; l’analisi monofocale delle vicende greche non tiene di conto (se non in rari casi) delle conseguenze geopolitiche della crisi greca, perché, se questa ha limitato le possibilità di azione in politica interna e soprattutto economica, non ha intaccato il valore geostrategico di Atene sullo scacchiere del Mediterraneo orientale.

Ivelina Dimitrova, La Bulgaria: un “cucciolo degli USA”?
La Bulgaria, che fra tutti gli Stati aderenti al Patto di Varsavia era il più fedele satellite dell’Unione Sovietica, dopo il 1989 è diventata un “cucciolo degli Stati Uniti”, come la definì Jacques Chirac. I problemi più gravi che questo paese si trova oggi a dover affrontare sono il drastico decremento demografico, lo spopolamento delle aree rurali e montane e la mancata integrazione delle minoranze etno-linguistiche, spesso escluse dalla società civile per mancanza di un adeguato livello di istruzione.

Cristi Pantelimon, La Romania e le false alleanze strategiche
La Romania si trova in una situazione geopolitica ambigua, che potremmo considerare quella delle false alleanze. Essa privilegia la relazione strategica con le potenze atlantiste per difendersi da una presunta aggressività della Russia. Una visione di questo genere e la geopolitica che ne deriva non hanno fondamento nella situazione geostorica della Romania, stato continentale per definizione. Un’alleanza di questo tipo può funzionare per un certo periodo, ma sarà solo congiunturale e opportunistica. La stessa cosa si può dire anche per gli stati occidentali. L’unica strategia geopolitica a lungo termine che si fondi sulla storia del continente è la strategia eurasiatista, cioè un tentativo di consolidare il Grande Continente da Lisbona a Vladivostok.

Claudio Mutti, Da paese danubiano-balcanico ad avamposto atlantico
Alla collocazione atlantica e occidentale, imposta alla Romania dagl’interessi geostrategici statunitensi, la geografia e la storia contrappongono una ubicazione centrale, che è stata d’altronde sottolineata in vario modo dagli studiosi di geopolitica. A definire lo spazio geografico romeno non è l’Oceano Atlantico; sono, invece, i Carpazi, il Danubio e il Mar Nero.

Aldo Braccio, Un ricordo ottomano
Il paradigma romantico delle nazioni oppresse e risorte ha spesso pregiudicato una valutazione serena e obbiettiva della lunga (cinque secoli) presenza ottomana nei Balcani. La realtà della penisola balcanica nell’impero osmanlı è però quella di un’area ben integrata nell’ecumene imperiale, nel cui contesto fruì per lunghi periodi di pace e di una certa prosperità; l’istituzione dei millet assicurò il rispetto della molteplicità delle fedi religiose e delle etnie mentre il sistema agrario e la creazione di nuove città furono altri aspetti importanti del retaggio ottomano.

Lorenzo Salimbeni, La Grande Guerra nei Balcani
Le pistolettate di Sarajevo del 28 giugno 1914 avviarono la reazione a catena che condusse il mondo in quella che i contemporanei definirono la Grande Guerra. Nella narrazione dell’immenso conflitto e nella comprensione delle sue dinamiche diplomatiche, tuttavia, il fronte balcanico sembrò poi sparire del tutto, laddove giochi di alleanze, rivendicazioni territoriali, separatismi e indipendentismi furono ben più vivaci che sui fronti occidentale e orientale, condannati alla guerra di logoramento. Nodi irrisolti giunti dalle Guerre Balcaniche, lo scontro di interessi fra Impero Austro-Ungarico ed Impero Russo, l’agonia dell’Impero Ottomano, gli interessi divergenti degli Stati dell’Intesa in merito agli assetti da stabilire a conflitto terminato: a partire da tali problematiche si sprigionarono dinamiche che i Trattati di Pace lasciarono ancora irrisolte e sarebbero sfociate nelle vicende della Seconda Guerra Mondiale.

DOCUMENTI
Jovan CvijićGeografia umana della penisola balcanica
L’etno-geografo Jovan Cvijić fu uno dei sei esperti della delegazione jugoslava alla Conferenza della pace di Parigi, dove venne costituito il nuovo Stato slavo del sud.
Vasile Gherasim, Eurasia spiritualis
Questo saggio di Vasile Gherasim, del quale viene qui tradotta la prima parte, è stato presentato da Cristian Pantelimon sul n. 4/2015 di “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”.

INTERVISTE
Intervista a Márton Gyöngyösi
a cura di C. Mutti
Márton Gyöngyösi, diplomato in scienze politiche ed economia politica, è deputato del Movimento per un’Ungheria Migliore (Jobbik) dal 2010. Dal 2014 è vicepresidente della commissione Esteri del Parlamento ungherese.
Intervista ad Arben Jaupaj 
a cura di M. Costa
Arben Jaupaj, 43 anni, ha studiato storia e filologia all’Università di Tirana. Vive nella città turistica di Berat, ha lavorato come insegnante di storia e filosofia, lettore del Museo Storico cittadino, professore di antropologia culturale nell’Universita di Berati. Ha partecipato a diversi progetti culturali locali e nazionali in collaborazione con il Programma Culturale Svizzera in Albania, le Rete Albanesi di Toscana, la Fondazione Iraniana “Saadi Shirazi” a Tirana, l’Istituto Italiano di Cultura, l’Alleanza Francese, l’Università di New York a Tirana. Ha collaborato con gli uffici culturali presso le ambasciate cinese, spagnola e russa a Tirana. Attualmente è direttore della biblioteca pubblica di Berat e segue un dottorato di ricerca di storia contemporanea albanese presso l’Università di Tirana.

RECENSIONI
Manlio Dinucci, L’arte della guerra. Annali della strategia Usa/Nato (1990-2015), Zambon 2015 (Giacomo Gabellini)
Gennadij A. Zjuganov, La mia Russia. Ideologia del patriottismo russo, Anteo 2015 (Davide Ragnolini)
Fabio Falchi, Il Politico e la Guerra, Anteo 2015 (F. F.)
Emil Cioran, Apologie de la barbarie. Berlin-Bucarest (1932-1941), Editions de L’Herne 2015 (Yannick Sauveur)

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