lunedì 11 agosto 2014

Iraq, quo vadis?


 
Ali Reza Jalali

I territori in mano ai jihadisti tra Siria e Iraq

 

L’attacco americano contro le postazioni dello Stato Islamico e l’evoluzione delle vicende istituzionali irachene inducono ad alcune brevi considerazioni.

Partiamo dal primo punto. Sembra necessaria ormai da parte americana una parziale correzione dell’approccio degli ultimi anni in Medio Oriente, ovvero quello di una alleanza esplicita con l’Islam politico sunnita moderato e conservatore (Erdogan e Fratelli Musulmani) e di sostegno ai gruppi islamici più radicali in scenari come la Libia e la Siria; tale politica al momento è da considerarsi una parentesi chiusa, anche perché i Fratelli Musulmani e Erdogan hanno fallito la loro missione, incentrata sulla defenestrazione delle forze dominanti nel “vecchio” Medio Oriente, in cui i vari Assad e alleati potevano avere un ruolo importante. Lo stesso dicasi per gli islamici radicali, che ormai sono in fase di ridimensionamento in Siria, con non poche faide reciproche. L’Iraq era l’ultima speranza per l’Islam radicale sunnita, ma il Califfato di Al Baghdadi non è riuscito a marciare sulla capitale mesopotamica, cambiando rotta verso il Kurdistan. L’intervento americano quindi mira da un lato a salvaguardare l’autonomia curda dall’avanzata jihadista, d’altro canto è un’azione per cercare di ridimensionare l’impatto del fondamentalismo sunnita, ormai fuori controllo, considerando che molti jihadisti presto potrebbero far rientro nei paesi d’origine, nazioni spesso con regimi alleati degli USA in Medio Oriente (la maggior parte dei jihadisti sono originari del Nord Africa, della Giordania e dei paesi della penisola araba, oltre ovviamente a Siria e Iraq). In un colpo solo gli USA difendono l’autonomia curda, importante base operativa occidentale nell’area, uccidono un numero cospicuo di jihadisti che potrebbero andare in giro per il Medio Oriente a fare danni dove non richiesto da Washington (pensate solo all’ipotesi di un possibile jihad in Arabia Saudita o in Giordania) e si ripresentano prepotentemente nello scacchiere iracheno, dopo che la loro passività aveva fatto guadagnare spazio nel paese mesopotamico ai russi e agli iraniani, tramite forniture militari di vario genere.
 
Maliki, ormai ex premier?
 

Per quello che riguarda il secondo punto invece la situazione al momento è la seguente: la coalizione guidata dal partito Ad-Dawa (Stato di Diritto) ha la maggioranza relativa dei seggi in parlamento, ma ormai nessuna forza politica, nemmeno gli altri gruppi sciiti, sono disposti a confermare il leader del partito maggioritario, Nuri Maliki, alla presidenza del consiglio dei ministri. D’altronde in base alla forma di governo irachena il capo dello stato deve incaricare della formazione del governo il leader della coalizione di maggioranza, in questo caso Maliki. Il presidente della Repubblica, il neoeletto Fuad Masum, curdo, ha però incaricato un altro esponente del partito di Maliki, Haider Abadi, di iniziare le consultazioni per formare un governo. Abadi è sostenuto esplicitamente da una parte minoritaria del partito di Maliki e da tutte le altre fazioni sciite, tra cui quelle di Ammar Hakim, Ibrahim Jafari e Muqtada Sadr. Insomma, al momento Maliki è isolato non più solo tra i curdi e i sunniti, ma anche tra gli sciiti stessi. Il problema è che la corte suprema irachena ha notato come l’operato del capo dello stato di non nominare Maliki per indire le consultazioni finalizzate alla formazione di un esecutivo, è un atto che viola la costituzione del paese arabo. Bisogna ora attendere per capire se effettivamente Abadi avrà i numeri per formare il governo. Egli ha incassato molti consensi, oltre che quello di una parte importante delle fazioni sciite, anche quello, evidentemente, del presidente iracheno, rappresentante dei curdi, soprattutto quelli dell’unione patriottica di Jalal Talabani. Una ritrovata sintonia tra molte fazioni sciite e una parte dei curdi potrebbe essere sufficiente alla formazione di un nuovo governo, anche se ci sono ancora molte incognite: bisogna vedere fino a che punto i mailikiani, che al momento non sono pochi, vorranno fare ostruzionismo e cosa intenderanno fare i gruppi sunniti: partecipare al governo o rischiare, rifiutando, ancora anni di isolamento istituzionale, che fino a oggi non gli ha portato un gran che?
 
E' finita la luna di miele tra l'amministrazione Obama e gli islamisti?
 

All’estero poi le reazioni sono abbastanza positive riguardo la figura di Abadi, sia Washington che l’UE si sono espressi a favore del candidato sciita. In Iran i media più vicini alla Guida Khamenei non hanno accolto negativamente l’investitura di Abadi, anche perché egli è pur sempre espressione di un partito, Ad-Dawa, storicamente legato a Tehran e al clero sciita; inoltre l’appoggio di Sadr, Hakim e Jafari all’eventuale neo primo ministro indicano uno stretto legame con gli ayatollah iraniani. Per non parlare poi del presidente neoeletto, Masum, membro di quel partito dell’unione patriottica curda, anch’esso storicamente legato a Tehran, attraverso il quale proprio recentemente, secondo molti media internazionali, sarebbero entrati nel Kurdistan iracheno a dar man forte ai guerriglieri curdi in funzione anti-ISIL, alcune unità scelte delle forze armate iraniane. Non a caso recentemente è arrivata anche una lettera pubblica dei leader curdi iracheni, per ringraziare il governo di Tehran per l’appoggio. Interessante anche notare come nel giro di poche settimane lo scenario in Iraq sia mutato. Inizialmente è emerso che i curdi non hanno ostacolato l’avanzata dell’ISIL, pensando di usare la situazione per mettere pressione al governo centrale iracheno, ottenendo così nuovi vantaggi e più autonomia da Baghdad; ma la foga dei miliziani islamisti ora si è riversata sui curdi stessi, una volta fallita l’operazione di conquista della capitale irachena da parte dei jihadisti.
 
Tra tante domande, una certezza: le gigantografie del leader iraniano Khamenei a Baghdad
 
 

Ci sarebbero anche molte altre considerazioni da fare, ad esempio come i ribelli curdi anti-iraniani con basi nel Kurdistan iracheno siano stati intelligentemente tenuti fuori dai combattimenti contro l’ISIL, su esplicita richiesta dei curdi iracheni, per non indispettire gli iraniani presenti nel Kurdistan iracheno. Immaginatevi la scena: un pasdaran iraniano e un separatista curdo iraniano fianco a fianco nel nord dell’Iraq contro gli integralisti sunniti. Questo è il Medio Oriente signori, la terra del caos.     

Nessun commento:

Posta un commento