venerdì 13 giugno 2014

Da ovest una nuova minaccia per l’Iran

Miliziani dello Stato Islamico in azione in Iraq
 
Ali Reza Jalali
L’attenzione mediatica si è concentrata sulla situazione irachena negli ultimi giorni, per via della clamorosa avanzata del gruppo denominato Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, cartello che riunisce alcuni movimenti salafiti che operano tra la Siria e l’Iraq, col dichiarato obiettivo di costituire un governo basato sulla sharia a cavallo dei due paesi arabi.
Lo Stato Islamico si è costituito grazie ad una sinergia tra gruppi sparpagliati, con una origine diversa dal punto di vista dell’appartenenza nazionale, ma che hanno in comune la volontà di sconfiggere il “pericolo sciita” nelle sue varie forme, dal governo alawita damasceno a quello duodecimano di Baghdad. Nei proclami ufficiali dell’organizzazione si nota l’odio viscerale nei confronti di questa confessione islamica; recentemente in un comunicato lo Stato Islamico si è autoproclamato continuatore dell’opera della dinastia Omayyade, nota tra gli sciiti per essere stata artefice di molte persecuzioni settarie.
Lo Stato Islamico finanziariamente e militarmente è sostenuto prevalentemente dall’Arabia Saudita, ma ha ottenuto importanti aiuti anche dalla Turchia, paese membro della NATO. In Iraq e in Siria in questi anni il gruppo ha lavorato in modo diverso: in Iraq c’è stato un progressivo avvicinamento tra gli islamisti dello Stato Islamico e alcune tribù sunnite dell’ovest, in passato vicine al regime di Saddam e del Partito Baath. Lo Stato Islamico e queste fazioni sunnite dell’Iraq occidentale collaborano in nome della comune preoccupazione riguardo al “pericolo sciita e iraniano”.
In ciò il governo di Baghdad guidato da Maliki è sostanzialmente accusato di essere l’uomo degli iraniani in Iraq. In Siria il gruppo invece si è caratterizzato per un rapporto molto complicato con le altre anime dell’opposizione anti-Assad. Da un lato i Fratelli Musulmani (Esercito Libero) giudicano quelli dello Stato Islamico troppo radicali, d’altro canto Al-Nusra, un’altra formazione salafita, giudica lo Stato Islamico negativamente per via del progetto “internazionalista” volto a unire l’Iraq e la Siria, mentre Al Nusra mantiene, se pur anch’essa formata da miliziani di varie nazionalità, una linea più legata alla lotta sul suolo siriano.
L’avanzata improvvisa dei salafiti “internazionalisti” in Iraq è dovuta a diversi fattori: sicuramente il supporto regionale al movimento, in funzione anti-Maliki, per indebolire l’asse Iran-Iraq-Siria (è bene ricordare che l’Iraq è stato l’unico tra i principali paesi arabi, almeno fino alla caduta di Morsi in Egitto, a non osteggiare Assad, tenendo ufficialmente una posizione di non allineamento sulla situazione siriana) è una questione importante, ma senza il tradimento di alcuni generali dell’esercito iracheno, responsabili della difesa di alcune città, come Mousul, nel nord del paese, l’avanzata non sarebbe stata così importante.
Infatti, alcuni dirigenti di spicco dell’esercito iracheno, non hanno opposto alcuna resistenza all’arrivo degli islamisti in alcune zone dell’Iraq settentrionale; ciò rientra perfettamente nella sinergia anti-sciita e anti-iraniana creatasi tra islamisti sunniti e ex baathisti. Infatti i generali disertori erano tutti ex membri del disciolto partito, ai tempi guidato da Saddam. Lo scontro in atto in Iraq è interpretabile, purtroppo, anche come uno scontro epocale tra sciiti e sunniti, ormai contrapposti su diversi scacchieri, dal Libano all’Iraq, passando per la Siria.
Detto ciò, non possiamo nemmeno negare il tentativo di conciliazione promosso dai capi religiosi di ambo le parti. Le immagini che arrivano dall’Iraq in questo senso parlano chiaro. Giovani di tutto il paese, sciiti e sunniti, si stanno in massa iscrivendo nelle milizie popolari, con l’intento di bloccare l’avanzata integralista.
La situazione è evidentemente complessa e le notizie discordanti non aiutano alla comprensione reale degli eventi, ma le reazioni regionali ufficiali non mancano: gli alleati del governo iracheno, principalmente gli iraniani e i libanesi di Hezbollah, hanno fatto sapere che in caso di necessità interverranno. Indiscrezioni rivelano che vi sarebbe già una presenza iraniana in Iraq, come non mancherebbero elementi sauditi a sostegno dello Stato Islamico.
Anche il governo USA ha espresso solidarietà a Maliki, smentendo però un coinvolgimento diretto. Gli Stati Uniti sono alleati dell’Iraq, fornendo armi e addestramento all’esercito di Baghdad. L’Iraq è un paese particolare, un amico degli USA e della Russia, alleato dell’Iran, vicino alla Siria, osteggiato da Erdogan, dagli islamisti sunniti, dai Fratelli Musulmani ai salafiti, odiato dai Sauditi.
L’Iraq è un paese caratterizzato dall’ambiguità: un po’ con gli USA, un po’ con gli avversari regionali degli USA. Un po’ sunnita, un po’ sciita. Un po’ arabo, un po’ curdo. Un generale iraniano disse: “L’Iraq è il paese dei Saddam”, nel senso che pur non essendoci più Saddam, arci-nemico dell’Iran, potrebbero sempre emergere, per via della storia controversa di quell’area, nuovi nemici dell’Iran, che ciclicamente da quella terra emergono. Lo Stato Islamico, alleandosi con elementi del vecchio Baath, sembra la realizzazione della profezia del generale iraniano. Non bisogna in questo senso sottovalutare le aperture ai regimi della penisola araba fatte dai famigliari di Saddam, così come da ex dirigenti iracheni di alto rango, come l’ex collaboratore di Saddam, Al Douri.   
A Tehran si vive con ansia quello che sta accadendo in Iraq; nei giorni scorsi alcuni siti riferivano di piani dell’esercito iraniano in caso dell’eccessivo avvicinamento dei salafiti “internazionalisti” ai confini della Repubblica Islamica. Gli analisti militari comunque sottolineano il fatto che in caso di emergenza l’intervento ci sarà già in territorio iracheno. Di certo a Tehran non hanno voglia di vedere, a distanza di 34 anni, una nuova invasione da ovest.    

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