lunedì 26 maggio 2014

L’Europa (forse) cambia, l’Italia no



Ali Reza Jalali

Volendo commentare le recenti elezioni europee, dobbiamo in primo luogo capire la portate effettiva del voto, sottolineando appunto la natura comunitaria di questa tornata, con un significato che può essere diverso da normali elezioni nazionali. In pratica lo scorso 25 maggio centinaia di milioni di cittadini europei sono stati chiamati a rinnovare il parlamento europeo, ovvero quell’organo dell’Unione Europea predisposto ad un ruolo di collaborazione con altre istituzioni comunitarie, non elette democraticamente, per quanto riguarda il potere legislativo. Quindi il parlamento europeo non svolge un’attività completamente omologabile a quelli che sono i parlamenti nazionali, detentori effettivi del potere di emanare norme, ma solo approssimabile; già qui possiamo comprendere che l’incidenza del voto dei cittadini sull’operato dell’Unione è meno efficacie che non per le elezioni nazionali. Se poi aggiungiamo il fatto che ogni nazione elegge un numero limitato di rappresentanti, in Italia in tutto si eleggono circa 70 eurodeputati sul oltre 700, in pratica, chi vince le elezioni europee nel panorama nostrano porta in Europa una trentina di rappresentanti, che sono nulla in confronto al numero totale dei deputati, comprendiamo che il potere di impatto democratico delle nazioni del vecchio continente è limitato sull’Unione Europea. Inoltre una regola non scritta impone che vi sia una alternanza per ciò che concerne la dirigenza effettiva dell’UE, ovvero per quello che riguarda la Commissione europea, guidata una volta da un esponente del PPE (centrodestra), una volta da un esponente del PSE (centrosinistra), e ciò a prescindere dall’esito delle elezioni, normalmente appannaggio del PPE, forza di maggioranza relativa all’interno del parlamento europeo. Insomma, l’incidenza del voto del popolo è molto bassa in Europa, e per questo alcuni studiosi parlano di un vero e proprio “deficit democratico” all’interno delle istituzioni comunitarie.

Detto ciò, secondo me, è molto più interessante vedere il dato elettorale nazione per nazione, che non quello europeo nel complesso che, per la cronaca, vede per l’ennesima volta un astensionismo di massa, più della metà degli aventi diritto non è andata a votare, confermando la freddezza degli europei nei confronti delle istituzioni comunitarie, oltre alla scontata vittoria del PPE, che ottiene, anche qui per l’ennesima volta, la maggioranza relativa dei seggi, poco più di 200 su oltre 700.

I dati nazionali quindi: nel complesso vediamo la forte crescita dei partiti e liste elettorali critici nei confronti dell’Unione Europea, con una generale forte affermazione delle forze populiste, soprattutto in paesi chiave come Gran Bretagna e Francia, dove gli euroscettici vincono le elezioni affermandosi come forze di maggioranza relativa. Su tutti emerge la figura della Le Pen, che infligge una sonora batosta ai socialisti transalpini, al minimo storico. In Grecia invece trionfa la lista socialdemocratica di Tsipras, impropriamente definita di “sinistra radicale”. In realtà Tsipras è un leader che rappresenta la “nuova” sinistra europea, una forza che si colloca non di certo in antitesi con gli interessi dell’Unione Europea. Certamente le elite comunitarie preferirebbero sempre l’affermazione o dei classici conservatori liberali di centrodestra, o degli altrettanto classici socialisti alla PASOK, ,ma ovviamente la vittoria di Tsipras non è così drammatica, come lo è invece la vittoria della Le Pen o degli euroscettici inglesi, per non parlare di Alba Dorata, di destra radicale, al 10 percento, sempre in Grecia.
 
 
 

Le destre populiste, le forze in assoluto più critiche nei confronti dell’Europa istituzionale, hanno fatto un buon risultato anche in Austria (circa al 20 percento), Danimarca (oltre il 20 percento) e Ungheria (oltre il 14 percento). La Germania invece conferma lo strapotere della Merkel, vincente oltre il 35 percento. Uno dei dati più sorprendenti però viene proprio dall’Italia, dove il PD vince alla grande col 40 percento e il Movimento 5 Stelle non va oltre il 20 percento.

Volendo vedere in modo accurato i dati dei quattro paesi europei più importanti la situazione sembra radicalizzarsi, ovvero da un lato un asse Francia-Gran Bretagna dove prevale il sentimento anti-UE, con clamorose sconfitte per i partiti tradizionali e l’affermazione della destra populista, vincente per la prima volte da decenni. D’altro canto la Germania e l’Italia si ancorano allo status quo; ma se per la Germania ciò è comprensibile, vista la situazione economica del paese, in salute rispetto al resto del continente, il voto degli italiani rimane abbastanza incomprensibile per certi aspetti.

L’Italia è probabilmente, considerando la sua potenza economica, non paragonabile a nazioni come la Grecia o il Portogallo, il paese che ha subito più danni dall’ingresso nell’eurozona e dalla crisi degli ultimi anni, culminata con l’imposizione di politiche di austerità da parte dell’UE. Ora, in un contesto del genere, bisogna capire perché il popolo italiano ha voluto dare la propria fiducia al PD, ovvero al partito più europeista sulla scena politica nostrana. Certamente non possiamo negare la bassa affluenza, che comunque è alta se si considera il deserto degli altri paesi europei, in alcuni dei quali sono andati al voto il 20 percento degli aventi diritto, ma il dato in percentuale rimane un record: 40 percento, primato mai raggiunto da un partito di centrosinistra nella storia italiana, record anche in Europa dove nessun partito socialista ha raggiunto un risultato del genere in questa tornata.
 

Abbiamo a che fare con una grande anomalia. Un paese di fatto schiacciato dall’Europa, che vota per l’Europa, quando altri grandi paesi, dicono chiaramente no all’Europa. La comprensione di tale fenomeno è veramente complessa; possiamo in questa sede fare solo alcune ipotesi. In primo luogo una giustificazione potrebbe essere data dal fatto che non esiste una alternativa ideologica e programmatica al PD, ovvero a tale “grande centro”, perché di questo si tratta. Il Movimento 5 Stelle non ha un pensiero forte alle spalle, ultimamente non aveva nemmeno un programma forte condiviso al suo interno (Grillo diceva di essere per l’uscita dall’Euro, mentre Casaleggio era contrario); l’unico movimento anti-UE e per l’uscita dall’eurozona, sulla falsariga della Le Pen in Francia, era la Lega, con il suo 6 percento, partito condannato però dal suo regionalismo dalla sua poca presa fuori dal Nord Italia a non poter mai sfondare seriamente. La Le Pen in Francia ha alle spalle un partito radicato, con una chiara ideologia nazionalista, tema questo sentito in Francia, mentre qui in Italia non esiste nulla del genere. Non esiste un partito nazionalista forte, e a dire il vero non esiste nemmeno un sentimento nazionalista forte.

Tra il nulla potenzialmente distruttivo e ulteriormente destabilizzante (5 Stelle), il popolo italiano ha scelto il nulla “tranquillizzante”, il PD, la DC 2.0, una costante della storia italiana. Dopo il ventennio berlusconiano dobbiamo prepararci al ventennio renziano?    

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